domenica 13 aprile 2014

FECONDAZIONE «Non sottraiamoci a questa sfida»

 Il sì all'eterologa non tiene conto di molte cose (gravi). Ma ora costringe tutti - favorevoli e contrari - ad andare a fondo alla questione. Al desiderio di essere genitori. Al rapporto con i figli. Alla domanda di felicità di ciascuno
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa: un intervento radicale che, mentre - ahimè - elimina una delle tante eccezioni italiane in campo bioetico, allinea il nostro Paese al resto dell’Europa.
Impossibile non percepire il contraccolpo, la sfida che questa decisione riverbera su ognuno di noi e sui contesti sociali di cui facciamo parte; non si può voltare pagina e dedicarci alla cronaca internazionale o alle notizie sul tempo libero, le istruzioni per l’uso che ormai sempre più spesso i giornali ci propongono per deviare l’attenzione dai drammi del mondo descritti nelle loro pagine precedenti.
Che cosa c’è in gioco?

Certamente l’eliminazione di una barriera alla autodeterminazione procreativa: desideri che non trovano risposta, tensioni e drammi personali che si scontrano con divieti normativi in apparenza irragionevoli, visto che ormai «lo fanno tutti» e che «se ho i soldi lo posso fare all’estero (ingiustizia sociale)» ma anche la natura (umana) che viene toccata da una scienza onnipotente perché, in apparenza, capace di vincere la sterilità. E, davvero, si tratta di una vittoria contro un nemico insidioso: chi ha vissuto questo dramma, chi ha pianto – mese dopo mese – per la delusione di una attesa che non si compie, ben sa che in esso si riverbera ancora in modo potente tutta la forza negativa, l’ombra sinistra della maledizione biblica, mentre il figlio, la fresca sorpresa della fecondità, è il segno più potente di una benedizione. 

Uomini e donne non possono non desiderare di essere benedetti. Essi desiderano sperimentare e continuamente risperimentare la soddisfazione pur piena di sacrificio che deriva dal sentirsi fecondi, capaci di dare vita, di permanere tramite la propria stirpe nella storia del mondo, utili alla stessa.
La legge e la scienza possono assicurarci tutto questo? Certamente no, è ovvio. Non c’è legge o scienza che possa assicurare all’uomo la pienezza a cui aspira se non in modo temporaneo, in una forma cioè che solo rimanda al dopo lo scontro con il proprio limite, con il proprio essere stanchi, delusi, depressi, insomma mortali. Eppure, si dice, la legge e la scienza possono almeno togliere barriere, eliminare ostacoli, costruire diritti al di là dei quali si profila la meta della realizzazione di sé e dei propri desideri: un compito di cui si può essere contenti, almeno ad interim, mentre si tende la mano per afferrare l’oggetto del desiderio, che per ora è solo promesso, non garantito.

E, pertanto, viene quasi spontaneo chiedersi che cosa viene dopo. La domanda sul dopo non è solo temporale («del doman non c’è certezza»); essa può anche essere ignorata. Per chi vive un momento di dramma il sollievo, anche temporaneo e transeunte, è già quasi tutto, è già tutto.
Eppure vi è un dopo, che è già presente ora, perché molte domande incombono: che ne sarà dei “donatori”, delle “donatrici”, di chi dà un pezzo di sé per gratuità o per denaro, di chi dà senza voler essere scoperto (donatori anonimi come madri anonime)? Che succederà quando uno o una non vorrà (o non potrà) portare in grembo il figlio ma affiderà questo compito ad un’altra donna, che lo farà magari anche per denaro, per bisogno, ma che poi in qualche caso vorrà tenerlo? Sarà possibile arrivare a tanto o occorrerà eliminare un’altra barriera e contrattualizzare i complessi rapporti tra diverse madri e padri e i conflitti che potranno nascere? Una società, un giurista, un parlamento, dovrebbero porsi da subito questo domande e prefigurare – forse anche prima di certe decisioni - soluzioni razionali oppure barriere che siano lì per preservare e non solo per vietare. In questo – è innegabile – una sentenza non basta, non è essa stessa onnipotente; essa fa un passo, il cui valore o disvalore si rivela nel tempo: sarà stato un passo prudente o avrà aperto un’altra falla all’individualismo, alla materializzazione dei rapporti umani, alla mercificazione e al consumo anche di quel particolarissimo rapporto che lega madri e padri ai loro figli? C’è da sperare che la scelta sia stata ponderata, che si possa essere attenti alle conseguenze della stessa e pronti, se mai, a fare un passo indietro se si vedranno conseguenze troppo negative, come forse ci si potrebbe aspettare e come tante esperienze estere testimoniano. Un’eccessiva enfasi trionfalistica, la ferma convinzione di aver fatto giusto perché "i diritti sono sempre un bene e più ce ne sono meglio è", non sono buoni amici della dovuta prudenza, merce rara di questi tempi.

Ma, se vogliamo, la sfida è ancora più al fondo e radicale e coinvolge tutta la società, non solo i genitori con sterilità assoluta; anzi, forse per loro è meno facile dar per scontata la ricerca della benedizione, ad ogni costo, mentre chi ha tutto si gode il sonno della ragione, la soddisfazione sorda e senza gratitudine.
Come non pensare, come non chiedersi, davanti a questi fatti: che ne sarà di me, di me nel rapporto con questo figlio, con questo desiderio realizzato? Che ne sarà di lui quando vorrà fondare nella certezza della propria appartenenza cromosomica tutta l’incertezza della sua identità di adolescente che si affaccia alla storia, una identità non percepita fino in fondo come vera, percepita – forse – come alterata? Che dirò a mio figlio quando mi chiederà perché l’ho messo al mondo con i geni di uno che né lui, né io conosciamo, di un padre che non vede mentre vede il padre a cui – come tutti i figli – prima o poi si ribellerà (e vivaddio se non è bene che questo accada perché la sua persona si sviluppi fino alla maturità)? Che ne sarà di lui, qualunque siano i suoi cromosomi? Tutto questo non è solo dei figli in provetta, con cromosomi naturali o scelti a caso. È di tutti noi, ora, che viviamo con soddisfazione ma anche con dramma il rapporto con i nostri figli.

Se il sì alla fecondazione eterologa di una Corte che non vedeva l’ora di essere molto “europea” può far emergere questa sfida, la sfida del senso dell’essere madri e padri, non sottraiamoci: giudicando l’accaduto, vedendone i limiti e le incoerenze (che sono tante) potremo forse uscirne un po’ meno distratti e superficiali, più capaci di guardare con magnanimità ai figli che abbiamo, agli amici che ci stanno intorno. Se questa sfida sarà raccolta in tutta la sua portata e non solo per sentirsi a posto avendo già in tasca le risposte giuste, può darsi che, alla fine del cammino, si rafforzi la convinzione che non legge o scienza possono compiere il nostro desiderio. E, forse, si potrà guardare con un po’ più di verità a Chi, come nel racconto biblico, è capace di dirci «Avrai un figlio», cioè lo avrai, sarà tuo per sempre, oltre la sua ribellione, oltre il suo limite – fisico o morale - che oggi ti scandalizza, oltre la sua e la tua morte, lo avrai per sempre perché Io, che te lo dono, sono anche capace di salvarlo, cioè di conservarlo a te e al mondo per sempre. Nasce, da subito, una gratitudine senza confini. Lorenza Violini

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