martedì 7 gennaio 2014

LA PAROLA E LO SGUARDO . La predicazione di Papa Francesco


La parola trasforma l’uomo in tanti modi. La parola di Papa Francesco sta percorrendo le strade del mondo e suscita stupore, ammirazione, riflessione e anche critiche. È stato così per tanti altri pontefici, e certamente il cristianesimo ha potenziato la parola, ponendo domande nuove e cruciali alla coscienza dell’uomo, ha alimentato filosofie e letterature facendo parlare di Dio a chi crede, non crede, a chi vuole discutere con Dio.
  Nel magistero di Francesco c’è spazio per rapide citazioni che ci riportano a tutto questo, ma soprattutto c’è un’altra costante che cresce ogni giorno di più, l’invito a volgere lo sguardo alla realtà che ci circonda per scorgervi le tracce dell’opera divina, a non accontentarsi dell’apparenza. Il Papa invita i giovani a guardare avanti, ricchi del proprio entusiasmo, impegnarsi per qualcosa di grande, perché la vita è un dono che chiede di essere realizzato pienamente, non accantonato o declassato.
  Invita a dialogare per testimoniare la propria fede, soprattutto chiede ai cristiani di preoccuparsi degli ultimi della terra perché in essi è riflesso il volto di Dio, e ci sarà chiesto conto di ciò che abbiamo fatto a favore dei diseredati. Lo sguardo del Papa per gli ultimi compie il miracolo e rovescia l’ottica umana: ciò che per le correnti del pensiero negativo è freno e ostacolo alla fede, il male, il dolore, l’ingiustizia, per Francesco sono formidabili ragioni per credere, perché Gesù li ha assunti su di sé, li ha sconfitti, ne ha annunciato la fine, invitando l’uomo a cooperare. Ogni volta che ideologie e dottrine superbe hanno voluto cancellare Dio hanno anche distolto lo sguardo dagli uomini, hanno umiliato e ferito l’umanità con l’egoismo e la volontà di potenza, e l’Occidente conosce bene l’inferno dei totalitarismi che ci ha fatto precipitare nell’abisso.
  Oggi l’egoismo può assumere ancora forme gravi se si distoglie lo sguardo dagli ultimi. Questi sono i bambini e gli anziani, soli o abbandonati da una società disattenta, i martiri cristiani e di ogni fede, le vittime di tutte le guerre, gli immigrati ai quali si dà poco o niente, e con essi l’immenso mondo dei poveri della terra, dimenticati da chi povero non è più, insomma una moltitudine di persone in cui Gesù è presente perché la sua sofferenza si riflette nella ferite dei poveri, dei perseguitati, dei malati. È la grande lezione della fede e della carità unite insieme, enunciata dal Vangelo e fatta regola di vita da San Paolo, che il Papa ripropone alla cristianità, a chiunque cerchi un po’ di luce.
  Le parole della fede e lo sguardo sugli ultimi sono un tutt’uno per i cristiani, e ciò può non piacere, ad esempio a chi, per criticismo compulsivo, rimprovera da qualche tempo al Papa di svolgere un magistero debole, inedito, addirittura eterodosso. Per questo tipo di critica non c’è nulla da fare, è così pregiudiziale che se anche avessimo un giorno un Papa poeta (in senso tecnico, perché in alcuni papi c’è stata poesia) si troverebbe chi grida allo scandalo, magari dicendo che il Vangelo è scritto in prosa.
  Ma il punto non è certo questo, il punto è la forza con la quale Francesco parla agli uomini del nostro tempo della fede e della sua capacità di vincere il male: con la sua parola ricorda che la fede è impegnativa, è entusiasmante ma chiede dedizione e coraggio, dà forza ma toglie la tranquillità opaca che s’unisce all’ignavia. Nel periodo in cui il Natale stende il manto fino all’Epifania (e anche oltre), Francesco ci dice che la fiducia in Dio per essere vera non distoglie lo sguardo dalle sofferenze del mondo.  Carlo Cardia

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