giovedì 3 aprile 2014

LE NOZZE CRISTIANE IN QUEST’OGGI MA DI QUALE AMORE?


« Sempre si litiga nel matrimo­nio, ma il segreto è che l’a­more è più forte del mo­mento in cui si litiga». Ieri il Papa davanti alla piazza gre­mita dell’Udienza ha parlato del matrimonio cristiano, e della sua audace pretesa: l’essere, quell’uomo e quella donna uniti nel Sacra­mento, «immagine di Dio». (E certo, pensi, in San Pietro c’era ieri gente come noi, come i no­stri vicini di casa – nei condomini dalle pareti sottili, la sera, quanto spesso sentiamo le voci che si alzano, le parole aspre che echeggiano nei cortili).
  Allora, potrebbe chiedere qualcuno, di quale a­more parla il Papa? Quale sarebbe questo amo­re «più forte», quando a migliaia ogni anno i ma­trimoni si sbriciolano sotto l’urto degli affanni quotidiani? Non è molto più realistico discute­re, come accade in questi giorni in Parlamento, di abbreviare piuttosto il tempo necessario per ottenere il divorzio? Un anno e via, chiuso, si ri­comincia da capo. Non è forse, l’«alleggerimen­to » del matrimonio previsto da questa riforma della legge civile, ben più vicino alla realtà del­le cose? Non è nella natura degli uomini e delle donne innamorarsi, unirsi e poi anche stancar­si,
 e lasciarsi? Ma l’amore di cui parla il Papa non è l’attrazio­ne romantica o istintiva che oggi chiamiamo 'a­more', non è la melassosa illusione da giorno di San Valentino, che rapidamente come è nata svanisce. Dio, ha ricordato Francesco, davvero fa di un uomo e una donna una sola carne, «e il disegno di Dio si attua nella fragilità della con­dizione umana: il legame infatti è sempre con il Signore». Non più un rapporto a due, dunque, ma un Altro, garante, nelle fedeltà al quale si tro­va la forza e la pazienza per andare avanti. Se in­fatti ascolti la storia di vecchie coppie rimaste in­sieme per tutta la vita, spesso avverti il tacito ri­ferimento a quel Terzo, operante: nel cui nome, ogni volta, si perdona.
  E perché allora, potrebbe obiettare ancora qualcuno, vediamo anche tante matrimoni cri­stiani andare in frantumi? Perché in Occiden­te abbiamo vissuto una lunga stagione di spi­ritualità opaca, di abitudine, di scelte fatte per­ché così fanno tutti; e in molti di noi si è smar­rita la memoria e la consapevolezza di quel Terzo, garante. Ne è rimasta uno sbiadito ri­cordo, da tirar fuori a Natale a magari alla Cre­sima dei figli, insieme al vestito elegante; a­stratto però, e avulso dalla vita quotidiana, tra­volta da concretissimi dolori, guai e rancori. Ma, ha detto ancora il Papa, «nella fragilità del­la natura umana, l’importante è mantenere vi­vo
 un rapporto con Dio». Credere, insomma, davvero, e cercare e prega­re quel Dio che con gli occhi non vediamo, e di cui molti ci dicono: è solo un fantasma. Prega­re e parlare con Dio, insistentemente, e prega­re per il marito, per la moglie, anche se magari l’amarezza e l’incomprensione opprimono. Pro­vare, almeno, se non lo si è mai fatto. Si scoprirà, nel tempo, che è vero ciò che diceva ieri Fran­cesco: c’è un amore più forte del momento in cui si litiga, si delude, si tradisce. Lentamente negli anni emerge la realtà che, davvero, in due si è una cosa sola; un legame profondo e miste­rioso, che inesorabilmente tiene insieme.
  A fronte della bellezza, della splendida pretesa del matrimonio cristiano, le ipotesi della legge civile che vorrebbe affrettare i tempi del divor­zio appare un povero rimedio alla incapacità di uomini e donne di volersi bene, se contano so­lo sulle loro forze. Il divorzio breve come un ce­rotto applicato frettolosamente, a una ferita che invece non guarisce. Non è di tanto invece più corrispondente al desiderio del cuore dell’uomo, al desiderio che sentiamo in noi a vent’anni, questa promessa di bene per sempre, dentro la fedeltà a un Dio continuamente evocato, con­vocato, presente? Sì, da cristiani, ci tocca essere testimoni di fronte a chi non crede nella forza di questa realtà frutto di una fedeltà non sem­pre facile, a volte ritrovata, semplicemente viva. Sì, ci tocca e più ci toccherà. Se solo sapremo ri­trovare la memoria originaria di ciò che siamo, di ciò che veramente cerchiamo – e che mai, in realtà, possiamo darci da soli.
 
 MARINA CORRADI

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