sabato 4 gennaio 2014

Claire Ly: Te Deum laudamus per la Tua compagnia nel lager dei khmer rossi

Claire Ly
Mi chiamo Claire Ly, sono una cambogiana uscita viva dai campi di internamento dei khmer rossi, e ringrazio Dio perché mi ha dato una certezza che non è chiusa su se stessa, ma è aperta come una ferita. Ringrazio perché la verità non è qualcosa che io possiedo, ma qualcuno che sta davanti a me. Voglio dire che la mia fede si nutre della certezza che il Resuscitato ci precede sempre. Egli non è nostra proprietà. Non lo è nemmeno della Chiesa: lo spirito di Cristo non può essere rinchiuso da nessuna parte.
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Oggi vivo in Francia, insegno e scrivo libri. Ma fra il 1975 e il 1979 ho perso tutto: mio padre, mio marito e i miei fratelli sono stati fucilati, e nel giro di 24 ore ho dovuto lasciare il mio lavoro di insegnante e traduttrice, la mia casa, i miei vestiti, e coi capelli tagliati corti come quelli delle contadine sono stata deportata, incinta, in campagna e costretta lavorare nelle risaie. Ero buddhista, ma non potevo accettare l’interpretazione buddhista del male, la legge del karma secondo cui chi è vittima di un’ingiustizia sta ricevendo il contraccambio per le ingiustizie che ha compiuto nelle sue vite precedenti. Ero piena di rabbia, che nel buddhismo è uno dei tre veleni (gli altri due sono l’odio e l’ignoranza) che uccidono l’anima.
Per liberarmi da quel sentimento mi sono costruita un oggetto mentale su cui riversare il mio malanimo. In Occidente avreste detto che mi ero trovata un capro espiatorio. Quell’oggetto era “il Dio degli occidentali”, al quale urlavo la mia rabbia e che accusavo delle mie disgrazie. Dopo due anni di quella vita, ho cominciato a provare una strana sensazione: una presenza invisibile accanto a me. Il Dio contro il quale avevo gridato, senza chiedere mai nulla, aveva ascoltato la mia non-preghiera. All’inizio ho pensato che stavo vaneggiando, ma poi mi sono accorta che insieme alla percezione della misteriosa presenza era avvenuto in me un cambiamento: ho cominciato a commuovermi per la sofferenza altrui, non ero più chiusa su me stessa e sulle mie perdite. La Cambogia ha perso due milioni di abitanti su sette nei quattro anni del potere khmer, la mia disgrazia era la stessa di milioni di persone. Ho vissuto altri due anni nei campi, ho visto i bambini sottratti alle famiglie e mandati a vivere da soli, i neonati passati da una madre all’altra per l’allattamento perché maternità e figliolanza dovevano essere solo collettive.
tempi_te_deum_2013_copertinaPer gli occidentali il problema è conciliare l’idea di onnipotenza di Dio col fatto che Lui non impedisce il male. Io non mi ponevo questo problema: Dio poteva anche essere onnipotente, ma la mia collera era grande come Lui. L’ho semplicemente convocato, senza domandargli nulla. E imprevedibilmente ho fatto l’esperienza che questo Dio mi ascoltava. Che c’era veramente Qualcuno che mi ascoltava e mi accompagnava sulla strada della sofferenza. Che vegliava su di me come una mamma veglia il figlio malato. Senza parole, ma con tenerezza. Anche adesso, quando parlo di Dio, parlo di questo Dio della tenerezza.
Quando il regime dei khmer rossi è finito, mi sono trasferita in Francia. È lì che ho scoperto che il Dio che mi era stato compagno nelle risaie era il Dio di Gesù Cristo. Nessuno ha cercato di convertirmi. Mi sono interessata ai Vangeli perché nei giornali che gentilmente mi portavano, perché mi tenessi informata sulla Cambogia, trovai una copia dell’enciclica Dives in misericordia di Giovanni Paolo II. C’erano tante citazioni dai Vangeli, e io chiesi di poterli leggere. Così scoprii la figura di Gesù Cristo.
Gesù è uno che piange, che si arrabbia
Di lui mi ha colpito subito la libertà: nonostante le sue umili origini, nonostante la situazione politica dell’epoca, nulla lo poteva fermare. Gesù di Nazareth mi ha sedotto subito come maestro, e questo non era in contraddizione col buddhismo, che permette una pluralità di maestri: mi sono messa ad ascoltarlo. Quel che mi colpiva di lui, era la vicinanza, il fatto che era un maestro alla mia portata. Buddha è il maestro che mostra la strada verso il Nirvana, ma soltanto lui è arrivato alla saggezza suprema. Solo lui è stato capace di vivere senza mai piangere, senza mai provare rabbia. Questo lo rende lontano, un modello inarrivabile. Invece Gesù è uno che piange, che si arrabbia: l’ho sentito vicino e simile a me. Nel buddhismo l’uomo è chiamato a liberarsi da sé, nel cristianesimo Dio si incarna in Cristo per liberarci. Un giorno ho voluto partecipare a una Messa ed è lì che è successo qualcosa. Il mio desiderio è cambiato, non volevo essere semplicemente una che ascolta, ma una che segue il maestro. Ho sentito che Colui che aveva camminato per tanto tempo con me voleva che lo riconoscessi. La mia risposta è stata domandare il Battesimo, che mi è stato impartito nel 1983 nella diocesi di Nîmes.
La fede cristiana ha questo in più di qualunque altra fede religiosa: che è Dio che si abbassa fino a noi. Questo è un movimento unico fra tutte le religioni. In tutte le altre esperienze religiose si tratta sempre di salire, anche il buddhismo richiede un’ascesi continua. Invece nel cristianesimo è Dio che si colloca alla nostra portata. Di questo non prenderemo mai abbastanza coscienza.


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