venerdì 18 aprile 2014

VENERDÌ SANTO: LA PROVA E LA GIOIA LA FEDELTÀ CHE RESTA


Giorno di silenzio e di smarri­mento, il Venerdì Santo. Ed è co­me se il buio che ricopre la terra allo spirare del Signore invades­se anche la vita delle donne e de­gli uomini, e il grido di dolore e di fede del Dio che muore avesse un’eco nel cuore di ciascu­no, risvegliando la consapevolezza delle no­stre angosce e della nostra fatica di vivere.
  Nell’Uomo dei dolori che, chino sotto la cro­ce, cammina verso la cima del monte Calva­rio, vi è tutta un’umanità dolente che, come lui, è ferita dalla vita, appesantita dal vivere quotidiano. Cammina anch’essa sotto il pe­so di una croce cui in molti casi non sa dare un nome, e tanto meno un senso. Qualche volta si chiede 'perché', 'perché proprio a me', più spesso si chiede dove troverà le for­ze per arrivare fino in cima; vorrebbe fermarsi un attimo a riprendere fiato; o anche solo re­stare a terra, dopo essere caduta. Ma sa che non ci si può fermare, che occorre andare a­vanti,
 fino alla vetta. Questa umanità è sacramento dell’Uomo dei dolori e continua a rendere presente oggi il percorso che Lui ha compiuto verso il Golgo­ta. È l’umanità che urla la propria rabbia, e quella che silenziosamente, con discrezione, tiene tutto dentro di sé, con la dignità com­posta di chi accetta che la sofferenza e la mor­te facciano parte della vita. Quando incon­triamo questa umanità, sfigurata, umiliata, rifiutata, sappiamo che incontriamo Lui. Pos­siamo dire di aver contemplato con verità il Signore crocifisso se sappiamo riconoscere il Suo Volto nei volti che ci circondano: in quel­lo dei giovani che non vedono un futuro per la loro vita, dei malati tentati di pensare che la loro esistenza non serve più a nulla, dei di­soccupati alle prese con la preoccupazione del pane quotidiano, delle famiglie lacerate dai conflitti, delle persone che trascinano le loro giornate senza slancio, senza uno scopo, senza un ideale.
  Forse ci viene da desiderare di essere come il Cireneo, che allevia per qualche passo la fati­ca del Cristo; o come quella donna che se­condo la tradizione asciuga il volto sangui­nante di Gesù. Gesti belli, che vogliono op­porsi al dolore, a ricordarci che siamo fatti per la vita. Ma forse vi è un amore ancora più gran­de: quello della donne che stanno, silenziose presenze, ai piedi della Croce. Sembrano an­nientate dal dolore, eppure hanno la forza di una fedeltà che resta, e sfida la morte. Guar­dano da lontano, e lasciano che i loro occhi siano pieni dell’immagine del dolore del loro Signore; che il loro cuore sia abitato dallo stra­zio
 di questa Vita che muore. Oggi il Signore ci insegna soprattutto a sentir­ci parte di questa umanità sofferente, a non volerci chiamare fuori da questo popolo che cammina avendo come capofila un Dio che ha voluto condividere l’umanità in tutte le di­mensioni più fragili, più umilianti, più scan­dalose. Anche chi non conosce o non ricono­sce Gesù è dentro questa folla; non ha la con­solazione di sapere che davanti a tutti cam­mina Lui, ma l’Amore che salva avvolge tutti, nessuno escluso!
  Oggi sembra il trionfo della morte. Oggi è il trionfo dell’amore. Oggi è giorno di contem­plazione del Signore e del Suo Volto piagato; è giorno di silenzio davanti al mistero dell’u­manità che in Lui riconosce di essere fragile; è giorno di quella compassione e di quella pietà che rendono il cuore umile e mite. «Noi ti a­doriamo, o Cristo. Con la tua croce hai ridato vita e speranza all’umanità». Questo silenzio adorante ci è dato perché possiamo riscopri­re dentro di noi che la morte, anche quella del rinnegare ogni giorno se stessi, vissuta nell’a­more, genera una vita nuova.
  Chi sta con il Signore, nel silenzio sbigottito di una morte che sembra una fine, come le don­ne può vedere la vita che risorge! La luce e la gioia della Pasqua scaturirà dalla nostra di­sponibilità ad attraversare insieme al Figlio o­gni sofferenza e ogni limite; sarà generata dal­la mitezza e dall’amore con cui avremo fatto posto dentro di noi anche al dolore della vita.
   PAOLA BIGNARDI 

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