lunedì 27 gennaio 2014

«L'Italia ha bisogno di lavoro e famiglia» Prolusione del Presidente della CEI

Prolusione ridotta, attenzione ai temi sociali, all'accoglienza degli immigrati e all'educazione. Minore insistenza sui valori non negoziabili. Forte appello per il lavoro

Il nostro Paese non è allo sbando o una “palude fangosa”. Ha i suoi problemi, è vero – e tra questi la mancanza di lavoro (soprattutto per i giovani ) e il mancato sostegno alle famiglie sono i dati più drammatici - ma ha anche in sé le forze per risalire la corrente. Il cardinale Angelo Bagnasco lancia un messaggio di speranza, aprendo il Consiglio permanente, riunito da questo pomeriggio a Roma.

Venerati Confratelli 

1. Lo Statuto della CEI

Con la luce dello Spirito che abbiamo appena invocato nell’adorazione eucaristica, iniziamo la sessione invernale del Consiglio Permanente, ed esprimiamo viva gratitudine al Santo Padre Francesco, che ci ha mostrato particolare fiducia chiamandoci a rivisitare lo Statuto dell’Episcopato Italiano. A distanza di quattordici anni (maggio 2000) dalla sua formulazione, la riprendiamo in mano alla luce delle attuali circostanze storiche, nel segno di una crescente partecipazione, nonché del rinnovato slancio missionario affinché il mondo spalanchi il cuore all’amore di Dio. Dopo aver raccolto il frutto della riflessione che le sedici Conferenze episcopali regionali hanno fatto a partire dal foglio di lavoro, in questi giorni prenderemo in esame il ricco materiale pervenuto, segno della passione con cui abbiamo accolto il compito affidatoci. E decideremo come procedere per un lavoro attento e proficuo, svolto con la necessaria ponderazione che il Santo Padre ci ha raccomandato.

A Papa Francesco va la profonda gratitudine dei Vescovi italiani per l’attenzione costante e la cura affettuosa con cui segue da vicino il cammino della Chiesa italiana. Prova ne è stata di recente la nomina del nuovo Segretario Generale ad interim nella persona del Vescovo di Cassano all’Jonio, S.E. Mons. Nunzio Galantino, che ha colmato il vuoto creatosi dopo l’elezione a Vescovo di Latina - Terracina - Sezze - Priverno di S. E. Mons. Mariano Crociata. Credo di interpretare i sentimenti di tutti esprimendo a Mons. Crociata la nostra grata ammirazione per il lavoro impegnativo svolto negli ultimi cinque anni con intelligente e generosa passione. A Mons. Galantino va la nostra cordiale vicinanza e l’augurio corale di un buon lavoro in questo peculiare momento per la vita della nostra Conferenza Episcopale.

2. “Evangelii gaudium”

In questo orizzonte, abbiamo accolto l’Esortazione Apostolica post-sinodale “Evangelii gaudium”, testo di grande densità che invita, sospinge e guida la barca della Chiesa sulle onde della gioia evangelica. La trama dell’Esortazione è ricca e puntuale: riafferma il Principio della gioia che è il Figlio di Dio fatto carne, indica visioni e criteri, approfondisce verità, offre applicazioni, si rivolge a tutti e sembra indirizzata a ciascuno. Tanta ricchezza è attraversata come da una nota dominante, da un filo d’oro che ispira e unifica, un filo forte e duttile insieme, capace di adattarsi senza spezzarsi: è appunto la gioia del Vangelo accolta nel cuore e offerta al mondo con fiduciosa passione. È questa gioia sottile e profonda, forte e gentile (cfr il beato Newman), che vogliamo testimoniare, singolarmente e insieme, ai nostri amati sacerdoti, alle comunità cristiane, a tutti, coscienti che la gioia di cui siamo ministri non deriva da noi, né dall’assenza di difficoltà e prove. La nostra gioia nasce dalla fede in Gesù, il Figlio di Dio venuto sulla terra per congiungerla al Cielo. Sì, la nostra gioia è Cristo, e nulla ce la può togliere. Siamo anche noi testimoni di quanto afferma il Papa, e cioè che “il grande rischio del mondo attuale (…) è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata”. E siamo consapevoli che “anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita”: allora prevale il lamento e si spegne il sorriso. Ma – con il Papa – siamo anche certi che “questo non è il desiderio di Dio” (Evangelii gaudium, 2). Diciamo queste parole non perché ci riteniamo immuni da un tale pericolo che nasce da una fede creduta ma a volte poco vissuta, né per fare i censori arcigni, ma solo per esserecompagni di strada, fedeli alla paternità che ogni Vescovo ha ricevuto dallo Spirito: una paternità che è dono straordinario e compito drammatico verso tutti.

3. Una foresta che cresce

Vorremmo che in questi giorni la gente ci sentisse particolarmente vicini, che potesse ascoltare una parola di prossimità, che avvertisse almeno un’eco del divino Maestro. Noi – lo diciamo quasi sottovoce tanto grande è la grazia che ci tocca – conosciamo la vita delle persone, e ne vogliamo testimoniare la dignità, il senso della famiglia, la capacità di dedizione e di sacrificio, la bontà spesso eroica di ogni giorno. Restiamo ammirati della loro fede umile e semplice, e vorremmo che questa foresta buona e silenziosa avesse più voce degli alberi che cadono rumorosi. La fede e la bontà diffuse hanno radici profonde e antiche, che raggiungono il ceppo vivo degli Apostoli e si alimentano alla sorgente della preghiera, dei sacramenti, della carità verso i deboli, della comunità ecclesiale, della testimonianza missionaria. Ispirano la devozione popolare, segno di un “sentire” religioso diffuso che è un vero patrimonio del nostro Paese.

4. Dio c’entra

Insieme ai nostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, conosciamo le vostre gioie e speranze,uomini del nostro tempo; ma anche tocchiamo le sofferenze che non mancano, le preoccupazioni e le angosce che attraversano le vostre esistenze. Come voi, anche noi sappiamo che “la gioia non si vive allo stesso modo in tutte le tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto” (id. 6). Vorremmo per questo essere gli umili “collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1,24), aiutandovi affinché poco alla volta la gioia della fede cominci a destarsi o a ridestarsi “come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie (…) ‘Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà… È bene aspettare in silenzio la sua fedeltà’ ” (id). Vorremmo far risuonare alta e mite la voce dei secoli e ripetere al mondo moderno che Dio c’entra con la vita, non è lontano e indifferente, non è nemico oscuro della gioia ma ne è la perenne sorgente, non è concorrente geloso della libertà ma ne è la più sicura garanzia. Vorremmo ripetere con i grandi testimoni del Vangelo, con i Dottori della fede, che Dio è dalla parte dell’uomo, e che nulla è più stupefacente di un’esistenza comune e di un cuore semplice che vive con Lui.

5. La cultura del “noi”

Non è forse questo messaggio che risuona oggi come una novità cercata spesso a tentoni, desiderata e attesa sapendo che essa esiste in qualche parte di questo mondo affaticato e amato? Messaggio antico che risuona come nuovo e sorprendente in una cultura che sembra una bolla di fantasmi, di miti vuoti, di apparenze luccicanti, di bugie promettenti. E non è forse vero che questo messaggio, che cammina attraverso i secoli e i millenni, prima o poi ha il potere di penetrare – o almeno di interrogare e scalfire – le incrostazioni del cuore, le sordità accumulate, le frenesie del tempo? Esso ha il fascino di un mistero che attrae e ridesta l’anima ad un modo diverso di vivere con se stessi, con gli altri, con il creato: una forma di vita di cui tutti abbiamo nostalgia e che intuiamo essere la nostra casa! Se Dio c’entra con la vita di ciascuno, infatti, allora ognuno c’entra con la vita degli altri. E questo capovolge i rapporti, il modo di guardarci, di stare insieme; supera ogni forma di intolleranza, e permette di accogliere fratelli e sorelle che per disperazioneapprodano sui nostri lidi, col desiderio di trovare una integrazione rispettosa e serena. Ma, su scala più ampia, capovolge anche i rapporti tra gli Stati, le Nazioni, i Popoli, perché la giustizia regni e cresca la pace: realtà invocata – la pace – e ancor tanto ferita nella carne dei poveri di Paesi anche vicinissimi a noi, dove, anziché le vie del dialogo onesto, si continua a perseguire la strada disumana della violenza e delle persecuzioni. Il “noi” capovolge anche il modo di fare economia e finanza, politica e lavoro. Capovolge perché non è più l’iperindividualismo a dettare legge, l’io con la sua vanità e i suoi egoismi a dominare la scena; non sono più le logiche spietate di un mercato selvaggio a strangolare i senza volto, né il ghigno della solitudine che spaventa, ma il “noi” che non fa scarti umani e che non lascia ai bordi della strada nessun debole aggredito e spogliato dai briganti di turno. Abbiamo a che fare con un io ipertrofico e un noi impoverito, come se il noi attentasse all’io di ciascuno. Ma è proprio il “noi” che ispira la cultura dell’incontro e del dialogo, per cui ci si ascolta al fine di comprendersi senza finzioni. In questa ottica, forse sono da ripensare seriamente anche delle forme organiche di servizio civile, che siano delle tappe di vita e dei tirocini del “noi”, “cattedre pratiche” di fraternità, di giustizia e di pace, dove si respira il gusto di vivere e di operare insieme per il bene di tutti.  Il “noi” sta alla base di quella visione antropologica veramente umanistica per cui – anche per chi non crede – la persona non solo vive di relazioni ma è relazione; i diritti e i doveri restano tali e i desideri restano desideri; alle cose si riconosce la loro specifica natura, e le differenze vengono dichiarate per quello che sono con rispetto e senza smanie di omologazioni forzate o violente. Nel nostro occidente, sembra di assistere ad uno strano paradosso: quanto più si parla di società e di bene comune, di rispetto e di diritti, tanto più si rivela arrogante il disegno oscuro di omologare tutto e tutti, quasi di azzerare di fatto le identità e le culture, le tradizioni e i valori.

6. Evangelizzazione e educazione

La densa Esortazione di Papa Francesco ha uno scopo preciso subito enunciato: “desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (id. 1). A questa meta i Vescovi guardano con tensione rinnovata, mentre percorriamo il cammino del decennio sulla sfida educativa: “Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!” (Papa Francesco, Svegliate il mondo. Colloquio con i Superiori Religiosi, “La Civiltà Cattolica” 2014, I, pag. 16). Come spesso ci siamo detti, infatti, il compito educativo ha in Gesù Cristo il suo modello e la sua intrinseca forza. Ne è fonte e culmine, principio e meta. Come nell’omelia e nella catechesi mai può essere dato per scontato il Kerygma, ma sempre deve essere ripreso e riproposto, cosìnell’opera educativa dobbiamo interiormente partire dal mistero di Cristo per giungere ad esplicitarlo come sorgente e criterio di vita buona e di umanità piena. Dove trovare, infatti, un fascino maggiore e una spinta più avvincente, per chi percorre l’avventura educativa, se non il mistero del Kerygma? “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (id. 164). Se è vero che tutta la comunità cristiana ha il compito e la grazia di educare senza mai smettere di formare se stessa, allora comprendiamo che l’evangelizzazione è la radice mai scontata dell’educazione: senza, infatti, l’opera educativa perde luce e forza, diventa tecnica.
7. Educazione e scuola
In questo quadro, una sola parola, profondamente convinta e appassionata, ci sia consentito dire a proposito della scuola. Essa, dopo la famiglia dove il papà e la mamma sono i naturali e irrinunciabili maestri, è un grande spazio di istruzione e educazione dei giovani nelle diverse età. Compito affascinante, quello di insegnare ed educare al contempo. Compito non sempre dovutamente riconosciuto dalla società, ma sempre ampiamente apprezzato dalla Chiesa. Anche la Chiesa, infatti, ha nel suo DNA la missione di evangelizzare e di educare il popolo di Dio nelle varie età della vita. Incisiva è la recente parola del Papa: “Le Università sono un ambito privilegiato per pensare e sviluppare questo impegno di evangelizzazione in modo interdisciplinare e integrato. Le scuole cattoliche, che cercano sempre di coniugare il compito educativo con l’annuncio esplicito del Vangelo, costituiscono un contributo valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove una situazione avversa ci stimola ad usare la creatività per trovare i percorsi adeguati” (id. 134). A questo proposito, non possiamo – per ragioni di giustizia – non rilevare ancora una volta la grave discriminazione per cui, nel nostro Paese, da un lato si riconosce la libertà educativa dei genitori, e dall’altro la si nega nei fatti, costringendoli ad affrontare pesi economici supplementari. In questa sede vogliamo ringraziare pubblicamente e confermare la nostra crescente stima verso le comunità cristiane e gli Istituti religiosi che resistono con altissimi sacrifici per non chiudere le loro scuole, spesso anche di grande prestigio storico e culturale. Ogni anno, chiudere delle scuole cattoliche – di qualunque ordine e grado – rappresenta un documentato aggravio sul bilancio dello Stato, un irrimediabile impoverimento della società e della cultura, e viene meno un necessario servizio alle famiglie.

Per sostenere l’importanza decisiva della scuola tutta, dell’educazione e della libertà educativa, i Vescovi Italiani hanno promosso un evento pubblico per sabato 10 maggio p.v. in Piazza San Pietro, al quale il Santo Padre Francesco ha dato non solo la sua approvazione, ma ha assicurato la sua personale presenza. A questo atto tutti sono invitati, tutti coloro che – a prescindere dal proprio credo – sono convinti della posta in gioco per i giovani, le famiglie, la società.

8. Vangelo e società

Il Kerygma ha a che fare anche con la realtà nella sua interezza, “possiede un contenuto ineludibilmente sociale” (id. 177): “evangelizzare (infatti) è rendere presente nel mondo il Regno di Dio” (id. 176), e quindi “dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (id. 178). Per queste ragioni, come Pastori, non possiamo esimerci dal dire una parola sul contesto sociale che viviamo, consapevoli di dover dare voce a tanti che non hanno voce e volto, ma che sono il tessuto connettivo del Paese con il loro lavoro, la dedizione, l’onestà. Come ho già detto, vogliamo testimoniare la bontà e serietà che impastano il nostro popolo, e che ispirano largamente l’ethos profondo della gente, delle famiglie, di tante istituzioni. L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione. No. Dobbiamo tutti reagire ad una visione esasperata e interessata che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno. A questo disegno, che lacera, scoraggia e divide – e quindi è demoniaco –, non dobbiamo cedere nonostante esempi e condotte disoneste e approfittatrici. Ci si può approfittare del denaro, del potere, della fiducia della gente, perfino della debolezza e delle paure, ma nulla deve rubarci la speranza nelle nostre forze se le mettiamo insieme con sincerità. Tanto più che il Signore è venuto sulla terra per stare con noi!
Ci sentiamo altresì confermati dal Santo Padre quando scrive che “i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone (…) Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito del privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. (…) Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune” (id. 182). In forza di questo nostro dovere, facciamo appello affinché la voce dei senza lavoro, che sale da ogni parte del Paese, trovi risposte più efficaci in ogni ambito di responsabilità. Non è ammissibile che i giovani – che sono il domani della Nazione – trovino la vita sbarrata perché non trovano occupazione: essi si ingegnano, sempre più si adattano, mantengono mediamente la fiducia e la voglia di non arrendersi nonostante esempi non sempre edificanti. Noi Pastori li conosciamo, vorremmo dire per nome, e lo testimoniano anche le svariate iniziative di sostegno alla progettualità giovanile presenti nelle diocesi (Progetto Policoro, Prestito della Speranza, varie forme di microcredito). Nonostante questi segni, ci sentiamo impotenti a corrispondere nei modi adeguati. A livello pubblico si vedono impegno e tentativi, segnali promettenti, ma i mesi e gli anni non aspettano nessuno. Quale progetto di vita è possibile per le giovani generazioni? Il dibattito sulla riforma dello Stato, nei suoi diversi snodi, è certamente necessario, ma auspichiamo che ciò non vada a scapito di ciò che la gente sente più bruciante sulla propria pelle, e cioè il dramma del lavoro: la povertà è reale!
Da tempo è all’attenzione della pubblica opinione la situazione insostenibile delle carceri italiane. La Chiesa, consapevole che il sistema carcerario è segno della civiltà giuridica e non solo di un Paese, è presente ogni giorno accanto ai detenuti tramite i Cappellani e i volontari, ai quali chiunque può riferirsi, favorendo anche così la funzione rieducativa della pena. Ai detenuti, alla polizia penitenziaria e alle amministrazioni, rivolgiamo il nostro pensiero di Pastori, e auspichiamo una situazione più dignitosa per tutti. In particolare, incoraggiamo quanti scontano una pena a fare di questo tempo un’occasione di riflessione e di ricupero per affrontare il rientro nella società.

Nel giorno consacrato alla memoria dell’Olocausto la Chiesa italiana si stringe attorno ai fratelli ebrei perché la ferita incancellabile di quella tragedia sia di monito per tutti e si scongiurino episodi di intolleranza e di provocazione come accaduto di recente a Roma.

In occasione del capodanno dei cinesi esprimiamo vicinanza affettuosa a quanti vivono e lavorano nel nostro Paese, auspicando che le condizioni di vita possano crescere secondo le attese della dignità umana e mai più si ripetano eventi luttuosi, come quelli di recente verificatisi tragicamente a Prato.        

9. Il Sinodo sulla famiglia
Il singolo ha bisogno di lavoro per avere dignità e sostentamento, ma ha anche bisogno di legami sicuri e stabili, ha bisogno di fare famiglia. Ma anche la società ha bisogno di lavoro e di famiglia: altrimenti, che società sarebbe? Se da una parte dobbiamo avere come obiettivo un livello di prosperità per tutti, affinché tutti possano accedere al bene dell’educazione, dell’assistenza sanitaria, della casa, dall’altra bisogna favorire la partecipazione attiva alla vita comunitaria, così che nessuno sia preda della solitudine, e soprattutto non senta di essere superfluo. La persona non è mai inutile, ma la società civile deve far sì che ognuno possa sentirsi utile per quello che è.

Entriamo così in quella realtà peculiare e ineguagliabile che il fondamento della società e la sua prima forma naturale, la famiglia. Grande e capillare è stato il lavoro di consultazione in vista del prossimo Sinodo. Le nostre Chiese hanno lavorato intensamente e nei tempi indicati: ora sarà la Segreteria Generale del Sinodo che – con l’ausilio di tanto patrimonio – stenderà l’Instrumentum laboris. È tempo di grande fermento, tempo di grazia. In questo momento, nel contesto del nostro Paese, non possiamo non rilanciare quanto ha affermato Papa Francesco con estrema chiarezza: “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri, e dove i genitori trasmettono la fede ai figli” (id. 66). Per questa sua intima natura la famiglia deve essere sostenuta da politiche più incisive ed efficaci anche in ordine alla natalità, difesa da tentativi di indebolimento e promossa sul piano culturale e mediatico senza discriminazioni ideologiche.

Vi ringrazio, cari Confratelli, per la cordiale attenzione: affidiamo i nostri lavori alla materna benedizione di Maria, la Grande Madre di Dio, e a san Giuseppe suo sposo. Alla loro intercessione affidiamo i nostri sacerdoti, le comunità, l’amato nostro Paese.

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