martedì 22 aprile 2014

Quando Papa Wojtyla si inchinò a Gandhi

Giovanni Paolo II
(©ANSA) GIOVANNI PAOLO II

A pochi giorni dalla canonizzazione, un missionario ricorda il primo viaggio di Giovanni Paolo II in India, Paese che col pontefice polacco ebbe spesso un rapporto dialettico



Se c’è un Paese e una Chiesa che hanno costituito per Giovanni Paolo II una sfida (e financo, in alcuni casi, una spina nel fianco), questi è indubbiamente l’India. Basterà ricordare che, nella seconda metà degli anni Novanta, prima del viaggio di Wojtyla in India per la consegna dell’esortazione apostolica “Ecclesia in Asia” (novembre 1999), due teologi indiani, entrambi gesuiti, finirono nel mirino della Congregazione per la Dottrina della Fede: Anthony De Mello, celebre autore di best seller, condannato nel 1998 (dopo la sua morte) per essersi avvicinato troppo a una religiosità cosmica simil-new age e Jacques Dupuis, docente alla Gregoriana e consulente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, autore di un testo, “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”, sul quale si addensarono le critiche dell’ex-Sant’Uffizio. All’indomani della sospensione di Dupuis dall’insegnamento – tanto per dire il clima -  monsignor Henry D’Souza, arcivescovo di Calcutta, accusò il Vaticano di voler “imbavagliare” i teologi, prendendo di mira soprattutto l’India (il vescovo si riferiva anche a un terzo teologo finito sotto processo, Tissa Balasuriya, religioso degli Oblati di Maria Immacolata, originario dello Sri Lanka, nel subcontinente indiano, scomunicato nel 1996 e successivamente riammesso nella Chiesa cattolica).

Stanti queste premesse, è una bella sorpresa leggere nell’ultimo numero di “Mondo e Missione”, mensile del Pime (Pontificio Istituto Missioni estere) la testimonianza di un missionario di lungo corso, padre Carlo Torriani, dal titolo “Quando il Papa imparò da Gandhi”, riferita al primo dei due viaggi in India compiuti da Giovanni Paolo II.

«Il viaggio che Papa Wojtyla compì nel febbraio 1986 fu un avvenimento straordinario per i cristiani indiani, che suscitò reazioni contrastanti. Senza dubbio diede una coscienza di comunità ai fedeli cristiani di differenti denominazioni nel Paese, ma catalizzò anche l'opposizione del mondo indù, che sfuggì al dialogo», scrive Torriani.

Fu un viaggio intenso, con molte tappe. «In dieci giorni Papa Wojtyla pronunciò quarantatre discorsi ma, a mio parere, il momento più significativo della sua visita fu la sua lunghissima pausa in silenzio, in ginocchio, di fronte al mausoleo di Mahatma Gandhi nel suo primo giorno a New Delhi. Tutti i discorsi pronunciati nelle varie città erano preparati e, in qualche modo, scontati, ma questo gesto di un Pontefice che s'inginocchia per più di cinque minuti, rompendo i tempi protocollari, sulla tomba di un uomo a cui nel 1931 era stata rifiutata un'udienza da Pio XI, ha qualcosa di straordinario».

Continua il racconto di “Mondo e Missione”: «Un Papa che silenziosamente riconosce lo sbaglio, per motivi politici, di un suo predecessore e ripara. Un Papa che non predica ma ascolta. Come lui stesso avrebbe detto ai giornalisti sull'aereo di ritorno: “Ho imparato molto da lui e non ho vergogna a dirlo”. Un Papa che non insegna ma impara, o che insegna imparando».

Padre Torriani, infine, ricorda che «nel corso del viaggio di ritorno, ai giornalisti che chiedevano le sue impressioni, Wojtyla fece un elogio di Mahatma Gandhi. “Penso che Gandhi sia ancora vivo. Non solo è ancora vivo ma è rimasto quanto mai necessario per noi, per il nostro Occidente. Non è mai stato un cristiano e non ha mai preteso di esserlo, ma io ho imparato molto da lui. I cristiani possono imparare da lui come essere cristiani. La prova è che l’ho citato nelle mie omelie”».

Conclude il Missionario del Pime, celebre per aver fondato un “ashram” (luogo di spiritualità) interreligioso dove sono accolti i lebbrosi: «Questo atteggiamento e queste parole del Papa dovrebbero aprire ancora oggi gli occhi a tutta la Chiesa: l’incontro con l’Oriente deve essere un arricchimento vicendevole. Il movimento missionario dovrebbe far cambiare la Chiesa in Occidente. Il Papa disse di avere “imparato”: speriamo che tutta la Chiesa “impari”. La nostra conversione deve precedere quella degli altri».GEROLAMO FAZZINI

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