giovedì 23 gennaio 2014

Il dialogo sincero come un albero dai frutti buoni. Terra dei fuochi Napolitano accoglie il grido delle madri


L’incontro con don Patriciello e le mamme

 «Presidente, non avrei mai pensato di dovermi interessare del problema dei rifiuti industriali che hanno avvelena­to la nostra terra. Mi sento fuori posto, un intruso. Io desidero solamente fa­re il prete...». Per la prima volta in vita mia, ieri mattina, metto piede nel pa­lazzo del Quirinale, accompagnato da 13 mamme che, dopo aver lottato col cancro o la leucemia, hanno dovuto dire addio ai loro bambini nella Terra dei fuochi. Il presidente Napolitano ci accoglie con cordialità e simpatia. Si mette in ascolto per lungo tempo.  E' attento e interessato. Interviene, chiede spiegazioni e delucidazioni su ciò che ritiene più interessante. Prende appunti.
  Poi, rispondendo a quel che ho detto prima dice rivolto a me: «Io credo invece che papa Francesco sia molto contento del contributo che sta dando per la rinascita della Campania». Queste parole mi danno una grande gioia.
  Eravamo partiti da Caivano che era ancora buio. I mesi passati ci hanno visto in prima fila nella lotta ai roghi tossici e ai rifiuti industriali interrati nelle nostre campagne.
 
 Avvenire,
 il giornale che amiamo, ha provveduto per primo a informare gli italiani dando loro notizie certe. I suoi inviati sono stati come noi e con noi testimoni dello scempio che ci uccide. Avevamo estremo bisogno di fare verità su ciò che realmente avveniva soprattutto nelle province di Napoli e Caserta. Troppe mistificazioni e imbrogli si erano consumati negli anni passati. Troppa gente aveva tentato e ancora tentava di mischiare le carte per motivi non certamente nobili. Troppi gli interessi di ordine economico da tutelare e mantenere in vita. Per questi motivi non faceva che negare, negare, negare.
  Negavano l’evidenza. Davanti a costoro occorreva portare prove. Andarle a cercare. Credere – continuare caparbiamente a credere – che, se nel mondo c’è tanta gente ignava e cattiva, ce n’è tantissima che alberga in cuore sentimenti nobili e desideri di giustizia.
  Occorreva individuare i buoni. Metterli assieme. Non era facile. Bisognava ridare speranza a chi l’aveva smarrita.
  Armarsi di pazienza e volontà per studiare una materia completamente nuova e sconosciuta. Una materia per la quale personalmente non avvertivo fascino alcuno.
  Studiare immondizie e flussi di scorie industriali non mi attirava per niente. I miei interessi pastorali, culturali, spirituali vanno in tutt’altra direzione. Ma il cristiano deve mantenere fede alla parola data. Alla promessa fatta al suo Signore di voler fare solo ciò che vuole Lui. Non farlo significherebbe tirarsi indietro. Rinnegare la propria vocazione. Quando Dio chiama occorre rispondere.
  Sempre e a ogni costo. Qualunque cosa chiede non puoi che rispondere 'sì'. L’amore di Dio ci costringe. Ci rende liberi e prigionieri allo stesso tempo. Davanti allo scempio che stava portando a morte la mia regione ho avvertito come una seconda vocazione. Quando sentii che il buon Dio mi voleva sacerdote ero di turno all’ospedale dove lavoravo come paramedico. Ricordo quella notte come fosse ieri. È difficile da spiegare, ma ebbi la certezza – dico la certezza – che tutto ciò che mi circondava non mi apparteneva più. Piansi. Non capivo perché il Signore ci fa percorrere certe strade e poi ci chiede di abbandonarle.
  Una vita nuova mi si apriva davanti. Dissi a me stesso: «Il Signore mi vuole prete? Bene, si riparte daccapo». La stessa, identica sensazione ebbi una notte di qualche anno fa. Le nostre case erano invase da fetori di ogni tipo. I fumi tossici, nerissimi e puzzolenti ci tenevano in ostaggio a tutte le ore.
  Una notte, l’ennesima notte che non si dormiva, in piedi nella mia stanza guardai il crocifisso ed ebbi la certezza che mi stese chiedendo qualcosa. Ma che cosa? Da dove cominciare? Da chi andare? «Che cosa vuoi che io faccia?
  Che cosa mi stai chiedendo? Ti chiedo solo di farmi capire...». Vocazione. Essere chiamati. Non ti chiami da solo. Non puoi essere tu a farlo. Occorre che sia un altro. E ci incamminammo per una strada sconosciuta, faticosa, insidiosa.
  In questi anni abbiamo fatto tante cose, coinvolto tanta gente. Abbiamo bussato a tante porte. Alcune si sono aperte, altre no. Ieri siamo arrivati dal capo dello Stato. Un momento importante per dare fiato alla speranza.
  Nell’ascoltare le storie dei bambini che troppo presto hanno detto addio al mondo, il presidente si è commosso fino alle lacrime e ha promesso di impegnarsi per la rinascita della nostra terra. Ieri, al Quirinale, credo sia stata scritta una pagina importante per la nostra democrazia. Il dialogo onesto, sincero, schietto tra istituzioni e popolo sovrano è un albero che non può che dare buoni frutti. Io ci credo.
 
Maurizio Patriciello

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