martedì 22 aprile 2014

Ha mosso il mondo con due righe della Genesi- Il testo integrale dell'intervista a Navarro Valls

Giovanni Peolo II e Joaquín Navarro-Valls.
Joaquín Navarro-Valls è stato uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, per 22 anni direttore della Sala Stampa vaticana. Nei suoi occhi e nella sua mente c’è la vita eccezionale di un successore di Pietro, che ha riportato Gesù Cristo nel centro del messaggio della Chiesa universale. Con lui Tracce riflette sulla lettura politica del pontificato.

Uno de filoni d’interpretazione del pontificato di Giovanni Paolo II riguarda le conseguenze politico strategiche della sua grande missione pastorale. Certo, eleggere Papa un cardinale polacco voleva dire andare a cercare un rappresentante della Chiesa cattolica al di là della “Cortina di ferro”, per usare l’espressione di Churchill. E tuttavia non si può davvero dire che Wojtyla avesse un progetto politico...No, non aveva un progetto politico. Aveva qualcosa di più importante: aveva un progetto umano. E questo è oggi la cosa che ancora manca di più. Se non si ha una solida antropologia, com’è possibile legiferare, organizzare la vita sociale e politica delle società e dei popoli che sono formati da uomini di cui non si sa “chi” sono? Una tale opacità antropologica è, ancora oggi, il dramma numero uno nella nostra cultura.

Il suo primo messaggio fu tutto rivolto a riportare, per così dire, al centro della scena Gesù Cristo, penso al primo discorso in piazza San Pietro: «Spalancate le porte a Cristo!»...Quel primo discorso nell’inaugurazione del suo Pontificato conteneva già, in nuce, tutta la concezione della sua missione. Ricordiamo quali erano le coordinate culturali in quei momenti: da una parte lo strutturalismo e d’altra parte il marxismo. Non tanto il marxismo reale dell’Est europeo - che era diventato meramente una tecnica di potere – ma il marxismo accademico per esempio della scuola di Francoforte. Erano delle visioni chiuse sull’uomo, senza apertura alcuna, dov’era problematica l’idea stessa di persona. In totale contrasto, c’era il pensiero di Karol Wojtyla sviluppato in Persona e atto. La radice del Pontificato di Giovanni Paolo II era preservare l’apertura trascendente della persona umana minacciata da essere trattata come cosa.

Anche la sua prima enciclica, la Redemptor hominis, è tutta incardinata su «Cristo centro del cosmo e della storia». In che senso parte da lì anche la sua missione più “politica”?Lui cominciava sempre dal principio. E cioè l’origine della persona umana, da quelle due righe della Genesi che sono la prima biografia dell’essere umano: «E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza». La storia è la conseguenza argomentativa di quell’atto creatore. Ma Dio non soltanto ha creato l’uomo: lo accompagna durante tutta la biografia personale. Per questo ha potuto dire alla Piazza della Vittoria, a Varsavia, nel suo primo viaggio in Polonia nel 1979: «Cancellare Cristo dalla storia dell’uomo è un peccato contro l’uomo». Essere consapevole di questo, è anche essere consapevole della menzogna del sistema comunista di allora. E può essere – come in realtà lo è stato storicamente – la pietra di sostegno di un grande movimento di cambiamento socio-politico. Ma questo non è di per se “politica”: è, alla base, un principio di identità personale che tende a costruire un ecosistema adeguato all’essere umano.

Fra le conseguenze della centralità di Gesù Cristo nella storia ci sono anzitutto libertà della persona e solidarietà fra gli uomini e una visione “sussidiaria” della società... Qui è forse la radice di movimenti dal basso, a cominciare dal sindacato polacco Solidarnosc? Poi per così dire “codificata” nella Sollicitudo rei socialis?Sarei d’accordo ma cambierei la cronologia: i principi c’erano già prima di Solidarnosc anche se furono poi esplicitati nella Sollicitudo rei socialis.

Il lavoro come creazione dell’uomo, a immagine di Dio, nella Laborem exercens...La natura umana ha bisogno del lavoro: postula il lavoro per poter realizzarsi come persona. Non è che l’uomo lavora soltanto per sopravvivere: lavora per poter essere se stesso. Le pagine dell’enciclica su questo punto sono stupende. E naturalmente non potevano non riferirsi anche ai documenti conciliari che avevano trattato l’argomento. Come la Gaudium et spes.

Si sono scritti interi libri sull’alleanza “occidentale” negli anni Ottanta fra Roma e Washington, persino l’attentato subito in piazza San Pietro può essere comunque connesso alla tensione di un mondo che fino ad allora era diviso un due blocchi di influenza, secondo l’accordo di Yalta...Non c’è stata quella “santa alleanza” che qualcuno aveva menzionato in quei anni. Anzi, presenziando ai colloqui in quei anni tra Giovanni Paolo II e Ronald Reagan, vedevo sempre molto chiara la differenza tra i due. Uno parlava del “impero del male”. L’altro di un’«Europa dall’Atlantico agli Urali». Uno ignorava che il cristianesimo era in Russia da mille anni. L’altro sapeva che l’anima cristiana rimaneva viva nella Unione Sovietica. Due linee in parallelo che non potevano coincidere.

E tuttavia la posizione coraggiosa e profetica assunta di Giovanni Paolo II all’inizio degli anni Novanta contro le guerre “occidentali”, a cominciare da quella nel Golfo, ha dimostrato che non si trattava di un’alleanza pregiudiziale, frutto di un “progetto politico”...Ripeto, c’è un altro piano più alto e più basico che quello politico. È il piano etico. E questo piano non è congiunturale o applicabile soltanto al confronto Est-Ovest. Perché è un piano antropologico. Giovanni Paolo II ha fatto di tutto per evitare sia la prima che la seconda guerra del Golfo. E anche se non è riuscito a evitare quelle due guerre, è riuscito ed elevare la sensibilità etica circa gli scontri bellici. La storia ha dato ragione a lui.

In sintesi, lei che è stato accanto per anni a questo Papa santo, che impressione conserva del suo modo di agire più “politico”?Rispondo con le parole che ha detto Michail Gorbaciov in una intervista di pochi anni fa: «Direi che i concetti politici di Giovanni Paolo II, il suo pensiero politico, scaturiva dalla sua spiritualità e si nutriva del suo pensiero spirituale». Non male per una persona che dice di essere agnostico. Ma Gorbaciov aveva capito questa radice originaria in Giovanni Paolo II.

Potremmo dire, per citare il regista italiano che ha appena vinto l’Oscar, che il suo agire politico è stato una “conseguenza dell’amore”?Direi che non è conseguenza dell’amore ma è già in sé amore. Amore per la verità e per gli uomini.
 http://www.tracce.it/ - Alessandro Banfi

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