lunedì 7 aprile 2014

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Parla l’ematologa le cui analisi “decisero” la canonizzazione della prima santa canadese. «Non è la Chiesa che allontana la scienza, sono gli scienziati che hanno eretto un muro artificiale tra loro e la Chiesa. Perché sono ignoranti»

«Adesso che ho finito il lavoro potete dirmelo: si tratta di una causa legale o di un miracolo?». Jacalyn Duffin non avrebbe mai pensato di sentirsi rispondere: «Un miracolo». Lei, scienziata, atea, aveva sempre creduto nella «verità della storia, in un ordine naturale». Non poteva immaginarsi che «la Chiesa prestasse attenzione alla scienza» e sotto sotto condivideva l’opinione della maggior parte degli altri medici: «La religione è solo superstizione, la medicina invece è vera». Ma è proprio la scienza che ha portato Jacalyn a sostenere una posizione che «fa diventare matti tutti i miei colleghi: io sono una scienziata atea e credo nei miracoli». “E”, non “ma”, perché la contraddizione ai suoi occhi non c’è.
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Per capire come Jacalyn, 63 anni, medico ematologo e storica canadese, docente di medicina alla Queen’s University, autrice di cinque libri di cui due scritti «analizzando più di 1.400 miracoli contenuti negli Archivi Vvaticani», sia arrivata a sostenere una posizione così “eretica” agli occhi dei suoi contemporanei bisogna ripercorrere gli eventi della sua vita che non aveva «pianificato» e l’incredibile ed «estremamente insolito» ruolo che lei, scienziata atea, ha avuto nella canonizzazione del primo santo del Canada nel 1990: Marie-Marguerite d’Youville. Un’esperienza che «mi ha cambiato la vita».
Santi e miracoli: non sembra affare da scienziati. Cosa l’ha spinta ad occuparsene?Il mio amore per la scienza, anche se il modo in cui ci sono arrivata non è comune.
Lei è un medico o uno storico?
Mi sono laureata in medicina e specializzata in malattie del sangue. Quando ho perso il mio primo marito, mi sono risposata con un diplomatico e l’ho seguito a Parigi. Mi annoiavo tremendamente e così, non potendo esercitare in Francia la mia professione, ho preso un dottorato alla Sorbona in storia della medicina. Quando siamo tornati in Canada, però, volevo riprendere a fare il medico ma gli ospedali dicevano: «Hai studiato storia, potresti uccidere qualcuno».
Addio carriera medica, quindi?
Niente affatto, io mi fiondavo in ospedale appena c’era una conferenza e cercavo di intervenire sempre: volevo fargli vedere che ero intelligente. Sapevo fare il mio lavoro e volevo dimostrarlo, anche se intanto l’università di Ottawa mi aveva offerto un post-dottorato.
Quando è arrivata la grande occasione?
Un giorno una collega ematologa mi ha chiesto di leggere dei vetrini di midollo osseo: «Non posso dirti niente su questo caso, solo che serve una seconda opinione di un testimone cieco». Cioè di un medico che analizza i dati senza sapere niente del caso. Io non ho accettato perché avessi già fatto queste cose ma perché volevo fargli vedere che ero capace e speravo mi assumessero. Ma non sapevo a cosa andavo incontro.
Perché?
Pensavo che avrei dovuto analizzare qualche vetrino, invece erano più di 300, senza contare gli esami del sangue. Mi sono messa sotto e ho visto che il paziente aveva la leucemia mieloide acuta, cioè il peggior tipo di leucemia esistente, che in media uccide in 18 mesi. Fin dal primo vetrino ho pensato che il paziente doveva essere morto: era il 1986 e quegli esami risalivano al 1978. Ma il midollo osseo raccontava un’altra storia.
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Gli esami mostravano che la leucemia era stata curata ed era andata in remissione. Questo già era incredibile, ma non impossibile. Dopo quattro mesi la leucemia è tornata, aggressiva come prima, e a questo punto la Bibbia degli ematologi parla chiaro: se la leucemia torna, dopo essere andata una volta in remissione, il paziente è spacciato. Questo dice la scienza, e non è mai stata contraddetta. Per cui sapevo che il paziente doveva essere morto ma i vetrini indicavano una seconda incredibile remissione e l’ultimo disponibile mostrava un midollo osseo perfetto. Allora ho pensato: «Peccato, sarà morto mentre era in remissione». Le medicine che si prendono per non far tornare la leucemia, infatti, possono causare infezioni. Il quadro allora mi si è chiarito: la famiglia del paziente aveva denunciato il medico perché il loro caro era morto nonostante avesse superato in modo inusuale la malattia e il medico, durante il processo, aveva chiesto le analisi di un testimone cieco per dimostrare che aveva agito nel migliore dei modi.
Quando ha scoperto che si trattava di tutt’altro?
Quando ho finito il mio lavoro, l’ho consegnato alla mia collega e le ho detto: «Allora, è una causa legale o un miracolo?». Quando mi ha risposto che era un miracolo e che la paziente, otto anni dopo, era ancora viva non potevo credere alle mie orecchie.
Il Vaticano quindi aveva chiesto il suo consulto per una canonizzazione?
Niente affatto. Gli esperti del Vaticano avevano già rifiutato questo caso: per loro non si poteva parlare di miracolo perché, leggendo i vetrini, non avevano riscontrato la prima remissione ma solo la seconda. E secondo la scienza una remissione è possibile, due no. Quindi niente miracolo. Ma questo era un insulto: io sono una scienziata, nessuno può prendermi per stupida.
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Cosa è successo allora?
Il Vaticano ha rifiutato il caso, i postulanti in Canada si sono infuriati, hanno fatto appello e raggiunto questo accordo: affidare i vetrini a un testimone cieco, cioè io. Una volta consegnati i miei risultati sono andata in Vaticano al processo a testimoniare con una pila di documenti e di prove. Per me era una questione di principio, di scienza.
Per lei, scienziata atea, era un miracolo e per il Vaticano no?
Come una canonizzazione ha delle regole, così anche la medicina: ci sono criteri precisi per riconoscere una remissione e una ricaduta. Il Vaticano si stava sbagliando.
Chi era stato guarito per miracolo?
Una donna canadese che dopo la prima remissione della leucemia, e la ricaduta, ha deciso di pregare Marie-Marguerite d’Youville per chiedere la grazia. Se l’hanno chiesta proprio a Marie-Marguerite è perché una zia della malata era entrata nell’ordine da lei fondato: le suore della carità di Montréal, chiamate Suore Grigie. Il bello è che la paziente non era particolarmente religiosa o praticante ma insieme a lei hanno pregato, in momenti stabiliti, la famiglia e tutte le parrocchie della città. È incredibile quante preghiere servano per un miracolo.
Alla fine l’ha spuntata lei sul Vaticano?
Certo: loro volevano la scienza e io gliel’ho data. Il 9 dicembre 1990 Giovanni Paolo II ha deciso di canonizzare Marie-Marguerite d’Youville e mi hanno invitata.
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Un’atea a una Messa di canonizzazione?
E con un marito ebreo non praticante, per giunta. È il motivo per cui mi sono rifiutata: non è il mio campo quello. Ma le suore e i dottori che hanno curato la paziente, che oggi è ancora viva, hanno insistito e ho pensato: «È il primo santo del mio paese, sarei stupida a non andare». Così sono partita ed è stato stupendo, ho anche incontrato il Papa e mi ha stupito vedere quanto tutti fossero aperti. Tutto mi ha stupito di questa storia.
Che cosa in particolare?
Io non sapevo niente di un processo di canonizzazione. Mia madre era anglicana, quindi un background culturale religioso lo possiedo, ma poi sono diventata atea e pensavo che la Chiesa cattolica si accontentasse di qualcosa del tipo: «Stavo male, ho pregato e ora sono guarita. Quindi è un miracolo». Invece no, il processo è davvero tecnico: il Vaticano non vuole opinioni ma fatti e richiede che vengano messe in campo le più avanzate conoscenze scientifiche disponibili. E quando a Roma mi hanno regalato gli atti del processo, la “Positio super miraculo”, e mi hanno detto che tutto sarebbe stato schedato negli Archivi vaticani, mi sono illuminata e ho pensato: chissà quanti miracoli ci sono là dentro e chissà se sono tutti scientifici come quello con cui ho avuto a che fare. Da quel momento la mia vita è cambiata.
Come?
Innanzitutto in Canada mi hanno offerto un lavoro come ematologa ed è davvero paradossale che io sia tornata a fare il medico grazie alla Chiesa. Poi ho fatto più di 20 viaggi agli Archivi vaticani, dove ho analizzato 1.400 miracoli usati nelle canonizzazioni degli ultimi 400 anni. Tutte guarigioni di malattie fisiche. Allora ho capito che Chiesa e scienza hanno una lunga tradizione comune.
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Lei da atea crede che siano avvenuti più di 1.400 miracoli?
Mi sembra di sentire molti dei miei colleghi, che mi guardano schifati dicendo: «Ah, ma allora tu credi nei miracoli?». Voglio chiarire: accadono cose inspiegabili che la scienza non può dimostrare. Le persone che hanno fede e credono in Dio sostengono che accadono per merito della preghiera. Io in questi anni ho imparato l’umiltà: se io non posso spiegare certi fatti con la scienza, chi sono per dire che non è stata la preghiera? Noi siamo molto arroganti in medicina e ci permettiamo di ignorare questi fatti, ma la scienza medica dovrebbe prestare più attenzione ai miracoli, che accadono molto spesso.
Crede che sia Dio a fare i miracoli?
Io non so spiegare perché accadono e non credo in Dio, però sono aperta alla possibilità che la causa sia Lui. Quando vado a fare le conferenze, anche a medici cattolici, c’è sempre qualcuno che mi chiede: «Ma lei a questo punto deve credere in Dio e convertirsi al cattolicesimo». Ma non è così, io sono atea.
Non ha mai pensato alla conversione?
Sì, ma poi mi sono detta: la fede in Dio è essa stessa un miracolo. Un miracolo che a me non è successo. Questa è l’unica risposta che so dare o almeno l’unica che fa desistere i detrattori che si arrabbiano con me. Io sono una persona spirituale, ho avuto un’educazione precisa ma non ho mai sentito il bisogno di andare a Messa o confessarmi. Una mia amica è tornata alla Chiesa e adesso ha ritrovato un senso e un significato per la sua vita. Posso capirla, ma per me non è lo stesso.
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Lei è consapevole che oggi dire che fede e ragione, Chiesa e scienza, non sono divise è un’eresia?
Sì, e secondo me la colpa di questa ostilità è degli scienziati, che sono ignoranti. Loro dicono: «I miracoli non possono esistere, quindi non accadono». Negare i fatti in questo modo è triste e controproducente, perché avere a disposizione i vetrini di midollo osseo di leucemia che ho visionato io sarebbe una risorsa incredibile da studiare. Invece nessuno ci bada. La medicina è colpevole di ignorare la Chiesa e di avere eretto un muro artificiale per dividerla dalla scienza.
La Chiesa non ha nessuna colpa invece?
Oddio, tutta la faccenda di Galileo non è che abbia aiutato molto. Ma poi hanno anche chiesto scusa. Le persone religiose non vedono alcuna contraddizione nel fatto che il Vaticano consulti gli scienziati per capire se un miracolo è tale. Per loro anche la capacità di fare scienza è un dono di Dio. E se lo scienziato in questione è ateo, tanto meglio: nessuno potrà dire che non è indipendente.
Come è cambiata la sua vita dopo questa esperienza?
Io non ho pianificato niente di quanto mi è accaduto. Prima di tutto, sto diventando una storica della religione e neanche in 100 milioni di anni l’avrei mai immaginato. La mia identità è cambiata, sono più umile e sono migliorata anche nel lavoro: ho imparato ad ascoltare di più i miei pazienti, ci sono cose che mi dicono che prima non ascoltavo perché pensavo solo alla malattia e a nient’altro. Ora guardo di più alla persona, è cambiata la mia identità come dottore. Ed è diverso anche il mio atteggiamento verso la Chiesa.
Lei suona l’organo, un’attività sospetta.
Mia madre guidava il coro in chiesa, amava la musica. Anche mio nonno cantava nel coro e suonava l’organo. Io adoro la musica della Chiesa ma mi fermo lì. Infatti non sono brava a suonare.
Tempi.it - Leone Grotti

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