giovedì 19 settembre 2013

L'uomo moderno alla ricerca della luce di Julián Carrón


8/09/2013 - La lettera di don Julián Carrón, presidente 

della Fraternità di Comunione e Liberazione, al direttore 


de "la Repubblica" (18 settembre 2013)


Caro direttore, con un gesto insolito - una lettera spedita a la 

Repubblica - papa Francesco ha risposto alle domande che 

Eugenio Scalfari aveva sollevato nei mesi scorsi a proposito 

dell’enciclica Lumen fidei. Che cosa ha mosso il Pontefice? Il 

desiderio di «fare un tratto di strada insieme», mostrando con ciò stesso fino a che punto 

intende praticare per primo la «cultura dell’incontro». 

E che cosa gli consente di percorrere un tratto di cammino con chi la pensa diversamente, nel 


caso specifico col fondatore de la Repubblica? Il bisogno che hanno entrambi, in quanto 

persone, di quella luce che permette di vivere il meglio possibile da uomini. «Anch’io vorrei 

che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre», ha risposto Scalfari all’offerta di 

papa Francesco.

È questo desiderio di una luce per non smarrire la strada a costituire il criterio per il dialogo 

tra noi uomini. Ogni esperienza del vivere è alla fin fine giudicata da questa esigenza che ci 

troviamo addosso e che costituisce il fondo più profondo di noi stessi. La lealtà con questo 

desiderio è ciò che stimola gli uomini al vero dialogo, tanto tengono alla propria vita.

L’uomo moderno ha cercato di rispondere a questa esigenza coni “lumi” della razionalità. È 

possibile a un uomo moderno, così fiero della sua autonomia, della sua ragione, e a un 

successore di Pietro mettersi in dialogo leale, non fittizio? Papa Francesco e Eugenio 

Scalfari ce lo hanno dimostrato. Ma ci hanno mostrato anche qual è il terreno di un autentico 

dialogo: non il confronto dialettico, ma l’incontro di due esperienze umane. Il dialogo è 

possibile, ma soltanto se ciascuno è disponibile a mettere in gioco la propria esperienza del 

vivere.

È su questo terreno che papa Francesco ha accettato di giocare la partita, senza mettere in 

campo altra “autorità” che non sia la sua personale esperienza di uomo desideroso della luce: 

«La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio 

cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un 

incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto. Senza la Chiesa - 

mi creda -» confessa a Scalfari «non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza 

che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra 

umanità».

Papa Francesco descrive, Vangelo alla mano, come sia stata possibile, fin dall’inizio del 

cristianesimo, la fede come una adesione ragionevole. Questa adesione poggia tutta sul 

riconoscimento di quella “autorità” di Gesù «che emana da dentro e che si impone da sé», 

che gli era stata data da Dio «perché egli la spenda a favore degli uomini». «L’originalità 

della fede cristiana fa perno sull’incarnazione del Figlio di Dio», che «non è rivelata per 

marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri». Al contrario, continua il 

Papa, «la singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione».

Questo significa che è possibile cogliere la verità della fede - la luce che dissolve le tenebre - 


solo all’interno di una relazione. Come ha osservato acutamente Salvatore Veca, «il Pontefice 

espone un’idea della verità fondata su una relazione. Non è certo una verità mutevole, ma è 

impossibile isolarla, immunizzarla da contatti esterni, scolpirla nella roccia, perché vive solo 

nella relazione ed è quindi per sua natura aperta» (Corriere della Sera, 12 settembre 2013).

Potrà mai interessare la luce della fede a un uomo che non vuole rinunciare a niente della sua 

ragione e della sua libertà? Non la sentirà come una costante mortificazione della propria 

umanità? Per dirla con Dostoevskij, «un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, 

credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?».

Nietzsche accusava la fede cristiana, scrive il Papa nella Lumen fidei, di avere «sminuito la 

portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora 

come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani» (n. 

2). L’enciclica non si sottrae a questa sfida, addirittura la rilancia: «Quando manca la luce, 

tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta 

da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione» (n. 3).


La luce della fede, invece, interesserà solo a chi non riduce la propria umanità e il proprio 


desiderio. In questo senso, è stato per me commovente vedere due persone come Francesco 

e Scalfari confrontarsi da uomini sulla propria strada del vivere. E in questo il valore del 

dialogo instaurato dal Papa, come indicazione alla Chiesa di quale sia la strada da 

percorrere per un vero e autentico confronto. Non è forse questo il compito dei cristiani e della 

Chiesa? Testimoniare che razza di luce introduce la fede nella vita per affrontare le vicende di 

tutti. A coloro che li incontrano spetta verificare se realmente questa luce può essere utile per 

illuminare la loro vita. È il rischio che ha corso Dio diventando uno tra gli uomini.

Il dialogo tra il Pontefice e il giornalista - così fuori dagli schemi soliti eppure così affascinante 

- è un grande aiuto alla strada che dobbiamo percorrere tutti: ciascuno, infatti, deve 

paragonare la propria esperienza del vivere con quel desiderio di luce - di verità, di bellezza, 

di giustizia, di felicità, direbbe don Giussani - che ci costituisce. Possiamo rintracciare nella 

nostra esperienza i segni di una risposta a quel desiderio tanto inestirpabile, che resiste e 

riaffiora anche sotto cumuli di macerie?

Jean Guitton diceva che il termine «ragionevole designa colui che sottomette la propria 

ragione all’esperienza». Con la lettera a la Repubblica il Vescovo di Roma ha offerto a tutti la 

testimonianza di questa sottomissione che fa luce sulle cose. Là dove un’umanità è 

disponibile a fare un tratto di strada insieme, cosa si può desiderare di più che imbattersi in 

compagni di cammino così?

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