lunedì 6 gennaio 2014

LONTANO DALLA MISCHIA, NON DALLA FEDE

 Roberto Vecchioni
Roberto Vecchioni -

Il cantautore svela la sua spiritualità: tiepida negli anni giovanili, ma riscoperta nella maturità. «A un certo punto ti dici: io da solo non basto». Il Vangelo? «Bisognerebbe leggerlo di più»

È un Roberto Vecchioni inedito quello con cui parliamo, che ci sorprende già a partire dall’ultimo album, Io non appartengo più (Universal Music): una svolta o, forse, il traguardo di un percorso già sottinteso, di colloqui con Dio, riflessioni sull’amore, sulla malattia, il tempo e la morte. Lui che, gentilissimo, ci racconta di paradiso, emozioni e parabole evangeliche.
«C’è chi ha la fortuna, o anche la sventura, di credere, perché la fede non è sempre una fortuna, ma certo è una consolazione. Chi non ce l’ha questa fortuna o sventura, non per questo, nella sua miscredenza, nel suo modo di essere indifferente di fronte all’eterno, ha meno debiti rispetto alla vita: ne ha altrettanti, anzi, forse ne ha ancora di più. D’altra parte, se io sono un credente, non per questo devo considerare di meno quelli che non lo sono e, anzi, vivono magari una vita da perfetti gentiluomini. E Dio questo lo sa».
La copertina del cd lo ritrae su un ring deserto, seduto su una poltrona, gli occhi verso il cielo, attorniato dai libri: come se la mischia fosse fuori, oltre le corde del ring. «Sì, in questo momento la mischia è fuori. Non mi sembra che ci siano cose molto chiare per cui combattere oggi. La democrazia dovrebbe essere un continuo dibattito su idee e non – come accade, purtroppo – su bugie o interessi personali. Questo modo di concepire l’Italia e il mondo in questi ultimi anni mi ha deluso notevolmente».
Continua: «I miei genitori volevano fortemente che ricevessi un’educazione cattolica. Ho frequentato l’Università Cattolica, ma sono stato anche un pasionario in università, ho fatto il ’68 combattendo dalla parte degli studenti, con gli insegnanti per gli studenti. Non ero un gran credente. La fede è venuta col tempo e con la vita, rimuginando e pensando, soprattutto davanti alle difficoltà dell’esistenza. I dolori sono stati tanti, tantissimi: mi hanno fatto nascere l’idea che ci dovesse essere una ragione per la sofferenza, non potevano essere casuali. Erano qualcosa di simile a una prova. In questo sono un po’ manzoniano (ride). Pensare di essere indipendenti per trenta, quarant’anni della propria vita e accorgersi poi che basta un niente per portarti alla fine, e allora dire: “No, no, no. Allora io da solo non basto”. Sì, io a Dio ci credo».
Vecchioni si racconta sereno, con un ottimismo che nasce da una riflessione personale, dall’incontro con Dio: «Tutte le ultime canzoni sono ottimiste e molto aperte. Alcune, come Così si va e Il miracolo segreto, sono veri e propri dialoghi con Dio, un Dio che non aspetta altro che di venire da noi». Un autore sempre «innamorato del mondo e della vita», che già nel 1993, nella canzone Blumùn, parlava con Dio e cantava: «Quando ci vedremo (spero tardi e non m’importa come), mettimi in un posto con la donna e con gli amici miei; lasciami un buco per guardare in fondo, vorrei vedere qualche volta il mondo, il mio mondo...».
Come si immagina il paradiso Roberto Vecchioni? «Non pieno di angeli e serafini. Devo disilludere anche in questo caso molte persone che ci credono, ma non penso proprio che sarà così. Nel paradiso sentiremo le emozioni come prima cosa. Invece di doverle ragionare e pensare, sentiremo la presenza e la parvenza delle persone che amiamo come emozioni vive, pure. Si vivrà di quello. E sto pensando a mia madre, a mio padre… Sto pensando agli amici che non ci sono più… Ma anche ad altre persone. Sentiremo la loro presenza in bellezza, trasformata finalmente dall’umano al divino, e il loro dialogo e colloquio sarà un dialogo e un colloquio di forte sentimento. Che ci arriverà subito. Mangeremo sentimento».
E la nostra individualità? La troveremo anche là? «Questa è la cosa più difficile. Non lo so. Ho una grande paura di mischiarmi troppo (ride). Un puntino di luce… Non mi attira quella cosa… Mi piacerebbe ricordare chi sono io. Speriamo che Dio ce lo conceda».
«Mi sono sempre sentito toccato dal racconto del buon ladrone, quando Cristo, nell’immagine del peccatore pentito, perdona l’umanità, quando dice “oggi sarai con me nel paradiso”. Per me questa è l’immagine che riassume perfettamente tutto quello che c’è nel Vangelo. Che non è folclore e miracoli. Bellissima è anche la parabola dei talenti. Non a tutti è chiesto lo stesso rimborso, dipende da cosa ti ha dato il cielo. Quindi non è vero, a volte, che la legge è uguale per tutti, perché chi ha sofferto di più o chi ha più ragioni o più scuse per poter dare di meno è perdonato. Bisognerebbe leggerlo il Vangelo, però, un po’ di più».
Quando gli chiediamo di papa Francesco, il professore si infervora: «È meraviglioso. È così grande perché è così umile. Un uomo che dice quelle cose… È una bella prova dell’esistenza di Dio papa Francesco».
Testo di Donatella Ferrario

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