Presentazione del libro Aziz
Pavlus (San Paolo)
Istanbul,
31 gennaio 2014
+ Angelo Card. Scola
Arcivescovo di Milano
Santità,
Eccellenza,
Chiarissimi Professori,
Signore e Signori,
essere
qui questa sera insieme a voi significa per me vivere un momento di particolare
letizia poiché l’occasione mi è data dall’invito del Patriarca Bartolomeo, che
ringrazio di cuore per averci voluto onorare della sua presenza, come pure per
aver scritto la prefazione a questo libro. Questa presentazione non è infatti
un’iniziativa estemporanea, ma si situa piuttosto all’incrocio di due cammini.
Il
primo è legato alla figura dell’imperatore Costantino, il fondatore di questa
città, e al suo editto che pose fine alle persecuzioni ai danni dei cristiani e
non solo nell’impero romano. Questo accordo, che costituì un initium per la libertà religiosa, fu
sottoscritto a Milano nel 313[1].
Così, per commemorare il 1700° anniversario dell’editto, sono state
organizzate, a Milano e in altre città del mondo, una serie di iniziative. Tra di
esse, l’incontro con il Patriarca Bartolomeo il 14 maggio scorso è stato per me
il momento più atteso e più significativo, una visita
che oggi sono lieto di ricambiare.
Il secondo cammino che mi porta qui è quello della Fondazione
Oasis che ormai da 10 anni si occupa di promuovere la conoscenza tra cristiani
e musulmani nel contesto di quel processo che chiamo “meticciato di civiltà e
di culture”. Oasis è nota soprattutto per la sua rivista e la sua newsletter,
entrambe in più lingue, ma cura anche alcuni libri, tra cui traduzioni di testi
teologici o del magistero ecclesiale nelle lingue orientali. Così, dopo due
volumi editi in arabo, la Fondazione ha osato il passo di una traduzione in
turco, che si è potuta realizzare solo grazie alla generosa dedizione di
diverse persone, religiosi e laici, giovani e anziani, che hanno lavorato
insieme in questo non facile compito.
Il libro che presentiamo questa sera nasce nel contesto dell’anno
paolino, che cattolici e ortodossi hanno celebrato nel 2008-2009, e raccoglie
le catechesi che l’allora Pontefice Benedetto XVI dedicò alla figura
dell’apostolo delle genti. Il nesso con la Turchia è immediato e fisico: Paolo
nacque a Tarso e nell’odierna Turchia si è svolto il suo primo viaggio, e gran
parte del secondo e del terzo. L’anno paolino poi ha avuto impatti
significativi sulla vita in Turchia, dando tra l’altro nuovo impulso al turismo
religioso. Tante persone forse sono state indotte a domandarsi: “Ma chi è
questo Paolo, che attira così tante persone sui luoghi della sua vita? Che cosa
ha fatto?” Questo libro vuole offrire una prima risposta, a partire dalla fede
della Chiesa. Esso
non va giudicato sulla base della sua lunghezza. Porta piuttosto il segno
inconfondibile di un grande teologo, capace di condensare in poche righe il
frutto di lunghe ricerche. Perché, come si sa, è più difficile scrivere una
pagina di sintesi profonda, alla portata di tutti, che dieci pagine
specialistiche per soli addetti ai lavori.
Tuttavia, che il protagonista di questo libro sia l’apostolo Paolo
è prima di tutto provvidenziale per la dimensione ecumenica che questa scelta
porta inevitabilmente con sé. Il testo infatti ci conduce diritti al cuore
della fede mostrando una verità importante: i cristiani non si riuniscono prima
di tutto per rivendicare meglio e con più forza alcuni diritti, ma per
ringraziare il Signore per «l’incontro
con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con
ciò, la direzione decisiva»[2].
La prima preoccupazione dell’ecumenismo non è politica, accordare le voci per
farsi sentire meglio, ma teologica: la ricerca dell’unificazione tra i
cristiani scaturisce dalla fede stessa. È molto bello allora che la chiesa di
Costantinopoli e quella di Milano si siano ritrovate insieme, in occasione dei
1700 anni dall’editto, per richiamare il valore civile della libertà religiosa,
sempre da riguadagnare in particolare nella sua dimensione pubblica, ma è ancor
più bello che oggi s’incontrino attorno a quell’esperienza di fede da cui discende
anche l’attenzione per la libertà religiosa. In questo modo «l’impegno per un’unità che faciliti
l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento
forzato»[3]. Questa sottolineatura
toglie anche ogni ombra di sospetto che i non cristiani – nel nostro caso i
nostri amici musulmani – potrebbero nutrire circa lo scopo della nostra
attività ecumenica. Essa è uno scambio di doni, non la ricerca di un’alleanza
strategica. Anche perché tutte le volte che l’ecumenismo tra cattolici e
ortodossi è stato impostato contro qualcuno non ha resistito alla prova del
tempo.
Se la figura di San Paolo è dunque una sorgente permanente
d’ispirazione a cui tutti i cristiani, cattolici, ortodossi ed evangelici,
possono continuamente attingere, occorre riconoscere con realismo che essa è
invece un motivo di divergenza nel rapporto con i musulmani. Molti di essi
guardano con sospetto all’operato di Saulo, non di rado accusato di un radicale
travisamento del primitivo annuncio cristiano. Occorre riconoscere con onestà
intellettuale questa divergenza, ma al tempo stesso va anche richiamata la
necessità, per un dialogo autentico, di confrontarsi con l’integralità delle
diverse esperienze religiose. Se cioè i cristiani di tutte le confessioni (più
di un miliardo di fedeli) sono concordi nel riconoscere in Paolo una figura
centrale per la loro fede, chiunque voglia conoscere il Cristianesimo dovrà
fare i conti con i suoi scritti. Un esempio può aiutare a ben capire quello che
intendo dire. Come cristiani avvertiamo una particolare sintonia con la
letteratura mistica islamica, che valorizza il rapporto personale con un Dio
vicino e, in qualche misura, accessibile perché amante. Leggiamo con profitto
diversi passi dei Mathnawi di Mevlana Rumi[4]
o alcune poesie di al-Hallaj[5].
Ma se dicessimo che l’Islam è solo Rumi e al-Hallaj, dimenticando il contributo
degli uomini di Legge e degli studiosi degli Hadith, finiremmo per
formarci un quadro deformato della religione islamica e di quello che i
musulmani abitualmente credono. In altre parole, per un dialogo culturale
serio, non posso scegliere alcuni autori con cui mi trovo in sintonia,
dimenticandone volutamente altri per me più problematici, ma devo cercare di
formarmi una visione globale del fenomeno che indago, eventualmente utilizzando
gli autori più prossimi alla mia sensibilità come una porta per accedere a
quelli più remoti. Così, in modo speculare, se voglio capire il Cristianesimo,
non posso fare a meno di Paolo. E non posso fare a meno di lui neppure se
voglio capire la filosofia occidentale, la storia occidentale, l’arte
occidentale o addirittura la sua politica. Come ricorda la Evangelii Gaudium,
«per sostenere il dialogo con l’Islam è
indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché
siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano
capaci di riconoscere i valori degli altri»[6].
Solo in questo modo potremo dare un contributo effettivo al dialogo tra le
culture oggi così urgente.
Paolo rappresenta una sfida particolare. Innamorato delle
tradizioni dei Padri, pronto a difenderle con la vita, ma anche a perseguitare
chi, a suo modo di vedere, le metteva in pericolo. Chiunque sminuisca la
serietà dell’impegno di Saulo alla scuola di Gamaliele non comprende la ricerca
del Volto di Dio attraverso la sequela della Legge e la sottomissione a essa,
che è una delle esperienze più radicali per la coscienza religiosa dell’uomo di
ogni tempo. Ma proprio per questo sorge più forte la domanda: che cosa ha
incontrato Paolo di così potente da portarlo a superare questa prospettiva,
lanciandosi a capofitto in un’attività missionaria senza confini, che è stata
decisiva per aprire la Chiesa alla dimensione universale? È una domanda che
merita di essere indagata.
C’è poi – credo – un terzo motivo d’interesse specifico per
l’Islam. Dal punto di vista storico infatti, Paolo è stato il primo grande
teorizzatore della distinzione tra lettera e spirito di un testo sacro. Per lui
il significato esteriore è insuperabile (non è infatti uno gnostico), ma
richiede allo stesso tempo di essere vivificato da un’esperienza interiore, perché «la lettera uccide, lo Spirito invece dà
vita» (2Cor 3,6). Com’è noto, una coppia analoga di concetti è stata
sviluppata anche dall’esegesi islamica del Corano e secondo molti pensatori
musulmani contemporanei, essa è fondamentale per poter coniugare fino in fondo
l’Islam con la modernità. Sono idee spesso ripetute, ma di rado approfondite
come meriterebbero. Penso perciò che un confronto serio con la coppia paolina
di lettera e spirito potrebbe essere molto utile per il dibattito in corso
nell’Islam, in modo particolare in un Paese come la Turchia dove la ricerca
scientifica, anche in campo teologico, è molto avanzata.
Con
queste brevi notazioni, spero di avervi comunicato le ragioni che hanno
condotto a questa iniziativa. Essa è un primo, timido passo. Ci auguriamo che
altri possano seguire. Occasione d’incontro ecumenico e momento di dialogo culturale,
questo libro schiude davanti a noi un ampio cammino, che domandiamo a Dio di
poter percorrere con gioia e fiducia, insieme a tutti quelli che lo vorranno.
Grazie.
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