Nm 20, 2.6-13 Il lamento del popolo contro Mosè e Aronne.
Mancanza d’acqua
Salmo 95 “Noi crediamo, Signore, alla tua parola”
Rm 8, 22-27 Lo Spirito intercede, “con gemiti
inesprimibili”, per le carenze umane universali
Gv 2, 1-11 Il
lamento di Maria, portavoce dell’umanità, per carenza di “vino”
ANFORA ESILARANTE
❶ Sulla
scia delle manifestazioni di Gesù, oggi viene presentata la più umana, un matrimonio, senza un apparente
scenario “divino”, in un paesino della Galilea. Il racconto è semplice, quasi
una cronaca locale. Lo sposalizio, gli invitati, parenti e amici, le libagioni
abbondanti all’inizio, per poi rimanere senza vino, l’allegria, i camerieri, il
direttore di cerimonia e tanto altro. L’evento assume importanza per la
presenza, tra i parenti, di Maria, di suo Figlio e i suoi discepoli. A questo
punto la lettura si approfondisce. Si potrebbe usare la metafora del mare: in superficie la calma apparente, con
l’acqua di un azzurro splendente, che si perde nell’infinito: la narrazione. In
profondità si notano movimenti più complessi: alcuni invitati s’accorgono
di qualche anomalia. Maria, con occhio scrutante tutto lo scenario, nota la carenza,
o il consumo eccessivo, del vino, la bevanda inebriante, che richiama Noè, le
vigne rigogliose della Galilea, le tante parabole della Alleanza, i banchetti
succulenti, cui partecipò Gesù, la Cena Mistica, il pozzo di Giacobbe, l’acqua
e il sangue, che sgorgarono dal cuore di Gesù in croce. “Non hanno più vino” è
l’avvertimento. Ora si entra nelle profondità del mare, il fondale. Non
vi è dialogo tra i due, la risposta del Figlio appare sgarbata. La madre si
rivolge ai camerieri, invitandoli a eseguire gli ordini. Vi sono sei grandi
contenitori di acqua rituale, non possono essere usati per altri scopi. Gesù
intima di riempirli d’acqua, si discosta dal rito antico, la prima libagione
per primo il maggiordomo, che, estasiato della nuova bevanda, si rivolge allo
sposo quasi con un rimprovero. Il racconto di Giovanni conduce il lettore nel fondale
del fondale: “Questo … fu l’inizio dei segni (dei sette) compiuti da Gesù;
egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in Lui”. Da sottolineare
anche la risposta di Gesù: “Non è ancora giunta la mia ora”. L’ora di Gesù nel
Vangelo di Giovanni è quella della croce (là manifesta la sua vera “GLORIA”). La
festa di nozze poté continuare nella GIOIA.
❷ Afferma
Papa Francesco (Evangelii Gaudium): “La nostra fede è sfidata a
intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata e a scoprire il grano
che cresce in mezzo alla zizzania”. Il messaggio di Dio, completato dalle
letture odierne, entra nel profondo delle nostre esistenze. Un primo elemento è
dato dalla prima lettura, con l’episodio della carenza d’acqua nel deserto, le
mormorazioni del popolo, l’intercessione di Mosè e Aronne (come Maria), la poca
fede dei due, che pagheranno a caro prezzo (“Non avete creduto in me”), i
litigi del popolo con il Suo Dio.
La supplica del Salmo, per avere “una fede rocciosa” e la
fiducia nella sua Parola, viene interpretata da Paolo in voce-gemiti dello
Spirito Santo, Egli stesso “intercede con gemiti inesprimibili” (come Maria
alle nozze di Cana).
❸ La
complessità della riflessione-omilia conduce i credenti su strade inesplorate. Dal
deserto interno ed esteriore (il vuoto, o la depressione spirituale) si scopre
l’essenziale, il desiderio di dissetarsi, di trovare l’orientamento. Nel
deserto Papa Francesco invita a essere “persone-anfore per dare da bere agli
altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma proprio sulla
Croce il Signore si è consegnato a noi come acqua viva”, come vino esilarante.
❹ Dal
“segno” i discepoli cedettero, cioè si fidarono del Maestro, si lasciarono condurre: il
credente è colui che nei segni intravede il mistero di Gesù e della sua origine
dal Padre. Quando Maria disse “non hanno più vino” esprimeva la speranza del
miracolo. Anche oggi si cerca nei miracoli la soluzione degli imbarazzi. Gesù
compie il miracolo al fine di una rivelazione superiore, “per rivelare la sua
gloria” e donare gioia. Gesù va alla festa che celebra l’amore. L’amore umano,
nella sua naturalezza, nella sua corporeità e spiritualità, nella bellezza inscritta
dal creatore nel corpo e nel cuore delle persone. La festa di una unione
amorosa che irraggia l’amore di Dio. Il vino abbondante è l’amore senza misura
di Dio. “Non hanno più vino” è lo sconcerto improvviso, che guasta la gioia;
come guasta la gioia “non hanno più lavoro”, “non hanno più futuro”. Il vino
dell’amore (la fraternità umana) può diventare sangue, come nella “Cena
Mistica”, per donarsi e generare gioia: “Vi ho detto queste cose perché la mia
gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
❺ Ha
lasciato scritto Carlo Carretto: “Se tu bevi quel vino che Dio stesso ti offre, sei nella
gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è gioia sempre, perché sa
trasformare l’acqua della nostra povertà nel vino della risurrezione. La gioia
è la nostra riconoscente risposta”.
Mostrare la gioia cristiana è fare della propria vita
un’anfora esilarante; se si è tristi e noiosi, non si ha fede nel Maestro. Per
questo i Santi, alcuni in
particolare, hanno irradiato gioia, sono stati anfore dissetanti per tante
persone (San Francesco: “nelle tribolazioni quivi è perfetta letizia”; San
Filippo Neri, con i suoi giochi di strada; San Giovanni Bosco, il saltimbanco
dei giovani ).
Don Carlo
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