domenica 19 gennaio 2014

Omelia di don Carlo Venturin -2^ dopo l’Epifania – 19/01/2014


Nm 20, 2.6-13    Il lamento del popolo contro Mosè e Aronne. Mancanza d’acqua
Salmo 95             “Noi crediamo, Signore, alla tua parola”
Rm 8, 22-27        Lo Spirito intercede, “con gemiti inesprimibili”, per le carenze umane universali
Gv 2, 1-11           Il lamento di Maria, portavoce dell’umanità, per carenza di  “vino

ANFORA ESILARANTE

Sulla scia delle manifestazioni di Gesù, oggi viene presentata la più umana, un matrimonio, senza un apparente scenario “divino”, in un paesino della Galilea. Il racconto è semplice, quasi una cronaca locale. Lo sposalizio, gli invitati, parenti e amici, le libagioni abbondanti all’inizio, per poi rimanere senza vino, l’allegria, i camerieri, il direttore di cerimonia e tanto altro. L’evento assume importanza per la presenza, tra i parenti, di Maria, di suo Figlio e i suoi discepoli. A questo punto la lettura si approfondisce. Si potrebbe usare la metafora del mare: in superficie la calma apparente, con l’acqua di un azzurro splendente, che si perde nell’infinito: la narrazione. In profondità si notano movimenti più complessi: alcuni invitati s’accorgono di qualche anomalia. Maria, con occhio scrutante tutto lo scenario, nota la carenza, o il consumo eccessivo, del vino, la bevanda inebriante, che richiama Noè, le vigne rigogliose della Galilea, le tante parabole della Alleanza, i banchetti succulenti, cui partecipò Gesù, la Cena Mistica, il pozzo di Giacobbe, l’acqua e il sangue, che sgorgarono dal cuore di Gesù in croce. “Non hanno più vino” è l’avvertimento. Ora si entra nelle profondità del mare, il fondale. Non vi è dialogo tra i due, la risposta del Figlio appare sgarbata. La madre si rivolge ai camerieri, invitandoli a eseguire gli ordini. Vi sono sei grandi contenitori di acqua rituale, non possono essere usati per altri scopi. Gesù intima di riempirli d’acqua, si discosta dal rito antico, la prima libagione per primo il maggiordomo, che, estasiato della nuova bevanda, si rivolge allo sposo quasi con un rimprovero. Il racconto di Giovanni conduce il lettore nel fondale del fondale: “Questo … fu l’inizio dei segni (dei sette) compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in Lui”. Da sottolineare anche la risposta di Gesù: “Non è ancora giunta la mia ora”. L’ora di Gesù nel Vangelo di Giovanni è quella della croce (là manifesta la sua vera “GLORIA”). La festa di nozze poté continuare nella GIOIA.

Afferma Papa Francesco (Evangelii Gaudium): “La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania”. Il messaggio di Dio, completato dalle letture odierne, entra nel profondo delle nostre esistenze. Un primo elemento è dato dalla prima lettura, con l’episodio della carenza d’acqua nel deserto, le mormorazioni del popolo, l’intercessione di Mosè e Aronne (come Maria), la poca fede dei due, che pagheranno a caro prezzo (“Non avete creduto in me”), i litigi del popolo con il Suo Dio.
La supplica del Salmo, per avere “una fede rocciosa” e la fiducia nella sua Parola, viene interpretata da Paolo in voce-gemiti dello Spirito Santo, Egli stesso “intercede con gemiti inesprimibili” (come Maria alle nozze di Cana).

La complessità della riflessione-omilia conduce i credenti su strade inesplorate. Dal deserto interno ed esteriore (il vuoto, o la depressione spirituale) si scopre l’essenziale, il desiderio di dissetarsi, di trovare l’orientamento. Nel deserto Papa Francesco invita a essere “persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma proprio sulla Croce il Signore si è consegnato a noi come acqua viva”, come vino esilarante.

Dal “segno” i discepoli cedettero, cioè si fidarono del Maestro, si lasciarono condurre: il credente è colui che nei segni intravede il mistero di Gesù e della sua origine dal Padre. Quando Maria disse “non hanno più vino” esprimeva la speranza del miracolo. Anche oggi si cerca nei miracoli la soluzione degli imbarazzi. Gesù compie il miracolo al fine di una rivelazione superiore, “per rivelare la sua gloria” e donare gioia. Gesù va alla festa che celebra l’amore. L’amore umano, nella sua naturalezza, nella sua corporeità e spiritualità, nella bellezza inscritta dal creatore nel corpo e nel cuore delle persone. La festa di una unione amorosa che irraggia l’amore di Dio. Il vino abbondante è l’amore senza misura di Dio. “Non hanno più vino” è lo sconcerto improvviso, che guasta la gioia; come guasta la gioia “non hanno più lavoro”, “non hanno più futuro”. Il vino dell’amore (la fraternità umana) può diventare sangue, come nella “Cena Mistica”, per donarsi e generare gioia: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).

Ha lasciato scritto Carlo Carretto: “Se tu bevi quel vino che Dio stesso ti offre, sei nella gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è gioia sempre, perché sa trasformare l’acqua della nostra povertà nel vino della risurrezione. La gioia è la nostra riconoscente risposta”.
Mostrare la gioia cristiana è fare della propria vita un’anfora esilarante; se si è tristi e noiosi, non si ha fede nel Maestro. Per questo i Santi, alcuni in particolare, hanno irradiato gioia, sono stati anfore dissetanti per tante persone (San Francesco: “nelle tribolazioni quivi è perfetta letizia”; San Filippo Neri, con i suoi giochi di strada; San Giovanni Bosco, il saltimbanco dei giovani ).

 Don Carlo

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