venerdì 18 aprile 2014

La Croce, un amore che si perpetua nel tempo

Croce di Sestino
Lo conoscono in pochi questo paesino sperduto tra gli Appeninni, proprio sotto il Sasso Simone e
Simoncello, dove la parte marchigiana del Montefeltro, confina con la Toscana. Si chiama
Sestino ed era la sesta provincia romana, la più vicina al Mare Adriatico. Qui, oltre a un museo
che raccoglie i resti dell'antica provincia romana, si possono ammirare due crocefissi di
scuola (giottesca) riminese.

Entri nella pieve di san Pancrazio e non puoi fare a meno di sollevare lo sguardo.
Nel catino absidale pende una croce dipinta bellissima e maestosa, carica di simbologia.
Forse unica nel suo genere.

Il Cristo maestoso e bianchissimo adagia le braccia sulla croce come per raggiungere i
confini della terra. Le trafitture dei chiodi gettano rigoli di sangue e i piedi sono inchiodati
insieme e non separatamente, com'era d'uso nei crocefissi fino all'XI secolo.
Questo è già il Christus Patiens col volto dolente e gli occhi chiusi. Dal suo fianco ferito
zampillano sette rigagnoli di sangue che cadono idealmente sopra l'altare sottostante.
Gli altri due rigagnoli di sangue corrono lungo il corpo del Salvatore. Questa ferita è
la sorgente dei sette sacramenti e del comandamento nuovo dato da Gesù ai suoi
(l'amore a Dio e l'amore al prossimo). Da qui nasce la nuova Eva, la Chiesa,
simboleggiata dalla Madonna e da San Giovanni che si trovano nei terminali del
braccio orizzontale della croce. Ma quello che più sorprende è il simbolo del pellicano
che campeggia proprio sopra il capo di Cristo, tra la scritta INRI e la cimasa.
Il pellicano, che secondo la tradizione si ferisce il petto per nutrire con la sua
carne i piccoli, è immagine di Cristo, Pie pellicáne, Jesu Dómine lo definisce, infatti San
Tommaso nell'Adoro te devote. Il pellicano è, dunque, un potente richiamo simbolico
al Giovedì Santo, al momento in cui Cristo istituisce la nuova Pasqua nel suo sangue.
Il pane e il vino distribuiti nell'ultima cena ai suoi, segno del suo Corpo dato e del
suo Sangue versato, rivelano tutta la pregnanza di significato nell'ora della croce.
Sulla croce, davvero Cristo è il pio pellicano che dà se stesso in cibo.
Croce Sestino, particolare: Il Pantocratore
Lo scomparto collocato nella parte più alta del braccio verticale, la cimasa,
presenta il Cristo Pantocratore, Signore di tutte le cose; il Giudice, colui che verrà a
giudicare i vivi e i morti per mezzo della sua Parola potente, una spada a doppio
taglio che penetra fino alle midolla rivelando all'uomo la verità. L'immagine è classica:
Cristo ci guarda fisso, con il libro in mano e lo sguardo benedicente, veste di
rosso e di blu, colori che rimandano alle sue due nature: quella umana e quella
divina. Nella mano sinistra tiene stretto il libro della Parola e porta il pettorale
del sommo sacerdote: è il Cristo, giudice, re e sacerdote, rientrato in quella gloria
che già possedeva prima che il mondo fosse.
Al fedele che si accosta all'altare o che partecipa alla liturgia della Messa nella
pieve di san Pancrazio, la croce racconta sinteticamente i giorni più importanti
dell'anno liturgico: il triduo pasquale. Sono i giorni fondanti la nostra fede e narrano
il kèrigma: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è
risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai
Dodici» (1Cor, 15, 3-5). Non a caso sotto il pellicano ci sono quattro piccoli, simbolo di
quegli evangelisti che in tutto il mondo hanno diffuso la volontà del loro Signore:
compiere ovunque quel gesto in memoria di Lui.
Sì, Cristo ha patito per noi e si è liberamente consegnato alla morte per la
nostra salvezza. E che quest'uomo crocefisso si sia liberamente dato, si evince dalla
maestà del suo morire e dal simbolo del pellicano che, appunto, liberamente dà la
sua carne. E ciò avviene non principalmente per una espiazione, ma per la vita dei
suoi piccoli.
Allo stesso modo, che il Pantocratore della cimasa non sia un giudice implacabile
che incute timore, ma un Dio misericordioso e fedele, lo dice ancora il pellicano e
l'offerta sacrificale sulla croce: il Signore Gesù giudicherà il mondo a partire dalla misura
di questo amore.
Così le croci dipinte, pur nell'abbondanza dei rigoli di sangue e nell'evidenza del
pallore mortale, non vogliono rappresentare un dolore, ma vogliono rivelare un
amore la cui grazia santificante si perpetua nel tempo grazie alla liturgia della Chiesa.
Tanto nella Pasqua di ogni anno che nella pasqua settimanale.
Gloria Riva

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