martedì 15 aprile 2014

Nel «sì» di un prete la grandezza della Chiesa



U
na sera di inizio primavera. La stanza che s’affaccia sul cortile è silenziosa, rischiarata appena dalla luce giallognola di un abat-jour. Dalla bombola l’ossigeno scorre con un gorgoglìo lieve di acqua.
  Il malato si è aggravato rapidamente.
  La malattia ne ha scavato drammaticamente i tratti del volto (come, nelle ultime ore, gli uomini assomigliano a un Cristo sofferente).
  Si sta seduti accanto, gli si tiene una mano, si tace. La visitatrice che si
 avvicina, inesorabile, svuota di senso ogni parola. Ogni passione, ogni interesse di fronte a lei si rivela una apparenza illusoria, e incenerisce. Che cosa resta?
  L’ossigeno non basta a soddisfare il respiro affannoso. Una campana suona, lontano. Non hai più idea di che ore siano. Anche il tempo, in quest’ombra, ha perduto la sua consistenza. Dalle case attorno deboli echi di telegiornali, e rumori di scodelle e stoviglie. Devono essere passate le otto e mezza. Quanto lunga sarà, questa notte?
  Si galleggia nel nulla, e la prospettiva consueta delle cose sembra divelta. Le preoccupazioni quotidiane paiono così da poco, e le ambizioni e i progetti, così
 vani. Nei tratti del malato, già altri da quelli che tu ricordi, avverti l’inesorabile incalzare di una forza che ti è straniera. Il petto che sussulta a ogni battito del cuore è un combattimento estremo: non vogliono arrendersi, gli uomini, alla morte.
  Si decide di chiamare un sacerdote. È la sera di un sabato, e, ci si dice, tutti sono fuori casa, e hanno da fare. Anche il parroco, infatti: ha la festa dell’oratorio, e i genitori da intrattenere. Dalla cornetta avverti grida e risate di bambini. ( Tutto, qui dentro, pare sideralmente lontano). Ma il sacerdote non esita: «Dieci minuti e sono lì», dice, e lo immagini che impartisce ordini ai ragazzi più grandi, e agli adulti spiega che lo dovranno aspettare: ha una cosa
 importante da fare.
  E in dieci minuti è qui, davvero. Non fa domande, non chiede se il malato fosse devoto, o andasse a Messa. Chino sul letto di un uomo che agonizza amministra i Sacramenti; infine tutti, a bassa voce, si recita un’Ave Maria.
  Poi va, e mi lascia come in un commosso stupore. Cos’è la Chiesa, stasera me ne accorgo: con tutti i suoi peccati, è una madre che, chiamata, non domanda dove sei stato, o cosa hai fatto in tanti anni. Ma viene, subito, e abbraccia – come una madre, che vuole bene al di là di ogni torto o ragione.
  Nelle stanza nell’ombra, adesso, la notte avanza, ma non più nemica come prima.
 

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