martedì 8 aprile 2014

Il caparbio desiderio di vita dell’albero 46.423



M
ilano, aprile – Non so che albero sia. Non rientra nella ristretta
 cerchia degli alberi che io so riconoscere. So soltanto, da una targhetta sul tronco, che è l’albero numero 46.423 del Comune di Milano.
  Ha foglie quasi tondeggianti, a bordo liscio, e in questa stagione si illumina di una gran fioritura color rosa intenso, senza però alcun profumo. Si trova in corso Sempione, sul controviale, all’altezza del civico 54. Ci passo spesso vicino. Il 46.423 è “il mio albero”.
 
 Ad attirare la mia attenzione sono state le radici. Una mattina ho notato come si sono allungate al di sotto all’asfalto, così che sul marciapiede risultano nodose e in rilievo – come vene, sulle mani di un vecchio. Invece di allargarsi nella grande aiuola in cui è piantato, l’albero ha deciso insomma di sfidare l’asfalto; e ora le sue radici si espandono per venti metri, forzando da sotto il manto nero che le soffoca. Una grossa radice anzi ha impegnato l’asfalto in una dura lotta, fino a spaccarlo. Nelle fessure di terra già cresce qualche filo d’erba. (Ovviamente, in questa silenziosa contesa io tengo per l’albero).
  Mi sono chiesta perché mi affascina così un particolare, cui nessuno sembra
 far caso. Incrocio automobilisti che parcheggiano, padroni e cani che passano, e nessuno getta un’occhiata a quelle radici.
  È che l’ostinazione di questa pianta a riprendersi la terra che le è stata sottratta, mi commuove. Sarebbe stato tanto più semplice orientarsi verso il terreno soffice dell’aiuola. Invece questa bizzarra creatura cocciutamente corrode il marciapiede con le sue radici carsiche, che qui e là quasi tentano di affiorare. È un albero combattente, e i combattenti mi piacciono.
  Mi fa pensare a un uomo che abbia in sé un profondo desiderio di vivere, ma dalle circostanze della vita sia stato sottomesso e quasi domato; e pure ancora si intestardisca a lottare, e con
 ogni sua risorsa tenda, magari nascostamente, a sperare. L’albero 46.423 mi sembra affine a certe facce che incrocio sui tram. L’anziano pensionato, per esempio, l’altro giorno: decorosamente vestito, l’espressione preoccupata, una busta simile a una lastra o a un referto medico ben stretta in mano. È sceso davanti a un ospedale.
  Una visita, o una sentenza? Il cappotto pesante nei giorni già tiepidi, la sciarpa ben annodata, i passi attenti di chi teme di scivolare. Mi ha fatto pensare al mio albero, alle sue radici in lotta contro una materia opaca che le vorrebbe cancellare; mentre quelle, ostinate, crescono – fedeli al proprio desiderio originario, caparbiamente vive.
 Marina Corradi

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