martedì 28 gennaio 2014

LA CHIESA, LA FORZA E LA FATICA DELL’ITALIA . CIÒ CHE VIENE PRIMA

 : Felice famiglia sorridente e rilancio mano insieme nel parco
 

sei vicino, o sei estraneo. O ti stanno a cuore gli altri, la comunità, la gente; o non te ne importa niente. O ti appas­siona pensare, progettare e fare insie­me ad amici e colleghi, o chi ti sta ac­canto è sempre e comunque un 'concorrente' e l’o­biettivo è batterlo e sfruttarlo. A costo di apparire inge­nui visionari, drammaticamente privi di quel cinismo che per alcuni è l’unica arma per emergere, l’atteggia­mento prevalente nella società italiana è il primo, an­che se al secondo è concessa molta più visibilità. Un at­teggiamento che a volte (persino, spesso) può vivere ed esprimersi soltanto in forma di desiderio. Eppure l’Ita­lia delle solidarietà forti, delle relazioni vive e dei lega­mi saldi resiste, come un ricco fiume carsico che scor­re sotto un terreno inaridito. E ha ragione il cardinal Bagnasco, nella sua prolusione al Consiglio perma­nente della Cei, a denunciare quanto gli italiani siano stanchi dell’«io ipertrofico», dell’esuberanza dell’indi­vidualismo, della competizione esasperata che tende a dissolvere proprio i legami affettivi, familiari, comu­nitari; a strangolare proprio la solidarietà, vista come non una risorsa per la ricchezza (spirituale e materia­le) del Paese, ma come un ostacolo di cui sbarazzarsi.
  La Chiesa sa queste cose perché sta in mezzo alla gen­te. Non come una multinazionale che miri a incre­mentarne i consumi, non come un politico furbetto a cui interessa soltanto acchiapparne il voto, non con l’atteggiamento di chi lusinga e seduce; ma come chi è vicino, come chi ascolta, come chi abbraccia. Senza chiedere nulla in cambio. In virtù di questa vicinanza, la Chiesa non ha alcun dubbio nell’indicare le due ve­re, grandi priorità: il lavoro di tutti e, soprattutto, dei giovani, e la famiglia, soprattutto le famiglie che vor­rebbero nascere ma rimangono in attesa, in un grigio e inerte stand-by, perché il lavoro non c’è e le politiche di sostegno neanche. Tutto il resto, per quanto impor­tante, viene dopo. Neppure il grande e prezioso tema della «riforma dello Stato», può mettere tra parentesi le due priorità, i motori del futuro: lavoro e famiglia. Per­ché la dura fatica della gente «è reale».
  Il messaggio va recapitato al palazzo della politica? Sì, ma non solo. Il messaggio è rivolto innanzitutto ai cri­stiani e alle persone di buona volontà, comunque la pensino, ovunque siano, ovunque operino. A chi ope­ra in politica, certamente; ma anche, nello stesso tem­po, a chi sta in grandi aziende le cui decisioni, in meri­to agli investimenti, sono decisivi per il futuro del lavoro, dei lavoratori e delle loro famiglie; e poi a chi agisce nel­le istituzioni, ai professori, agli educatori, ai sindacali­sti, al mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, e ancora ai cristiani e ai laici che lavorano nei mass me­dia, a chi fa arte, a chi fa sport. Ci vorrebbe una grande alleanza, un’unità di intenti che andasse oltre i cam­panili e le appartenenze parziali.
  La «cultura del noi» cresce così, se guardandoci attor­no scopriamo alleati, non volti indifferenti o diffiden­ti. Per questo torna, opportuno e pertinente, l’invito a pensare a una nuova forma di «servizio civile» da offri­re a tutti i giovani e le giovani del nostro Paese. Non è una proposta nuova, da parte dei cattolici italiani. Ma è detta con grande autorevolezza e intensità, perché non più rimandabile. Un periodo, anche breve, della propria vita messo a disposizione della comunità, a ser­vizio del bene comune, può davvero aiutare i giovani a coltivare il senso di una cittadinanza attiva e piena, fat­ta
 di diritti e di doveri. Ma se i giovani devono avere consapevolezza dei pro­pri doveri, accanto ai propri diritti, il mondo adulto non può continuare a esimersi dal rispondere alla loro ine­vitabile domanda: e il lavoro? Tocca al mondo impren­ditoriale e alla comunità politica fornire risposte che non siano evasive e non respirino nel breve spazio di una campagna elettorale, per poi sparire. Un mondo adul­to non remoto e assente, ma vicino ai giovani e a chi re­sta indietro. Appassionato, non indifferente. Concreto, non retorico. Un mondo adulto con meno fondotinta e più sane rughe sul viso, per poter guardare in faccia senza arrossire i giovani e gli ultimi.  UMBERTO FOLENA 

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