« Non è vero che il potere è sempre iniquo. Non lo è se accetta di sottomettersi alla verità e la afferma, a viso aperto». E così diventa «servizio», orientato alla «costruzione della Chiesa, all’edificazione di una società giusta». È la riflessione che il cardinale Angelo Scola offre all’assemblea che gremisce il Duomo per la quarta Via Crucis di Quaresima, commentando la XIII stazione, Gesù è deposto dalla croce, dove si ricorda la figura di Giuseppe d’Arimatea, «membro del sinedrio, buono e giusto», che «non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri» e «aspettava il regno di Dio». Giuseppe «si chiama come lo sposo di Maria e, come lui, è giusto », cioè «vive con verità le tre relazioni costitutive di ogni uomo e di ogni donna: con Dio, con gli altri, con se stesso ».
Oggi sarai nel Paradiso era il tema della quarta e ultima tappa del cammino di Quaresima Lo spettacolo della Croce.
Un’occasione per riscoprire, nel «dolore per i nostri peccati», l’abbraccio della misericordia divina che «ci rende liberidavvero».
Gesù muore in croce : alla XII stazione Scola rinnova la preghiera del buon ladrone – «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Il ladrone? È «figura della speranza cristiana, cioè dell’attesa certa di un bene futuro», dice il cardinale citando «il grande» Tommaso d’Aquino. E il regno? È «la condizione di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per quella dei nostri cari, per quella di tutta la famiglia umana e del cosmo intero». Ma «la risposta di Gesù sorpassa ogni speranza, perché brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: Oggi con me sarai nel Paradiso ». Spiega Scola: «La croce ci consente di attingere dal cuore di Cristo la sublime conoscenza dell’amore ». Gesù, «anche nel momento più buio dell’umana esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo straziato dalle sofferenze più atroci e il cuore pieno di angoscia, non cede il suo essere-in-relazione» e «continua ad amare», consegnandosi al Padre. «La morte di Gesù è un evento cosmico e liturgico; sotto la croce ha inizio la Chiesa dei pagani – di cui anche noi facciamo parte», aggiunge, additando la «professione di fede» del centurione.
Stazione XIII: Gesù è deposto dalla croce .
«Il corpo immolato del Figlio di Dio passa dalle braccia pietose di Giuseppe d’Arimatea a quelle di sua madre». Ed è «la figura, bellissima e struggente, della Pietà riprodotta centinaia di volte dall’arte di tutti i secoli – dice l’arcivescovo –. Il grembo di Maria, in ideale continuità con la Croce, ora si fa altare, dove la Vittima immolatasi viene offerta per la salvezza di tutti gli uomini. Quante madri – dalle prime dei Santi Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a quelle delle vittime della violenza che non cessa di insanguinare il mondo – rendono presente questa Pietà elargita a tutto il genere umano che salva il mondo!».Stazione XIV: Gesù è posto nel sepolcro.
Ed ecco le donne che preparano «aromi e oli profumati» per il cadavere del Nazareno. «Il genio femminile ha un ruolo decisivo nel prendersi cura della vita. Non c’è cultura che non lo documenti. Non a caso la donna presiede alla nascita e alla morte», scandisce il cardinale, invitando a «non temere» il genio femminile, a «non annullare questa differenza fra uomo e donna che non discrimina nessuno e viene prima di ogni relazione». L’ultima parola è per ricordare che «la resurrezione della carne è un caposaldo della nostra fede», che non si limita alla «immortalità dell’anima ». Da qui – in controtendenza rispetto all’«individualismo libertino e libertario » che oggi «strumentalizza il corpo per il proprio piacere» – deriva una «radicale valorizzazione del corpo, nella sua totalità unificata di anima e corpo. Non: io ho un corpo ma io sono un corpo ». Ad affermare «l’irriducibilità della persona a qualsiasi progetto, pur salutare, delle tecnoscienze».
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo della Croce» (Lc 23,48)
«Oggi sarai nel Paradiso»
(Stazioni XII-XIV)
Duomo
di Milano, 8 aprile 2014
Martedì della QUARTA settimana di quaresima
Lc 23,39-49; Lc 23,50-54; Lc 23,55-56;
San Giovanni Crisostomo, Reiner Maria Rilke,
Olivier Clément
Catechesi di
S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
XII. Gesù muore in croce
«Gesù, ricordati
di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc
23,42). Ciascuno di noi questa sera ha sulle labbra la preghiera del buon
ladrone. Egli è la figura della speranza cristiana, cioè dell’attesa certa di
un bene futuro – come la definiva il grande Tommaso d’Aquino. Che cos’è,
infatti, il regno se non la
condizione di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per
quella dei nostri cari e per quella di tutta la famiglia umana?
E la risposta di Gesù sorpassa ogni speranza, perché
brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: «Oggi con me sarai nel Paradiso» (Lc
23,43).
«Ma cosa dici,
Signore – commenta Giovanni
Crisostomo – Tu sei crocifisso, attaccato
con chiodi e prometti il paradiso? Sì, perché impariamo qual è la tua potenza
sulla croce». La croce ci consente di attingere dal cuore di Cristo la
sublime conoscenza dell’amore (Orazione
di inizio).
L’evangelista Luca nel primo brano che abbiamo sentito
proclamare ci documenta che Gesù, anche nel momento più buio dell’umana
esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo
straziato dalle sofferenze più atroci e il cuore pieno di angoscia, non cede il
suo essere-in-relazione. Continua ad amare e grida con le parole del Salmo 31:
«Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito» (Lc 23,46).
Fin dal Calvario questa potenza generatrice di amore
propria della croce si attesta nella fede del centurione («dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”», Lc 23,47) e nella decisione di
conversione della folla («ripensando a
quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto», Lc 23,48).
La morte di Gesù è un evento cosmico e liturgico (il
velo di separazione, costituito dal peccato, viene lacerato dalla misericordia
di Dio); sotto la Croce ha inizio la Chiesa dei pagani: il comandante romano
del plotone di esecuzione fa la sua professione di fede in Cristo.
XIII. Gesù è deposto dalla croce
«… vi era un
uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva
aderito alla decisione e all’operato degli altri… e aspettava il regno di Dio»
(Lc 23,50-51). Si chiama come lo
sposo di Maria e, come lui, è giusto (vive con verità le tre relazioni
costitutive: con Dio, con gli altri e con se stesso).
Giuseppe d’Arimatea si oppone all’iniquità scelta
dalla maggioranza del sinedrio. Non è vero che il potere è sempre iniquo. Non
lo è se accetta di sottomettersi alla verità e la afferma, a viso aperto.
Il corpo immolato del Figlio di Dio passa dalle
braccia pietose di Giuseppe d’Arimatea a quelle di Sua Madre: «… dolore immenso, oltre il limitare del mio
cuore. Ora giaci attraverso, sul mio grembo, ora te non posso più io partorire»
(R.M. Rilke).
È la figura, bellissima e struggente, della Pietà
riprodotta centinaia di volte dall’arte di tutti i secoli.
Il grembo di Maria, in ideale continuità con la Croce,
ora si fa altare, dove la Vittima immolata viene offerta per la salvezza di
tutti gli uomini.
Quante
madri – dalle prime dei Santi Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a
quelle delle vittime della violenza che non cessa di insanguinare il mondo –
ripropongono questa Pietà elargita che salva il mondo...!
XIV. Gesù è posto nel sepolcro
«Le donne… seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era
stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi ed oli
profumati» (Lc 23, 55-56).
Il “genio” femminile ha un ruolo
decisivo nel prendersi cura della vita. Non c’è cultura che non lo documenti.
Non a caso la donna presiede alla nascita e alla morte.
La tradizione antichissima di
ungere il cadavere con aromi ed oli profumati esprime il desiderio di fermare
la morte conservando il più possibile il corpo. Un gesto amoroso tanto
commovente quanto struggente, perché destinato a mancare il suo scopo. Eppure
questo gesto testimonia l’incoercibile bisogno di eternità che dimora da sempre
nel cuore dell’uomo. «Tomba, grotta matrice
o stanza nuziale, la terra è fecondata dal fuoco dello Spirito come lo fu
Maria, nostro roveto ardente» (Clément).
Il Signore scende agli inferi,
nel profondo grembo della terra, «Scende
e con le mani imperiose afferra l’Uomo e la Donna, tutti gli uomini e tutte le
donne, e li ricrea nella luce» (Clément).
La resurrezione della carne è un
caposaldo della nostra fede. Noi non crediamo solo nella immortalità
dell’anima, ma anche nella resurrezione dei corpi. È questo un tratto
distintivo della nostra fede, come scrive Tertulliano: «Fiducia
christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione
dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali» (Tertulliano).
Da qui – contrariamente alla convinzione di Nietzsche,
secondo il quale il cristianesimo disprezza, condanna e umilia il corpo, e al
pensiero improntato ad una visione dualistica – deriva una radicale
valorizzazione del corpo, nella sua totalità unificata di anima e di corpo.
[Non: “Io ho un corpo”, ma: “io sono un corpo”. Irriducibilità della persona a
qualsiasi progetto delle tecno-scienze].
O Croce gloriosa
sulla quale Gesù si è consegnato al Padre,
grembo e altare
sul quale si è offerto al mondo,
viatico del nostro pellegrinaggio terreno
in attesa della resurrezione,
noi ti adoriamo: insegnaci ad offrire i nostri corpi
come sacrificio perfetto a Dio gradito,
per la salvezza di tutti i nostri fratelli uomini
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