mercoledì 9 aprile 2014

«Il potere non è iniquo se afferma la verità»



« Non è vero che il potere è sempre iniquo. Non lo è se accetta di sottomettersi al­la verità e la afferma, a viso aperto». E così diventa «servizio», orientato alla «costruzione della Chiesa, all’edifica­zione di una società giusta». È la rifles­sione che il cardinale Angelo Scola of­fre all’assemblea che gremisce il Duo­mo per la quarta Via Crucis di Quaresi­ma, commentando la XIII stazione,
 Ge­sù è deposto dalla croce, dove si ricorda la figura di Giuseppe d’Arimatea, «membro del sinedrio, buono e giusto», che «non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri» e «aspettava il re­gno di Dio». Giuseppe «si chiama co­me lo sposo di Maria e, come lui, è giu­sto », cioè «vive con verità le tre relazio­ni costitutive di ogni uomo e di ogni donna: con Dio, con gli altri, con se stes­so ». 
 Oggi sarai nel Paradiso
 era il tema del­la quarta e ultima tappa del cammino di Quaresima Lo spettacolo della Croce.
 
 Un’occasione per riscoprire, nel «dolo­re per i nostri peccati», l’abbraccio del­la misericordia divina che «ci rende li­beridavvero». 
 Gesù muore in croce :
 alla XII stazione Scola rinnova la preghiera del buon la­drone – «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Il ladrone? È «fi­gura della speranza cristiana, cioè del­l’attesa certa di un bene futuro», dice il cardinale citando «il grande» Tomma­so d’Aquino. E il regno? È «la condizio­ne di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per quella dei nostri cari, per quella di tutta la famiglia umana e del cosmo intero». Ma «la ri­sposta di Gesù sorpassa ogni speranza, perché brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: Oggi con me sa­rai nel Paradiso ». Spiega Scola: «La cro­ce ci consente di attingere dal cuore di Cristo la sublime conoscenza dell’a­more ». Gesù, «anche nel momento più buio dell’umana esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo straziato dalle sofferenze più a­troci e il cuore pieno di angoscia, non cede il suo essere-in-relazione» e «con­tinua ad amare», consegnandosi al Pa­dre. «La morte di Gesù è un evento co­smico e liturgico; sotto la croce ha ini­zio la Chiesa dei pagani – di cui anche noi facciamo parte», aggiunge, addi­tando la «professione di fede» del cen­turione.
 
 Stazione XIII: Gesù è deposto dalla cro­ce .
 
 «Il corpo immolato del Figlio di Dio passa dalle braccia pietose di Giusep­pe d’Arimatea a quelle di sua madre». Ed è «la figura, bellissima e struggente, della Pietà riprodotta centinaia di vol­te dall’arte di tutti i secoli – dice l’arci­vescovo –. Il grembo di Maria, in idea­le continuità con la Croce, ora si fa al­tare, dove la Vittima immolatasi viene offerta per la salvezza di tutti gli uomi­ni. Quante madri – dalle prime dei San­ti Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a quelle delle vittime della vio­lenza che non cessa di insanguinare il mondo – rendono presente questa Pietà elargita a tutto il genere umano che sal­va il mondo!».Stazione XIV: Gesù è posto nel sepolcro.
 
 Ed ecco le donne che preparano «aro­mi e oli profumati» per il cadavere del Nazareno. «Il genio femminile ha un ruolo decisivo nel prendersi cura della vita. Non c’è cultura che non lo docu­menti. Non a caso la donna presiede al­la nascita e alla morte», scandisce il car­dinale, invitando a «non temere» il ge­nio femminile, a «non annullare questa differenza fra uomo e donna che non di­scrimina nessuno e viene prima di ogni relazione». L’ultima parola è per ricor­dare che «la resurrezione della carne è un caposaldo della nostra fede», che non si limita alla «immortalità dell’ani­ma ». Da qui – in controtendenza ri­spetto all’«individualismo libertino e li­bertario » che oggi «strumentalizza il corpo per il proprio piacere» – deriva u­na «radicale valorizzazione del corpo, nella sua totalità unificata di anima e corpo. Non: io ho un corpo ma io sono un corpo ». Ad affermare «l’irriducibilità della persona a qualsiasi progetto, pur salutare, delle tecnoscienze». 
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo della Croce» (Lc 23,48)

«Oggi sarai nel Paradiso» (Stazioni XII-XIV)

Duomo di Milano, 8 aprile 2014


Martedì della QUARTA  settimana di quaresima
Lc 23,39-49; Lc 23,50-54; Lc 23,55-56;

San Giovanni Crisostomo, Reiner Maria Rilke, Olivier Clément


Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



XII. Gesù muore in croce

«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Ciascuno di noi questa sera ha sulle labbra la preghiera del buon ladrone. Egli è la figura della speranza cristiana, cioè dell’attesa certa di un bene futuro – come la definiva il grande Tommaso d’Aquino. Che cos’è, infatti, il regno se non la condizione di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per quella dei nostri cari e per quella di tutta la famiglia umana?
E la risposta di Gesù sorpassa ogni speranza, perché brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: «Oggi con me sarai nel Paradiso» (Lc 23,43).
«Ma cosa dici, Signore – commenta Giovanni Crisostomo – Tu sei crocifisso, attaccato con chiodi e prometti il paradiso? Sì, perché impariamo qual è la tua potenza sulla croce». La croce ci consente di attingere dal cuore di Cristo la sublime conoscenza dell’amore (Orazione di inizio).
L’evangelista Luca nel primo brano che abbiamo sentito proclamare ci documenta che Gesù, anche nel momento più buio dell’umana esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo straziato dalle sofferenze più atroci e il cuore pieno di angoscia, non cede il suo essere-in-relazione. Continua ad amare e grida con le parole del Salmo 31: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Fin dal Calvario questa potenza generatrice di amore propria della croce si attesta nella fede del centurione («dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”», Lc 23,47) e nella decisione di conversione della folla («ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto», Lc 23,48).
La morte di Gesù è un evento cosmico e liturgico (il velo di separazione, costituito dal peccato, viene lacerato dalla misericordia di Dio); sotto la Croce ha inizio la Chiesa dei pagani: il comandante romano del plotone di esecuzione fa la sua professione di fede in Cristo.

XIII. Gesù è deposto dalla croce

«… vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri… e aspettava il regno di Dio» (Lc 23,50-51). Si chiama come lo sposo di Maria e, come lui, è giusto (vive con verità le tre relazioni costitutive: con Dio, con gli altri e con se stesso).
Giuseppe d’Arimatea si oppone all’iniquità scelta dalla maggioranza del sinedrio. Non è vero che il potere è sempre iniquo. Non lo è se accetta di sottomettersi alla verità e la afferma, a viso aperto.


Il corpo immolato del Figlio di Dio passa dalle braccia pietose di Giuseppe d’Arimatea a quelle di Sua Madre: «… dolore immenso, oltre il limitare del mio cuore. Ora giaci attraverso, sul mio grembo, ora te non posso più io partorire» (R.M. Rilke).
È la figura, bellissima e struggente, della Pietà riprodotta centinaia di volte dall’arte di tutti i secoli.
Il grembo di Maria, in ideale continuità con la Croce, ora si fa altare, dove la Vittima immolata viene offerta per la salvezza di tutti gli uomini.
Quante madri – dalle prime dei Santi Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a quelle delle vittime della violenza che non cessa di insanguinare il mondo – ripropongono questa Pietà elargita che salva il mondo...!

XIV. Gesù è posto nel sepolcro

«Le donne… seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi ed oli profumati» (Lc 23, 55-56).
Il “genio” femminile ha un ruolo decisivo nel prendersi cura della vita. Non c’è cultura che non lo documenti. Non a caso la donna presiede alla nascita e alla morte.
La tradizione antichissima di ungere il cadavere con aromi ed oli profumati esprime il desiderio di fermare la morte conservando il più possibile il corpo. Un gesto amoroso tanto commovente quanto struggente, perché destinato a mancare il suo scopo. Eppure questo gesto testimonia l’incoercibile bisogno di eternità che dimora da sempre nel cuore dell’uomo. «Tomba, grotta matrice o stanza nuziale, la terra è fecondata dal fuoco dello Spirito come lo fu Maria, nostro roveto ardente» (Clément).
Il Signore scende agli inferi, nel profondo grembo della terra, «Scende e con le mani imperiose afferra l’Uomo e la Donna, tutti gli uomini e tutte le donne, e li ricrea nella luce» (Clément).
La resurrezione della carne è un caposaldo della nostra fede. Noi non crediamo solo nella immortalità dell’anima, ma anche nella resurrezione dei corpi. È questo un tratto distintivo della nostra fede, come scrive Tertulliano: «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali» (Tertulliano).
Da qui – contrariamente alla convinzione di Nietzsche, secondo il quale il cristianesimo disprezza, condanna e umilia il corpo, e al pensiero improntato ad una visione dualistica – deriva una radicale valorizzazione del corpo, nella sua totalità unificata di anima e di corpo. [Non: “Io ho un corpo”, ma: “io sono un corpo”. Irriducibilità della persona a qualsiasi progetto delle tecno-scienze].

O Croce gloriosa
sulla quale Gesù si è consegnato al Padre,
grembo e altare
sul quale si è offerto al mondo,
viatico del nostro pellegrinaggio terreno
in attesa della resurrezione,
noi ti adoriamo: insegnaci ad offrire i nostri corpi
come sacrificio perfetto a Dio gradito,
per la salvezza di tutti i nostri fratelli uomini

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