lunedì 9 settembre 2013

“Il campo è il mondo”. La lettera pastorale di Scola è un manifesto civile per il cristiano

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l’Arcivescovo di Milano si rivolge «a tutti» e invita a testimoniare lo «sguardo nuovo» di Cristo in ogni

 ambito della vita


Un invito a «una lettura attenta attraversata da autentica simpatia», un invito al confronto, ma

 anche alla critica, rivolto a tutte le persone della diocesi di Milano, non solo ai cattolici: la 

lettera pastorale Il campo è il mondo (da oggin libreria), scrive il cardinale arcivescovo di

 Milano, Angelo Scola, «vuol essere un’offerta di dialogo tra il Vescovo e tutti gli abitanti della

 metropoli ambrosiana che lo desiderino».

L’ATEISMO ANONIMO. Il cattolicesimo popolare ambrosiano, spiega Scola nella lettera 

pastorale, è chiamato oggi a radicarsi «nella vita degli uomini attraverso l’annuncio esplicito 

della bellezza, della bontà e della verità di Gesù Cristo all’opera nel mondo». Questo è vero 

«anche all’inizio di questo terzo millennio». Anche oggi, «Cristo è feconda radice di un nuovo 

umanesimo», ricorda l’Arcivescovo. Alla luce di questo, i cristiani non devono cercare la 

vittoria, bensì «ciò che Dio concede». Devono essere presenti nel mondo, ma non 

conformarsi alle convenzioni del mondo. Possono essere, prosegue Scola, «maggioranza 

costruttiva o minoranza perseguitata, ma ciò cui sono chiamati è solo l’essere presi a servizio

del disegno buono con cui Dio accompagna la libertà degli uomini». Nonostante eventi che 

sono segno dell’azione dello Spirito Santo nella storia, come l’elezione di Papa Francesco e 

l’umile e potente gesto di rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, avverte il Vescovo di 

Milano, «tra i cristiani ambrosiani esiste il rischio di una sorta di “ateismo anonimo”, cioè di 

vivere di fatto come se Dio non ci fosse». «Il cattolicesimo di popolo, ancora vitale sul nostro 

territorio è chiamato a rinnovarsi, a compiere tutto il tragitto che porta dalla convenzione alla 

convinzione, curando soprattutto la trasmissione del vitale patrimonio cristiano alle nuove 

generazioni».
scola 
VANGELO E VITA. 

Vangelo e vita, scrive Scola, non sono «due realtà disgiunte e da mettere artificiosamente 

insieme» e i cristiani devono continuare domandarsi se «la nostra vita personale e 

comunitaria trova in Cristo il suo compimento». Anche di fronte alla separazione della fede 

dalla vita presente in molti battezzati, «lo Spirito del Risorto non cessa di sorprenderci, 

facendo vibrare al cuore delle domande su di noi e sul nostro futuro la risposta del Vangelo, 

una proposta di vita buona per ogni persona». La vicenda umana ha «quest’origine buona che 

ci precede aprendoci la strada. Ad essa occorre riferirsi senza stancarsi. Il mondo è il

 “campo di Dio”, il luogo in cui Dio si manifesta gratuitamente agli uomini». Gesù, prosegue il 

Vescovo, «ama la nostra libertà e la pro-voca chiamandola a decidersi per Lui». È «la 

risposta personale della libertà che permette al buon seme di diventare grano maturo ha 

bisogno di tempo». Perciò, avverte Scola, «non tocca a noi giudicare in modo definitivo, 

condannare senza appello, perché il cammino della vita si compie solo alla fine e la libertà 

può sempre ravvedersi. La misericordia di Dio non smette mai di sollecitare». Serve invece, 

esorta il Cardinale, quello «sguardo nuovo sul mondo» che dona Gesù per essere capace di 

non inoltrarsi «sui sentieri della condanna, del lamento e del risentimento». Gesù, afferma 

Scola, mentre prende il male su di sé, lo circonda da ogni parte con il suo amore infinito, così 

che ognuno «possa scoprire e domandare la dolcezza del Suo perdono», correggendo 

«amorevolmente i suoi, segnati dalla impazienza e dallo scoraggiamento di fronte alla 

confusione talora regnante».


L’INCONTRO CON LUI. «Nel campo che è il mondo», spiega il Cardinale, «il Figlio 

dell’uomo semina il seme buono». «Questo significa che tutto dell’uomo e tutti gli uomini sono 

interlocutori di Gesù», deduce. «Gesù Cristo vivente si offre alla nostra libertà nella forma 

familiare di un incontro umano: la fede è riconoscerLo». prosegue Scola. «Noi non siamo 

uomini e donne isolati gli uni dagli altri, ma viviamo, fin dall’istante del nostro concepimento, in 

relazione. Ebbene, Dio ha voluto entrare nella storia come uno di noi e cambiare la vita degli 

uomini attraverso una trama di relazioni nata dall’incontro con Lui». Il Vescovo di Milano 

ricorda che Dio è «venuto nella carne povera degli uomini» e che ora la «avvolge di una luce 

nuova, capace di dare senso ad ogni aspetto della vita quotidiana». «Quando la proposta 

cristiana ritrova questa semplicità radicale si documenta veramente come l’Evangelo (la 

buona notizia) dell’umano».


IL CAMPO. Per il Cardinale, «il mondo che Gesù chiama “il campo” chiede di essere pensato 

come il luogo in cui ogni uomo e ogni donna possono rispondere al loro desiderio di felicità». 

«Il buon seme è chiamato a diventare grano» nel mondo e in tutti gli ambiti dell’esistenza 

quotidiana, scrive Scola: «Famiglie, quartieri, scuole, università, lavoro in tutte le sue forme, 

modalità di riposo e di festa, luoghi di sofferenza, di fragilità, di emarginazione, luoghi di 

condivisione, ambiti di edificazione culturale, economica e politica».


NULLA CI È ESTRANEO. I cristiani non devono chiudersi, ma aprirsi nell’incontro con gli 

altri: «Non c’è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo», 

ricorda il Vescovo. «Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo inviati. E questo 

perché ciascuno di noi, in quanto segnato dalle situazioni della vita comune, è nel mondo». 

«Non dobbiamo pertanto costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani», precisa Scola, 

perché «è Cristo stesso a porre la sua Chiesa ed i figli del Regno nel campo reale delle 

circostanze comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne». Proprio perché il mondo è il campo 

dell’incontro con Gesù, «l’attenzione non va posta sul nostro “fare”, ma sul seme buono che il 

seminatore, Gesù, vi ha gettato».


ESPORRE SE STESSI. «La persona di Gesù Cristo», prosegue il Cardinale, «e la sua 

vicenda umana documentano come Dio, entrando nella storia, voglia fecondare con la sua 

presenza rinnovatrice tutta la realtà». «La consapevolezza di questa novità di vita conduce tutti 

i fedeli, che l’hanno incontrata nelle diverse forme di realizzazione della Chiesa, a proporre il 

rapporto con Gesù, verità vivente e personale, come risorsa decisiva per il presente e per il 

futuro», scrive Scola. Il Vescovo si augura che ogni fedele ed ogni realtà ecclesiale della 

Diocesi rileggano «il senso della esistenza cristiana alla luce di questa urgenza ad uscire da 

se stessi per entrare in campo aperto». Come riuscire a farlo? «Rischiando la propria libertà, 

esponendo se stessi», risponde il Vescovo, cioè diventando testimoni. Infatti, il «buon 

esempio non basta per renderci testimoni autentici», perché «il testimone rinvia a Cristo, 

sommamente amato, non a sé».

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