venerdì 18 aprile 2014

«La mancanza di gratuità è l’esito di una cultura in cui molti uomini crescono orfani»


«Lavanda dei piedi sorgente di servizio ecclesiale e civile» 
 Messa «in Coena Domini»: Scola compie il gesto di Gesù a dodici catecumeni



 LORENZO ROSOLI


« Il gesto della lavanda dei piedi sia per noi sorgente di appas­sionato servizio ecclesiale e ci­vile », scandisce il cardinale Angelo Sco­la nell’omelia della Messa
 in Coena Do­mini celebrata ieri sera in Duomo. Quel gesto, l’arcivescovo l’aveva compiuto all’inizio della liturgia lavando i piedi a dodici catecumeni (otto adulti: due albanesi, un cileno, un serbo, un u­craino e tre milanesi; e quattro ragaz­zi: un colombiano, un cileno, due mi­lanesi) che fanno parte dei 146 che la notte di Pasqua verranno battezzati. In quei dodici – come nell’intera 'com­pagnia' dei catecumeni, «che vengo­no da molte nazionalità», torna a sot­tolineare Scola – la metropoli del futu­ro si fa presente. E chiama i cristiani alla testimonianza e all’impegno, al cuore di uno scenario che pone sfide nuove ed esigenti.
  «La mancanza di gratuità, soprattutto nelle odierne società del Nord del pia­neta, è l’esito di una cultura in cui mol­ti uomini crescono orfani, senza lega­mi di autentica generazione – afferma Scola in omelia –. Ricreare il tessuto sociale a partire dai legami costitutivi con Dio, con gli altri e con se stessi è la strada necessaria per l’edificazione del nuovo umanesimo di cui l’uomo del terzo millennio ha bisogno. La complessità e la frammentazione del­la nostra società non possono spe­gnere, anzi domandano a tutti noi questo impeto di costruzione comu­ne, espressione connaturale della ele­mentare esperienza umana. Il gesto della lavanda dei piedi oggi compiuto in pallida memoria di quello di Gesù sia per noi sorgente di appassionato servizio ecclesiale e civile».

Messa in Coena Domini

Gio 1,1-3, 5.10;1Cor 11,20-34; Mt 26,17-75

 

Duomo di Milano, 17 aprile 2014



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



1.      La consegna pasquale di Gesù
«Donaci ora, quale fonte di salvezza, il suo corpo che ha sofferto per la redenzione degli uomini»: la preghiera del Canone sottolinea il nesso inscindibile, nella liturgia ambrosiana, tra il mistero del Giovedì e quello del Venerdì Santo. È il motivo per cui questa sera abbiamo letto la prima parte del Passio di Matteo che narra, in successione cronologica, tutto quanto è avvenuto nella notte di quel primo Giovedì Santo, dalla Cena all’orto degli Ulivi, all’arresto e al processo, fino al rinnegamento di Pietro. La Messa in Coena Domini inserisce l’istituzione del sacramento dell’Eucaristia e di quello dell’Ordine nel quadro compiuto del Mistero Pasquale.
Questo duplice dono di Gesù ha luogo dopo la designazione del traditore – «In verità vi dico: “Uno di voi mi tradirà”. … Giuda disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”» – (Vangelo, Mt 26,21.25). Gesù si offre a noi sacramentalmente con lo sguardo già rivolto alla Passione. Egli, infatti, nell’Ultima Cena anticipa il sacrificio della Croce. In questo modo rende possibile, nella celebrazione del banchetto eucaristico, a tutti gli uomini di tutti i tempi, e quindi anche a noi, la partecipazione al Suo unico e singolare sacrificio.
Entriamo dunque, fratelli e sorelle, nel cuore del mistero pasquale contemplando due aspetti del grande evento: Cristo che si consegna alla Croce, liberamente e in obbedienza al Padre, per la nostra salvezza e Cristo che si consegna a noi come nutrimento, vero cibo e vera bevanda, sostegno della nostra vita cristiana.

2.      L’obbedienza dell’amore salva il mondo
«Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (Vangelo, Mt 26,56b). Gesù sa che deve attraversare tutta la sua passione in solitudine. Abbandonato da tutti, tradito da uno della cerchia più stretta di amici e rinnegato da Pietro a cui aveva affidato ciò che aveva di più caro, la sua Chiesa (cfr Mt 16,18).
Eppure, anche nel supremo combattimento (agonìa), nell’angoscia di questa prova terribile, Gesù non viene meno alla relazione con il Padre. «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Vangelo, Mt 26, 39). E in particolare sta legato al Padre anche quando non ne sente la consolazione: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? (Vangelo, Mt 27,46). Sono le formule dell’obbedienza dell’amore, che aprono la strada alla salvezza del mondo.

3.      Lasciamoci coinvolgere nel Suo essere per
«Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me» (Epistola, 1Cor 11,24). L’espressione “Fate questo” domanda un’immedesimazione progressiva e continua con Gesù, con il suo modo di pensare, di agire e di amare, di vivere e di morire. Come scrisse Benedetto XVI nella Spe salvi: «Cristo è morto per tutti. Vivere per Lui significa lasciarci coinvolgere nel suo “essere per”» (Benedetto XVI, Spe salvi 28).
Riflettiamo su questo “essere per”. In Gesù, come abbiamo visto, l’essere per esprime innanzitutto il suo rapporto col Padre: Gesù si offre in obbedienza amorevole e grata in forza del suo essere figlio. Anche a noi, per poter consegnare la vita a Sua imitazione – come in ogni caso la morte prima o poi ci chiederà – è domandato di essere pieni di gratitudine, consapevoli che fin dal concepimento siamo stati donati a noi stessi.
La mancanza di gratuità, soprattutto nelle odierne società del Nord del pianeta, è l’esito di una cultura in cui molti uomini crescono orfani, senza legami di autentica generazione. Ricreare il tessuto sociale a partire dai legami costitutivi con Dio, con gli altri e con se stessi è la strada necessaria per l’edificazione del nuovo umanesimo di cui l’uomo del terzo millennio ha bisogno. La complessità e la frammentazione della nostra società non possono spegnere, anzi domandano a tutti noi questo impeto di costruzione comune, espressione connaturale della elementare esperienza umana. Il gesto della lavanda dei piedi oggi compiuto in pallida memoria di quello di Gesù sia per noi sorgente di appassionato servizio ecclesiale e civile.

4.      Mistero di morte e resurrezione
«Dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio» (Lettura, Gio 2, 3.7). La preghiera di Giona nell’abisso prefigura l’indicibile – perché umanamente incomprensibile – certezza di Cristo di essere liberato dalla morte. Ed il suo mistero di morte e risurrezione getta viva luce anche sul nostro mistero di morte e risurrezione.

5.      Abbiamo dove vivere e di chi vivere
La solenne Liturgia cui stiamo partecipando ci ha fatto entrare nel Triduo Santo, cioè nei tre giorni centrali dell’intera storia umana. Essa attua «una misteriosa contemporaneità tra quel Triduum [originario] e lo scorrere dei secoli» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 5).
Per questo anche noi oggi, ascoltando Sant’Agostino, possiamo affermare con animo grato: «O sacramento dell'amore di Dio! … Chi vuole vivere ha dove vivere, ha di chi vivere. Si accosti, creda, sia unito al corpo di Cristo per divenire vivo» (“O sacramentum pietatis!… Qui vult vivere, habet ubi vivat, habet unde vivat. Accedat, credat, incorporetur ut vivificetur”, In Io. Ev. tr. 26, 13).
Gesù ci chiama in questa Eucaristia in Coena Domini. Ci chiama per accoglierci, come ci ricorderà fra poco il Canto dopo il Vangelo: «Oggi, o Figlio di Dio, come amico al banchetto tuo stupendo ci accogli». Amen

Nessun commento: