giovedì 19 settembre 2013

VITA DI DON GIUSSANI. Incontrarlo, di nuovo


19/09/2013 - Ieri, alla Cattolica di Milano, la prima presentazione pubblica della biografia del fondatore di Cl. Gli interventi di Paolo Mieli, Eugenio Mazzarella e Giorgio Vittadini
Faceva effetto rivedere il suo volto nell’Aula Magna della Cattolica. Un bell’effetto. È qui che don Luigi Giussani ha insegnato per più di vent’anni, incontrando migliaia di giovani per educarli alla fede. Ed è qui che ieri sera si è svolta la presentazione della sua biografia, scritta da Alberto Savorana e approdata in libreria pochi giorni fa. Cinque anni e mezzo di lavoro fitto e denso su una mole di documenti, inediti, testimonianze che mettono i brividi solo a pensarci, distillati in un volume da più di milletrecento pagine (Vita di don Giussani, Rizzoli, 25 euro, 11,99 in ebook) su cui campeggia lo stesso sguardo che avete trovato in copertina nell’ultimo Tracce. 
Uno sguardo che i quasi duemila ospiti di ieri, tra aula principale e sale collegate, hanno rivisto scorrere sullo schermo (dopo l’introduzione di Monica Maggioni, direttore di RaiNews24, che parla di «parole destinate all’oggi e a ciascuno») in un filmato che ha ripercorso per flash alcuni dei momenti più intensi di questa vita: le aule del Berchet, Varigotti, gli incontri con Giovanni Paolo II, il Meeting di Rimini, gli Esercizi spirituali… Sei minuti in tutto, ma abbastanza per far vedere. E per iniziare un percorso avviato dai saluti ufficiali.

Anzitutto, quello di Franco Anelli, rettore della stessa Cattolica, che Giussani non lo ha «mai incontrato di persona» ma ha potuto conoscerlo in gran parte proprio leggendo il libro, «un mosaico frutto di un lavoro paziente e duro», da cui esce netta la parabola della vita di un sacerdote «nato e cresciuto nella Chiesa ambrosiana», diventato maestro per molti anche attraverso queste aule («l’università è stata parte della sua storia, e ci ha lasciato un’eredità che non dimentichiamo»), ma soprattutto di un uomo «condotto dall’attrativa di Cristo, un esempio di abbandono allo stupore della Sua presenza».
Lo stesso filo sottolineato nel saluto del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, letto dal suo vicario, monsignor Luca Bressan, che parla del «caro don Giussani» come di un «educatore e pensatore (...) segnato da Gesù Cristo e per questo fortemente appassionato di tutto l’uomo e di tutti gli uomini». Ripercorrere la vita di Giussani, dice Scola, vuol dire non solo aiutare «la comprensione di un periodo estremamente significativo della recente storia della Chiesa», ma anche sottolineare «la tenace ambrosianità di tutta la sua opera», perché lui «si è sempre sentito figlio della nostra Chiesa». Al saluto del cardinale, Bressan aggiunge qualche osservazione imperniata su quello che è stato «il criterio usato sempre da Giussani» e che in qualche modo è anche un perno di questo libro: è il paolino «vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale».

Poi tocca a Julián Carrón, il successore di Giussani. Parla dell’«egregio lavoro» di Savorana come di un «tentativo ironico, per usare parole care a don Giussani, di far conoscere la sua figura». Ma la mole di documenti e il rigore del metodo mostrano tutta «la serietà di questo tentativo»: chi legge, potrà scoprire che «don Giussani è molto di più di quell’immagine che ciascuno conserva nella propria memoria». Grazie a questo libro potremo vedere «come lui affronta il problema del vivere, che cosa vuol dire per lui credere in Gesù Cristo e che cosa diventa una persona afferrata da Cristo», come il cristianesimo può risvegliare «tutta la ragione, la libertà e l’affezione di un uomo». Ma per imparare, avvisa, non basterà leggere:«Tutta la sua densità sarà a portata di mano soltanto di chi sarà disponibile a fare la sua stessa esperienza umana e di fede».

È il turno dei tre ospiti principali. Paolo Mieli, presidente di Rcs libri ed ex direttore delCorriere della Sera, parla di una «curiosità che si è trasformata in emozione», a leggere il libro: «Pensavo a una resa di omaggio a una persona molto amata, invece è un volume che servirà agli storici». Mieli parla della tenerezza che emerge anche dalle immagini del libro, dal Giussani giovane che incontra i giovani «negli anni del cemento, quelli in cui sono nati rapporti che poi nessuno avrebbe potuto scalfire». Ma avverte: non pensate a «una riproposizone latte e miele», a un Giussani «portato sul palmo di mano e celebrato più o meno da tutti, come accade ora»: Giussani è entrato nella vita pubblica italiana «di schianto, come racconta lui stesso: urto dopo urto. Ha avuto un impatto tutt’altro che morbido. Sapeva che quello che voleva portare con decisione era un messaggio che induceva a una battaglia per il Cristo». Parla degli anni Settanta, delle campagne di stampa contro Cl, delle sedi assaltate. Lo fa da uno che era «dall’altra parte», e che oggi dice «non potrò mai più parlare a nessuno di Cl senza chiedere scusa di quegli anni». Ripercorre il rapporto di Giussani con la Chiesa, con i Papi. E chiude il cerchio leggendo un passo della presentazione all’edizione spagnola del Senso religioso di quindici anni fa, in cui l’autore scrive di trarre ispirazione continua da Giussani: «È firmata da un certo prelato sudamericano... Jorge Mario Bergoglio».

Commovente, per tono e profondità, il secondo intervento: quello di Eugenio Mazzarella, filosofo ed ex deputato del Pd. Racconta di una lettura da cui emerge «un Giussani che esorbita da ogni parte dai cliché», perché mentre leggi «trovi tanto il Giussani che ti aspetti, quanto quello che non ti aspetti»: c’è il «giovane docente» che lascia il seminario per «farsi cappellano degli studenti» e l’avversario del Sessantotto «che poi si rifarà con gli interessi»; il «suscitatore di impegno laicale e vocazioni» e il «delicatissimo amico di tanti»; il Giussani che balza sulla sedia leggendo Pasolini e quello che ricorda a chi parla di impegno sociale che «Cristo viene prima, se no siamo marxisti». Ma è proprio lì che Mazzarella pesca «il filo della biografia che vorrei afferrare», perché «questo è il punto di Giussani, e di tutta questa Vita di don Giussani: Cristo». È lui stesso «a chiudere in questo filo, o in questo punto, la sua vita, a farsi in mezza riga la sua autobiografia: “È la vita della mia vita, Cristo”. E questo è tutto, ma genera tantissimo».
Genera la tenace e continua battaglia condotta per mostrare che «la fede è assolutamente ragionevole. Anzi la cosa più ragionevole. Non sono le ragioni della fede a essere irrazionali, ma è la ragione rattrappita in puro spirito “positivo” illuministico della modernità a essere irrazionale» (punto che non a caso, ricorda Mazzarella, è anche al cuore della recentissima lettera scrita da papa Francesco a Eugenio Scalfari). E genera «il lavoro di pedagogia teologica ed esistenziale di Giussani di tutta una vita» che è «tirar fuori l’umano dall’uomo. “Perché se non sentiamo la domanda, se non sentiamo l’umano nelle sue domande fondamentali, come facciamo a capire la risposta?”». E la risposta, dice Mazzarella, non è «un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo», ma «un incontro, una storia d’amore, un avvenimento; quello che era per lui il cristianesimo, una comunicazione di esistenza». Una «febbre di vita cristiana che certo poteva urtare, e Giussani lo sapeva». Ma che ha spiazzato spesso, e di continuo, anche il movimento, perché «in lui è presentissimo fin dagli inizi il rischio anche nei suoi, nella sua creatura, il movimento, del venir meno di questa capitale riserva critica, che sei prima di Cristo» e colpisce la sua «insofferenza spesso ruvida all’istituzionalizzazione associazionistica, culturale, intellettuale del movimento, e alla tentazione “politica”». Al rischio continuo di una riduzione, insomma.
Lettura acutissima, che colpisce a fondo. Ma colpisce anche la fine dell’intervento, che è una confessione personalissima: «Un gran desiderio, alla chiusura di queste pagine, di essergli simpatico, di riuscirgli simpatico, se avessi potuto incontrarlo. Perché don Gius, come lo chiamavano i suoi, comunica di essere qualcuno che aveva il naso, un gran naso come celiava lui, per la sincerità. E chi di noi, potesse, non vorrebbe essere sincero, smetterla con la fatica così frequente di mentire a se stesso?».

L’ultimo intervento è di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Anche lui passato anni fa da quest'aula, anche lui compagno di una vita di Giussani, ma anche lui attento - come Savorana - a seguire il filo di un percorso che emerge da testi e documenti, e non dai ricordi personali. Lo condensa in poche parole. La prima è «esperienza». Filo conduttore di tutto il metodo di Giussani, perché «è ragionevole chi sottomette la ragione all’esperienza», come disse riprendendo un’espressione del filosofo Jean Guitton. E punto focale già da quando dialogava con il suo vescovo Giovanni Battista Montini, «che dopo le prime titubanze su questo tema, finirà per dargli spazio nella sua prima enciclica, l’Ecclesiam suam». È l’esperienza che permette di riconoscere «la corrispondenza fra la Presenza di Cristo e le esigenze strutturali del cuore», comuni a tutti gli uomini. Ed è questa la pietra di paragone, quello che permette di sperimentare Cristo come «l’unico che risponde al cuore».
Poi, altro filo rosso, l’autorità, «non come limite alla libertà, ma come ciò che permette la libertà. Lo si vede nel rapporto con i Papi». È un «genio cattolico», quello di Giussani, che si rivela in un’apertura totale al mondo «sotto due aspetti»: anzitutto, «il giudizio sulle cose, non reattivo ma sempre originale», che si tratti del Sessantotto, della strage di Nassiriya o dei tanti argomenti su cui è intervenuto spiazzando, sempre. E poi, «la passione per chi sembrava diverso», ché la sua vita è una serie infinita di incontri imprevedibili: Testori e i bonzi buddisti, gli ortodossi e i protestanti... Questa apertura «non è una categoria pastorale, ma un pensiero sorgivo», sottolinea Vittadini: «Un pensiero sorto e cresciuto nell’educazione» e «nell'incontro con persone da cui impara» cercando sempre «un'amicizia con questa gente libera».
Infine, ultimo aspetto che Vittadini richiama a sorpresa, la malattia. «L’uomo si vede nel bisogno». E la sofferenza, sotto vari aspetti, ha costellato molta parte della vita di Giussani. «Ci sarebbe da lamentarsi, o solo da offrire a Dio». Invece, lui va più a fondo: richiama una positività radicale, totale, di ciò che vive. Vittadini cita un passo tratto dalle ultime pagine della biografia: «Anche nella decrepitezza dei miei anni volevo dirvi che la speranza è una - una! -. […] Da un po’ di anni mi sono diventati abituali questi pensieri: spontaneamente uno è come assalito dalla gioia che se anche dura qualche istante, dura qualche istante, ma come emergenza della verità di tutta la vita. […] È evidente che non esiste niente di sicuro al mondo se non in questo». È questa storia «documentata nel libro» che oggi «continua». Come? Nel metodo indicato dallo stesso Giussani. «Seguite Carrón. In questo modo continuiamo a seguire Giussani».

Chiude l’autore, Savorana. Che saluta ospiti e platea con una confessione a cuore aperto:«Stasera, ascoltandovi, sono passato di stupore in stupore. Mi avete aiutato a sorprendere cose della vita di don Giussani che avevo studiato, ma non avevo ancora colto come voi mi avete aiutato a fare. Credo sia il primo esito del lavoro di questi anni: avete cominciato a fare con me, ma soprattutto con Giussani, un pezzo di strada insieme». Poi ringrazia a sua volta Carrón, «che in questi anni non mi ha fatto sentire neanche per un’ora orfano di Giussani e anzi mi ha permesso di riconquistarlo». E chiude con un augurio («che chi legge possa fare la stessa esperienza vissuta da me in questi anni, lasciandosi prendere per mani dalla vita di quest'uomo») e un brano di Giussani del 1992, che dice tutto sull’oggi: «Io posso essere dissolto, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto - se Dio vorrà - delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo, diventano lo strumento (...) la cosa più viva del presente». Viva. Come lui
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di Davide Perillo

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