venerdì 11 aprile 2014

IL PAPA E L’IDOLATRIA DEL PENSIERO UNICO LA LIBERTÀ E LA MEMORIA


« È qualcosa di più che una semplice testardaggine. È di più: è l’idolatria del pro­prio pensiero». Il Papa che siamo abituati a vedere sorridente, a Santa Marta ieri era quasi grave. Parlava di una cosa che ci riguarda, ma che spesso fatichiamo a riconoscere. Parlava, Fran­cesco, della 'dittatura del pensiero unico'.
  E cos’è? potrebbe chiedersi un ragazzo (non un vecchio, no, i vecchi in Italia ricordano an­cora). È il dramma, ha spiegato il Papa, «del cuore chiuso: e quando il cuore è chiuso chiu­de la mente, e quando cuore e mente sono chiusi non c’è più posto per Dio, ma soltanto per ciò che noi crediamo che si debba fare».
  È quando insomma, e Francesco qui ha ricor­dato le dittature del secolo scorso, gli uomini si ergono a padroni della vita e della morte, e il potere detta nuove regole al vivere comune, e decide magari che alcuni uomini sono su­periori agli altri, o che i malati di mente sono da sterilizzare o eliminare. È accaduto, nean­che ottant’anni fa. E noi, figli di quella genera­zione, studiando sui libri di scuola ci doman­davamo com’era stato possibile che l’Occi­dente aderisse a simili follie; e credevamo a un assurdo impazzimento del mondo, dal quale poi però, al costo di milioni di morti, ci si era risvegliati – per sempre.
  Invece il Papa, il Francesco della tenerezza e della misericordia, ci ha detto ieri gravemen­te che l’avvitarsi della ragione e del cuore che poi genera le dittature non è solo il fenomeno di un lontano passato. Succede quando cuore e mente si chiudono, quando si mette da par­te Dio, e ci si fa di noi stessi i creatori. E anche oggi, ha aggiunto, «c’è l’idolatria del pensiero unico». Che certo non è una dittatura, ma qual­cosa di più sottile: «Oggi – ha spiegato France­sco – si deve pensare così, e se tu non pensi co­sì non sei moderno, non sei aperto, o peggio». Non ne sappiamo forse qualcosa anche nella nostra democrazia? Ancora vent’anni fa, sa­rebbe sembrato inutile ribadire che un figlio deve avere un padre e una madre, giacché al­meno su questo si era tutti d’accordo. Ora in­vece parlare di 'madre' e 'padre' pare quasi scorretto; più prudentemente si comincia a dire 'genitore 1' e 'genitore 2', e non impor­ta se siano dello stesso sesso.
  Sesso? Ma esiste poi, il sesso, come dato origi­nario? Pare di no, ci dicono, e più moderna­mente si parla di 'gender', cioè una cosa che ti scegli tu, indipendentemente dal corpo con cui sei nato. Se tornassero in vita i nostri non­ni sarebbero sbalorditi dal non veder più ri­conoscere la semplice oggettività delle co­se, o, per dirla come la filosofa Hannah A­rendt, la 'realtà del dato'. Del dato di natu­ra, che finora in nessuna rivoluzione era mai
 stato sovvertito. 
Così che, cadute tutte le vecchie i­deologie, una nuova ideologia sembra ambire a imporre un colletti­vo modo di pensare: l’ideologia che vuole svellere i cardini della percezio­ne che abbiamo di noi stessi.
  Ideologia, diceva sempre Arendt, è ciò che acceca sulla realtà. Quella realtà del dato di natura, evidente a un bambino, che si confonde quando quel bambino cresce, se chiude cuo­re e ragione e sceglie di essere, di sé, l’assoluto padrone.
  Non l’ avvertiamo forse, l’avanzare del nuovo pensiero unico? Oramai per di­re pubblicamente che il matrimonio è fra un uomo e una donna ci vuole un po’ di coraggio, e anche per dire che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre (appena ieri, dopo la sen­tenza che per le coppie smantella il di­vieto di fecondazione eterologa, che
univoco coro di consensi, sui media...). E certo, siamo liberi di pensarla diver­samente; non tanto però di dirlo ad al­ta voce, giacché ci accorgiamo che d’improvviso colleghi e conoscenti si rabbuiano: non decliniamo il Verbo della modernità correttamente.
  Ma cosa fare contro la smemoratez­za collettiva di ciò che appena ieri e­ra perfettamente chiaro? Forse, a qualcuno piacerebbe che si partisse per una qualche 'guerra'. Invece, il Papa, uomo di Dio, dice semplice­mente: essere umili e pregare, prega­re e vigilare, «perché il Signore ci dia sempre la libertà del cuore aperto». Il dono di ricordarci che siamo creatu­re, e che non c’è da inventarci nuovi mondi 'migliori' – ma da stare in a­scolto,
 e aderire. 
 Marina Corradi
 

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