giovedì 24 aprile 2014

ASSEDIO DEL «PENSIERO UNICO» LE PAROLE DELLA VITA

 

Nell’udienza del 4 aprile Papa Fran­cesco ha evocato Genesi, la crea­zione dell’uomo e della donna, al­l’origine del genere umano, ricor­dando che «il matrimonio è l’ico­na dell’amore di Dio con noi». Nei giorni suc­cessivi si è soffermato sul ruolo complementare che padre e madre svolgono nell’educazione dei figli, che non può essere negato per via ideologi­ca: di qui l’invito a non cedere, a non piegarsi al «pensiero unico» che vuol impossessarsi delle menti, rovesciare i valori della persona, cancel­lare le parole più belle. In passato avremmo con­siderato questo magistero come memoria dei doveri primordiali della coscienza cristiana e d’o­gni persona. Oggi ci accorgiamo che le parole della vita pronunciate dal Papa sono motivo di stupore, appaiono come delle verità ferite. For­se perché qualcuno vuole farle dimenticare, in­sieme alle nostre origini, e d’improvviso ne sen­tiamo nostalgia. O perché c’è chi le vuole inqui­nare, e mette a rischio la nostra identità.
  Il rapporto tra uomo e donna è sperimentato da ciascuno di noi nel momento in cui nasciamo, lo percepiamo nell’armonia delle loro diversità, lo scorgiamo negli occhi, nelle mani, nei corpi della madre e del padre, che ci curano fin sulla soglia della prima autonomia. Ma dal pensiero socratico e lungo i secoli, fino a Martin Heideg­ger, sappiamo che l’autonomia per l’essere u­mano non è mai totale, si realizza nel rapporto con gli altri, anzitutto con l’altro-da-sé. Ciò che all’inizio è essenziale per entrare nella vita, ave­re amore e protezione, poi diventa gioioso e fe­condo per realizzare un progetto comune in cui convergono le aspirazioni più intime, compresa l’apertura a nuove esistenze. Quel «
 fiunt una ca­ro » ricordato dal Papa con le parole bibliche co­stituisce il punto decisivo nel quale uomo e don­na mettono insieme tutto ciò che hanno, corpo e psiche, desideri e progetti, perché la vita dia lo­ro molto di più, si proietti in altri esseri umani, doni un surplus di significato e di valore a ciò che fanno.
  Oggi queste realtà naturali, che costituiscono l’o­rizzonte dell’essere umano, rischiano d’essere offuscate, inquinate, con danno soprattutto per i giovani. Nelle pieghe della società si muove qual­cosa di distruttivo che non ha memoria storica, né sponda o appiglio in alcuna cultura o religio­ne: qualcosa che dice che maschio e femmina non esistono, esiste solo ciò che vogliamo esse­re, diventare, c’è un vocabolario vuoto che pos­siamo riempire a volontà, e il matrimonio può es­sere usato da chiunque, e rifiutato quando si vuo­le. Questo frammento di pensiero unico dice an­cora che il figlio può aversi in tanti modi, anche per acquisizione, con genitori sociali diversi dai naturali, senza fruire di padre e madre insieme, per contratto più o meno oneroso, divenendo, da soggetto di diritti, oggetto di desideri altrui, per­dendo
 la qualità di persona. 
Quasi a riassumere il pensie­ro neo-nichilista, un filosofo italiano esperto di bioetica è giunto a porre una domanda pri­ma inconcepibile: «Perché mai dovremmo dogmaticamente as­sumere che la nozione psicolo­gica di Io o identità personale e­sige necessariamente che si co­nosca il proprio padre e madre, il proprio luogo e anno di nasci­ta, i propri familiari?». Già, per­ché mai? Forse perché ce lo chie­dono la nostra coscienza, il no­stro essere persone e non ogget­ti. Forse perché sappiamo che o­gni giorno, ogni minuto, su tutto il pianeta, nasce da donna un bambino, abbracciato e amato dai genitori che l’hanno messo al mondo, e il nuovo nato ha dirit­to a conoscere la verità su sé stes­so.
 
 Anche in Italia stiamo sperimen­tando una sorta di accelerazione del «pensiero unico», a seguito di provvedimenti giudiziali sul ma­trimonio tra persone dello stes­so sesso, e per la sentenza della Consulta sulla fecondazione ete­rologa, che spezza il rapporto tra genitori naturali e genitori so­ciali. Una riflessione più ampia si potrà fare quando si conosce­ranno le motivazioni della sen­tenza, ma avvertiamo come l’in­crinarsi di una diga, il rischio che la Costituzione, ispirata a princì­pi umanistici, divenga un conte­nitore nel quale invece che dirit­ti e doveri solidali, si convoglino desideri, pretese individuali con­trarie ai diritti degli altri, certo dei più deboli. È un vulnus che col­pisce la «famiglia naturale» tute­lata dal patto costituzionale del 1948, e suggerisce un’attenzione particolare per il rischio di altri strappi in materia di matrimo­nio, adozione, diritti dei minori. Ogni giorno che passa sentiamo l’urgenza di un impegno per di­fendere le parole della vita, il lo­ro più autentico significato, e re­cuperare nell’esperienza collet­tiva, nella scuola, nelle istituzio­ni, il senso di solidarietà e di cu­ra per le nuove generazioni, dei più indifesi. Il periodo pasquale che abbiamo appena vissuto e­voca la morte e la risurrezione di Gesù, parla ai cristiani in tanti modi, a tutti gli uomini ricorda che insieme alla sofferenza dai tanti volti, e dell’innocenza feri­ta, deve unirsi la fede nella risur­rezione che riguarda il destino personale di ciascuno di noi, ma anche la rinascita di valori uni­versali che il cristianesimo ha in­trodotto nella storia umana, cambiandola ed elevandola.
  È un impegno pieno di difficoltà, ma ricco di prospettiva perché ancorato a quell’umanesimo che è a base dei diritti umani che l’Europa e l’Occidente hanno e­laborato e offerto a tutto il mon­do, e che oggi corrono il rischio di un declino proprio sul punto nevralgico della tutela dei più de­boli.
 
 Carlo Cardia
 

Nessun commento: