venerdì 24 gennaio 2014

Un "io in relazione", anche nella scuola

Un incontro in Duomo con l'Arcivescovo di Milano, Angelo Scola. A tema, l'educazione nel mondo della scuola. In un dialogo serrato, il Cardinale ha voluto ricondurre tutti alla vera natura dell'insegnamento: «Non una tecnica, ma un'arte»
Milano, 22 gennaio. Una tiepida serata invernale. Siamo otto insegnanti, colleghe legate da un’amicizia cordiale che negli anni si è consolidata nel lavoro in un prestigioso liceo milanese. Veniamo da esperienze diverse: chi attiva in parrocchia, chi del movimento, chi in cerca come a tentoni del senso nella vita.

Abbiamo lasciato correzioni, lezioni da preparare e incombenze familiari per rispondere alla chiamata del nostro Arcivescovo che ha convocato il mondo della scuola diocesana sul tema dell’educazione. Siamo curiose, non possiamo sapere che cosa lui ci voglia dire, ma ci aspettiamo qualcosa di buono per noi e per il nostro lavoro.
La lunga coda sul sagrato, volti giovani e meno giovani, ma anche presidi e genitori; insomma adulti cui a vario titolo sono affidati dei giovani da educare.
L’incontro si svolge nella forma più semplice dell’assemblea: alcuni pongono domande e il Cardinale risponde alternando passaggi di ragionamento rigoroso con ricordi e aneddoti personali (tra le presenze più evocate, la sua vecchia professoressa di arte).

Su tanti aspetti è stato interpellato e a tutto ha risposto: dalle urgenze di una scuola sempre più meticcia e multietnica fino al difficile nodo della parità scolastica. Ma sopra a tutto e prima di tutto ha sentito l’urgenza di definire il cuore della dinamica educativa alla luce del quale qualsiasi questione specifica trova poi la sua sistemazione.
Contro ogni riduzione dell’insegnante a facilitatore di apprendimento o, al più, a erogatore di programmi, l’insegnamento - ci ha ricordato Scola - è un’esperienza inesorabilmente formativa, non è una tecnica, ma un’arte che nasce da tutta l’esperienza di vita del soggetto che insegna: c’è qualcosa in ogni dinamica di insegnamento (in particolare quella giocata in classe) che non può essere affidata esclusivamente alla propria competenza, ma mette in gioco la consistenza più profonda della persona, il suo modo di affrontare la gioia e il dolore, il suo desiderio di essere costruttore operoso nella società. Per semplificare, è come dire che in modo inevitabile il mio essere e la mia esperienza passa attraverso il modo in cui insegno la disciplina e interpella così i miei ragazzi.

Una concezione di questo tipo pone come inevitabile conseguenza la chiara necessità di un lavoro continuo di comprensione circa la consistenza della persona. Entro in classe, spiego letteratura, spiego una regola grammaticale; attraverso ciò comunico la mia persona, e quell’ipotesi di principio sintetico di interpretazione del reale che è per me convincente. Proprio su questo passaggio colgo l’invito più urgente del cardinale. Chi educa e insegna non può mai accantonare il lavoro di riflessione su di sé. Chi sono io? Un soggetto personale e comunitario, un “io in relazione” che in forza di questa consapevolezza può incontrare la libertà di tanti allievi con cui affrontare l’avventura della conoscenza.
E questo “io in relazione” attraverso il dipanarsi degli esempi portati nel corso della serata si è mostrato in tutta la sua concretezza: è il legame che ciascuno coltiva con la Chiesa, fatta di persone vive, così come l’amicizia buona che nella scuola può essere conseguita come virtù civica e costruttiva.

Il tempo corre veloce: un’ora e mezza di spunti su cui sarà bello tornare con calma, proprio con le amiche care e diverse che sono lì con me. Il Cardinale ci saluta, la collega di matematica, seduta vicino a me, mi fa cenno di affrettarci ad uscire. I nostri alunni ci stanno aspettando a teatro per veder insieme La cantatrice calva di Ionesco. Lungo la strada che unisce il duomo al teatro mi dice in modo serio e rigoroso, come suo solito: «Questa sera non mi sembra di aver sentito cose nuove, ma è stato chiarito ciò che mi sembrava di intuire nei momenti più belli nel rapporto con i miei alunni e con mia figlia: crescere i figli, insegnare ai ragazzi prima ancora che un compito è una risorsa, è un vantaggio per me e quando la vivo bene porta cambiamenti nella mia storia personale.Bisogna proprio ritornare su queste cose».

I ragazzi ci vedono arrivare insieme mentre parliamo di scuola. Dopo lo spettacolo scambiamo con loro opinioni sul testo di Ionesco e sulla disumanità prodotta da un’umanità che non riesce più a comunicare. Io e lei lì con loro: mi viene da pensare che anche questo sia l’inizio del manifestarsi di un “io in relazione”.
Daniela Castagnetti -  http://www.tracce.it/

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