- Un momento dell'incontro.
Una serata all'Eliseo sulla biografia di don Giussani. Sul palco, il cardinale Ouellet, Ezio Mauro e Salvatore Abbruzzese. A paragonarsi con una vita in cui tutto è stato conseguenza «del guardare a Gesù»
«Perché l’aspettavano così?». «Perché credo in quello che dico». Il giornalista esita un po’, ma insiste. «Questo e basta?» «Sì». E lo sguardo di don Giussani si allarga in un sorriso. Lo stralcio del video che ha aperto la presentazione del libro Vita di don Giussani, che ha riempito il Teatro Eliseo di Roma, dice del perché anche ieri sera c’era tanta gente che nuovamente lo «aspettava». E realmente si poteva “aspettare qualcuno” perché, come ha ricordato nel suo saluto iniziale il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, il metodo scelto dall’autore di far parlare direttamente il suo protagonista fa sì che chiunque possa «entrare in rapporto diretto con don Giussani».
La presentazione della biografia è stata affidata al cardinale Marc Ouellet, prefetto per la Congregazione per i Vescovi, Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, e Salvatore Abruzzese, professore ordinario di Sociologia all’Università di Trento.
Ouellet è partito da una citazione di San Paolo: «Sia che moriamo sia che viviamo, siamo del Signore». Un modo per focalizzare da subito il punto centrale: il fatto che don Giussani abbia sempre e solo guardato al Verbo incarnato. Tutto il resto fiorito dalla sua vita non è stato che una conseguenza del guardare a Gesù. E questo perché, ha ricordato il Cardinale citando lo stesso Giussani, «al di fuori dell’avvenimento cristiano non si capisce cos’è l’io». La connessione stretta tra il fatto di Cristo e il senso più profondo dell’uomo ha portato il fondatore di Cl a combattere contro il divario tra fede intesa come mera pratica esteriore e vita vissuta, creando così «un metodo originale e provocatorio che costringeva i giovani a prendere posizione» e consentiva di vedere la verità della fede a partire da ciò che si viveva. Ma, nota ancora Ouellet, più Giussani meditava e faceva scoprire il mistero di Cristo, più sottolineava l’importanza della Chiesa. Per questo accoglierà il nome di Comunione e Liberazione, che verrà fuori da alcuni di quelli che lo seguivano, perché «ben traduce l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa». E perché, come dirà di questo stesso nome l’allora cardinale Joseph Ratzinger, la libertà, per essere vera, ha bisogno della comunione con la verità stessa, con l’amore stesso, con Cristo. Ouellet ha voluto sottolineare come occorra leggere l’intera biografia per vedere tutti gli sviluppi che ogni singolo episodio della vita di Giussani ha portato: dalle lezioni alle lettere, dalle malattie ai lutti, fino agli incontri occasionali. «È ancora lui che ci raggiunge all’interno e oltre questa biografia, per dirci l’unica cosa che per lui contava: l’unione con Cristo».
Di questo «cristocentrismo» di don Giussani ha parlato anche Mauro, ponendo subito in luce, però, come l’avvenimento di Gesù divenuto carne abbia bisogno dell’uomo e del suo «sì» di fronte a questo fatto, chiamando in causa la sua libertà. In tutto il libro, ha sottolineato il direttore di Repubblica, è presente questo Dio-persona che si può incontrare e che ti cambia radicalmente la vita. Don Giussani affermava che «noi siamo stati creati per dire che è venuto Cristo. Se ci si dimentica di Cristo, il cristianesimo è ridotto a zero». Mauro, ricordando il proprio punto di vista come laico, ha voluto evidenziare gli elementi di distanza e quelli di comunanza con quanto affermato dal fondatore di Comunione e Liberazione. Se da una parte nega l’esistenza di verità assolute, in quanto tutte le verità sono relative, e il fatto che si possa dare significato alla vita dell’uomo solo con qualcosa di trascendentale, dall’altra condivide la costante tensione di Giussani a «vivere intensamente il reale» e la coscienza che «se vogliamo che cambi il mondo, qualcosa deve cambiare in noi». Da ultimo sottolinea i punti in cui il sacerdote mette in evidenza la misericordia di Dio, a discapito della condanna, perché «la più grande mancanza è non sentire l’uomo».
Salvatore Abbruzzese ha notato come in questo libro i fatti non vengano solo raccolti, ma anche interpretati. E questo proprio perché don Giussani era il primo che «leggeva sempre quello cha accadeva», in un nesso costante tra pensiero teorico e l’esperienza personale. Quest’attenzione al quotidiano non poteva che sfociare nell’attenzione all’altro, a qualunque altro, e a guardare qualsiasi situazione come un’occasione per rispondere a Cristo. «Ognuno di noi, compiendo quello che ha da compiere, fa una cosa molto più perfetta di un’opera d’arte». L’intento di don Giussani non era recuperare un’egemonia ecclesiale, dal momento che nel tempo in cui aveva cominciato la sua opera le chiese non erano di certo vuote, ma desiderava un’esperienza autentica che prendesse sul serio i bisogni dell’uomo. L’ambiente circostante poteva essere cambiato solo attraverso una nuova coscienza dell’uomo e delle sue necessità più vere e profonde. Quindi il punto non era cambiare il mondo - questo sarebbe arrivato solo come «prodotto secondario» -, ma «fare la Chiesa», richiamando l’esperienza degli apostoli e il cristianesimo primitivo. Non c’era in ballo un progetto, ma un cammino educativo che partiva da un interesse per l’altro.
La conclusione è toccata all’autore della biografia, Alberto Savorana, che ha ringraziato per gli interventi fatti «perché mi rendo conto che questo libro è troppo poco rispetto a tutta la vita che questa vita ha generato». Da ultimo, ha augurato ai presenti di fare la «stessa esperienza entusiasmante che ho fatto io». Con un’unica avvertenza: non basta leggere, bisogna esserci ed essere disponibili a «ripercorrere la stessa esperienza umana, di ragione e di fede» che don Giussani ha fatto.di Anna Minghetti
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