Commovente incontro oggi in Vaticano, nella Sala del Concistoro, tra Papa Francesco e una trentina di bambini polacchi malati di tumori e leucemia, giunti da Breslavia.
E' stato un incontro semplice e toccante. L’organizzatore di questa bella iniziativa, l’avvocato polacco Krzysztov Bramorski, ha presentato i bambini al Papa:
“Portiamo a lei, Santità, oggi, soprattutto le preghiere di questi bambini malati. Preghiere che recitano ogni sabato, durante la Santa Messa nella clinica, con un pensiero per il Santo Padre. A questa udienza partecipano bambini malati delle più gravi forme di tumore e di leucemia. Per questo, portiamo anche il loro dolore, la loro paura, la loro speranza di riguadagnare salute e potere avere una vita lunga e piena di gioia”.
Papa Francesco ha salutato commosso i bambini giunti da Breslavia, che da settimane si stava preparando per questo evento:
“Vi do il mio cordiale benvenuto, vi saluto. E grazie per questa visita. Grazie per questa visita e grazie per le preghiera che voi fate per la Chiesa. Voi fate tanto bene alla Chiesa con le vostre sofferenze, sofferenze inspiegabili. Ma Dio conosce le cose e anche le vostre preghiere. Grazie tante. E sarà per me un piacere salutare ognuno di voi“.
Il Papa ha quindi abbracciato uno per uno i bambini, che gli hanno regalato un quadro raffigurante San Francesco d'Assisi, composto con la tecnica del collage. L'incontro si è concluso con la benedizione del Papa. E' già la quarta volta che viene promossa questa iniziativa. I bambini di Breslavia hanno potuto incontrare già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una dottoressa, che negli scorsi anni ha accompagnato i piccoli malati, ci ha detto che questa esperienza del pellegrinaggio a Roma dal Santo Padre fa bene e che i bambini tornano in Polonia corroborati e in qualche modo "più sani".
Sergio Centofanti
http://it.radiovaticana.va
sabato 30 novembre 2013
Il Papa agli universitari: "Non siate spettatori, ma protagonisti delle sfide contemporanee!"
“Non siate spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei, non lasciatevi rubare l’entusiasmo”. Così questo pomeriggio il Papa agli universitari degli atenei romani durante i primi vespri della prima domenica di Avvento. Dal Pontefice l’esortazione a non lasciarsi condizionare dall’opinione dominante e ad andare controcorrente rimanendo fedeli ai principi etici e religiosi cristiani. Paolo Ondarza:
Un forte appello a “non guardare la vita dal balcone”, ma a “stare lì dove ci sono le sfide del mondo contemporaneo perché “non vive chi non risponde alle sfide” inerenti i temi della vita, dello sviluppo, della lotta per la dignità delle persone, contro la povertà e a favore dei valori cristiani. Il Papa lo rivolge ai giovani universitari chiedendo loro di andare controcorrente, oltre l’ordinario, non rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, coltivare progetti di ampio respiro, non lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme.
Un forte appello a “non guardare la vita dal balcone”, ma a “stare lì dove ci sono le sfide del mondo contemporaneo perché “non vive chi non risponde alle sfide” inerenti i temi della vita, dello sviluppo, della lotta per la dignità delle persone, contro la povertà e a favore dei valori cristiani. Il Papa lo rivolge ai giovani universitari chiedendo loro di andare controcorrente, oltre l’ordinario, non rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, coltivare progetti di ampio respiro, non lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme.
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Messaggio del Papa a Bartolomeo I: cristiani d'Oriente e Occidente uniti per promuovere pace e libertà
Un appello per la pace in Medio Oriente e per la tutela della libertà religiosa nel mondo: è questo il cuore del messaggio che Papa Francesco ha inviato al Patriarca ecumenico Bartolomeo I, in occasione della festa di Sant’Andrea. Il messaggio è stato letto dal card. Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani e capo di una delegazione della Santa Sede recatasi ad Istanbul, in Turchia. Per l’occasione, è stata celebrata una Divina Liturgia nella Chiesa patriarcale del Fanar. Stamattina, intanto, durante la Messa a Santa Marta, il Papa ha pregato secondo le intenzioni di Bartolomeo I.
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Aforisma del sabato
"Le donne mi hanno sempre sorpresa: sono forti, hanno la speranza nel cuore e nell'avvenire."
Monica Vitti
Aforisma del venerdì
“La fede, l'amore e la speranza camminano nella notte: esse credono l'incredibile, amano ciò che si sottrae e li abbandona, sperano contro ogni speranza.”
Hans Urs Von Balthasar
Omelia di don Carlo Venturin 3^ di Avvento – 1/12/2013:
Isaia 35, 1-10 visione di futuro, perché tutto si ravviva,
il nuovo è alle porte, fiorisce il deserto
Salmo 85 “Mostraci, Signore, la tua misericordia e
dona la tua salvezza”
Rm 11, 25-36 nessuno verrà abbandonato a se stesso, anche
Israele sperimenterà il nuovo
Mt 11, 2-15 i dubbi di Giovanni derivanti dal carcere e le risposte chiarificatrici
Perché
da soli se si può condividere
( La
Domenica del “CHI SEI TU” )
❶ La
terza tappa di avvicinamento al Natale di Gesù si incentra sulla figura di Giovanni Battista, con i suoi dubbi, le sue paure, le sue
domande, la sua identità descritta da Gesù. Al centro ci sono le risposte con i
fatti.
Al Battista, rattristato e confuso, non paiono vere le
profezie di Isaia; le sue mani “sono fiacche”, le “sue ginocchia vacillanti”,
il suo “cuore smarrito”, la “vendetta” non giunge, il Messia presentato come “l’Agnello
di Dio” è mansueto, non brucia gli eretici, non condanna, ma usa misericordia.
Eppure conosceva le profezie di Isaia, il quale scorge un mondo nuovo; sta sorgendo una realtà
meravigliosa e inattesa: fiorisce il deserto, la pianura è fertile, gli alberi
sono frondosi, sembra una perenne primavera; da tutto ciò la gioia,
l’esultanza, le grida di giubilo. Il profeta unito a Dio guarda oltre la realtà
dolorosa e assurda, incoraggia a non rassegnarsi di fronte all’apparente
trionfo del male. Dio opera la trasformazione delle quattro infermità: ciechi,
sordi, muti, zoppi. Chi vede solo la realtà, non ha visioni oltre il proprio
naso, solo la cronaca è al centro. Gli orecchi sono tesi solo alle chiacchiere
insensate, giudizi dissennati, non aperti alla Parola di Dio; la paralisi
blocca ogni movimento, impedisce di camminare verso la terra promessa; il
mutismo rende impossibile l’annuncio delle gesta di Dio. Il profeta indirizza
il nuovo pellegrinaggio, il nuovo esodo; la via santa è percorribile, al bando
la tristezza e il pianto. La meditazione del Salmo è sulla stessa lunghezza d’onda: misericordia, salvezza,
pace, amore, verità, giustizia. Paolo
rammenta anche che lo stesso popolo di Israele si incamminerà nel nuovo esodo
annunciato da Gesù: “essi sono amati a causa dei Padri”, “da lui, per mezzo di
lui e per lui” tutto si avvererà.
❷ Il
Battista era consapevole di tutto il messaggio profetico. Fin
che tutto “filava liscio”, non aveva dubbi di sorta. Ora si trova in carcere,
anche se ha una certa possibilità di comunicare con l’esterno: “per mezzo dei suoi
discepoli mandò a dirgli”. Oltre a ciò era temuto da Erode, perché il popolo lo
teneva in forte considerazione, ma anche perché non si stancava di
rimproverargli le sue malefatte.
Nonostante questo, il Battista ha dei dubbi che
indeboliscono la sua fiducia. Il Messia da lui annunciato non trovava riscontro
in Gesù: troppo mite, stava con i peccatori, non minacciava vendetta, era amico
degli ultimi. Agli inviati Gesù si presenta come Messia, l’Atteso, invita il
Battista a prendere atto di nuove realtà: le quattro di Isaia più “i morti
risuscitano, i lebbrosi sono mondati, ai poveri è annunciata la buona notizia”,
non vi è alcun cenno di condanna: i sordi ascoltano la Parola di Dio, gli
storpi seguono la via maestra, la lebbra, che significa isolamento, ora è risanata
(peccato perdonato), i vivi, che erano “zombi ambulanti”, esistenze fallite,
ora sono pieni di vitalità, infine i poveri, che non contano nulla nella
società, sono al centro dell’attenzione e della premura di Dio, contano più di
tutti gli altri, fu anche l’annuncio a Betlemme per i pastori, i reietti della
nazione.
❸ Si
potrebbe affermare con una immagine ardita che Gesù-Messia ricrea in
sei giorni l’umanità. Il Battista è richiamato a contemplare il nuovo, Gesù
conclude la sua risposta in modo sferzante: “beato chi non si scandalizza di
me”; egli è aggrappato alle proprie convinzioni religiose, ormai sedimentate,
abitudinarie, tradizionali. Così si potrebbe parafrasare: “beato chi accoglie
il Messia così com’è, non come si vorrebbe che fosse”. Non degrada Giovanni,
anzi ne tesse l’elogio.
Non è un opportunista (“una canna palustre”); è un uomo
dalla vita austera, è il più grande di tutti i profeti, è un Angelo, che
prepara la via, è il messaggero del nuovo che avanza, Gesù. Egli ha svolto bene
la sua missione, indica a tutti il “che cosa fare” (domenica scorsa). E’ la
figura che segna il crinale fra due epoche storiche. Il Battista ha condiviso
con le folle il messaggio divino, non è rimasto da solo e inoperoso. Gesù non è
rimasto appartato, si è coinvolto, “abitò in mezzo all’umanità sfiduciata,
acciaccata, inerte”. Le sei categorie riferite a Giovanni, indicano il “che
fare” dei credenti.
❹ Il “CHI
SEI TU”
deve essere l’interrogativo pressante nell’oggi, dentro le realtà in cui si è
chiamati a vivere; oltre all’interrogativo ci vuole la risposta personale e
comunitaria: vivere e infondere speranza, compiere gesti che Gesù ha presentato
come veri, concreti, senza paure e rassegnazioni.
❺ La
conclusione:
annunciare
la bella notizia del Dio con noi
insegnare
i comportamenti coerenti con la fede
esortare
a seguire la strada intrapresa, essere pazienti, nonostante le oscurità
accogliere
il Dio che sorprende, perché non obbedisce alle nostre logiche
essere
messaggeri della misericordia che Cristo ha richiamato nelle sei categorie
E’ LA NUOVA CREAZIONE
Don
Carlo
venerdì 29 novembre 2013
17ª Giornata Nazionale della Colletta Alimentare - Condividere i bisogni per condividere il senso della vita
Amici di Paderno vi aspetto numerosi domani c/o il supermecato Unes di Via C. Battisti.
Auguro a tutti gli amici volontari Buona colletta!!!!
La tua spesa di domani può aiutare anche loro.
Partecipa alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare!
Ecco dove puoi fare la spesa:http://www.bancoalimentare.it/colletta-alimentare-2013/puntivendita
#colletta13 #collettaalimentare
Ai margini di una perfezione da cartolina, a venti passi da un mondo santificato dall'armonia, i poveri si annidano al confine del buio. Lungo via della Conciliazione, cui la piazza più famosa del mondo fa da fondale, dove si allineano con maestosità mussoliniana le case editrici dello spirito e i bar benedetti ogni giorno dal flusso dei pellegrini, quando scende la notte e calano le saracinesche su vespri e novene, ogni gradino diventa casa di uomini e donne diseredati, rifugiati, ammalati, vecchi dimenticati che assediano in silenzio la dimora del Papa diseredati, rifugiati, ammalati, vecchi dimenticati che assediano in silenzio la dimora de
Auguro a tutti gli amici volontari Buona colletta!!!!
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Ai margini di una perfezione da cartolina, a venti passi da un mondo santificato dall'armonia, i poveri si annidano al confine del buio. Lungo via della Conciliazione, cui la piazza più famosa del mondo fa da fondale, dove si allineano con maestosità mussoliniana le case editrici dello spirito e i bar benedetti ogni giorno dal flusso dei pellegrini, quando scende la notte e calano le saracinesche su vespri e novene, ogni gradino diventa casa di uomini e donne diseredati, rifugiati, ammalati, vecchi dimenticati che assediano in silenzio la dimora del Papa diseredati, rifugiati, ammalati, vecchi dimenticati che assediano in silenzio la dimora de
giovedì 28 novembre 2013
Un Festival per dire che «la vita non è sola»
Nel week-end a Bologna la prima edizione dell’happening voluto dalla associazione nazionale e progettato dal poeta e scrittore Davide Rondoni Che spiega la nuova avventura ispirata alla «cultura del dialogo»
«La vita non è sola» è il titolo del primo Festival di Scienza & Vita che ho 'inventato' e proposto agli amici che con me fan parte del direttivo dell’Associazione presieduta da Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, I consiglieri hanno aderito e collaborato all’idea consapevoli che su certe delicate questioni, sul senso di certe parole fondamentali dell’esistenza (nascere, figli, salute, morire, dignità) è in corso uno scontro e una confusione che riguarda tutti. Si tratta di questioni troppe volte salite dalla vita reale e concreta della gente fino alla ribalta delle polemiche mediatiche e politiche. E quindi spesso caricate di altra confusione. Insomma, si tratta di questioni che vanno direttamente a toccare il cuore, la passione, la fatica e la gioia di tante persone e che nella nostra epoca sono oggetto di riflessione ma troppo spesso occasione di scontro e di divisione.
Mentre la passione che mi muove, come poeta e come uomo di cultura, è che intorno alle parole fondamentali del vivere ci si ritrovi, ognuno con storie e percorsi differenti, ma disposti a trovarne un senso sempre maggiore e più ricco e vero.
Di qui l’idea di un festival che facesse incontrare scienziati, artisti, politici, filosofi intorno a tali questioni. Ma un festival, non un convegno, ovvero una occasione di condivisione di cultura, di incontro e di scoperta. Com’è noto, da tempo i festival sono – in ogni campo, dalla letteratura alla scienza – uno degli strumenti di condivisione culturale che cerca di rispondere a una domanda di senso e di orientamento che le istituzioni tradizionali (dalla scuola ai musei) faticano ad affrontare per motivi che qui sarebbe lungo esaminare, che vanno dalla struttura Stato-centrica di tali istituzioni a un deficit metodologico. Anche nel 'mondo cattolico' c’è una difficoltà ad affrontare temi e cose che stanno a cuore (dal racconto del Vangelo all’approfondimento di questioni che riguardano l’aspetto antropologico) in modi che non siano accademici o retorici. Ci sono segnali diversi e belli, dal grande Meeting di Rimini ai festival sul teatro o sulla Bibbia, fino al piccolo ma significativo «Festival dell’essenziale» nato lo scorso ottobre a Roma.
Del resto, i festival di cui sopra e altri, così come il nuovo Festival di Scienza & Vita, si propongono di essere non l’espressione di un 'mondo' che ha certe idee e visioni ma un momento per mettere a fuoco insieme questioni importanti per tutti. Di qui l’apertura culturale, la voglia di incontrare persone e idee diverse che anche a Bologna – non a caso scelta in quanto sede della più antica università del mondo, che dà il patrocinio all’iniziativa – si incontreranno. È un segnale che arriva da parte della cultura cristiana. Perché, come ricordava Giovanni Paolo II, se la fede non diventa cultura, cioè giudizio critico sulle cose, resta come puro sentimentalismo e muore. Ma anche perché alla fine di un’epoca in cui tante ipotesi di lettura complessiva e ideologica della realtà (dal materialismo allo scientismo, dalprogressivismo al razionalismo) hanno mostrato limiti e impotenze, quando non violenze e censure, la vitalità della cultura cristiana può dare un contributo a tutti coloro che cercano un modo vero e profondo di guardare all’esistenza.
Per fare un festival occorrono due cose: un problema interessante, e il desiderio di incontrare. Poi vengono i problemi organizzativi.
Ma in questo momento, proprio per l’epoca di cambiamento che stiamo vivendo, per i segni che i tempi ci offrono (tra i primi, questo Papa) e per l’urgenza che nei cuori è viva di avere occasioni di confronto libero e serio, proporre un festival di questo genere rientra non solo tra i compiti di un’associazione che ha lo scopo di far incontrare la Scienza e la Vita con le sue domande e problemi, ma di tutti coloro che amano il gusto di cercare il vero.
È un esperimento, un piccolo gesto un po’ folle e avventuriero, ma che indica un metodo: non avere paura.
Il programma porterà al festival esperti e gente normale, artisti e politici di primo piano. La scommessa, pur nei limiti di una prima edizione sperimentale, è alta.
Quando si fanno queste cose non si mette a rischio soltanto il nome o la faccia. Ma, per quel che mi riguarda, l’anima. Altrimenti non sono interessanti. Davide Rondoni
«La vita non è sola» è il titolo del primo Festival di Scienza & Vita che ho 'inventato' e proposto agli amici che con me fan parte del direttivo dell’Associazione presieduta da Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, I consiglieri hanno aderito e collaborato all’idea consapevoli che su certe delicate questioni, sul senso di certe parole fondamentali dell’esistenza (nascere, figli, salute, morire, dignità) è in corso uno scontro e una confusione che riguarda tutti. Si tratta di questioni troppe volte salite dalla vita reale e concreta della gente fino alla ribalta delle polemiche mediatiche e politiche. E quindi spesso caricate di altra confusione. Insomma, si tratta di questioni che vanno direttamente a toccare il cuore, la passione, la fatica e la gioia di tante persone e che nella nostra epoca sono oggetto di riflessione ma troppo spesso occasione di scontro e di divisione.
Mentre la passione che mi muove, come poeta e come uomo di cultura, è che intorno alle parole fondamentali del vivere ci si ritrovi, ognuno con storie e percorsi differenti, ma disposti a trovarne un senso sempre maggiore e più ricco e vero.
Di qui l’idea di un festival che facesse incontrare scienziati, artisti, politici, filosofi intorno a tali questioni. Ma un festival, non un convegno, ovvero una occasione di condivisione di cultura, di incontro e di scoperta. Com’è noto, da tempo i festival sono – in ogni campo, dalla letteratura alla scienza – uno degli strumenti di condivisione culturale che cerca di rispondere a una domanda di senso e di orientamento che le istituzioni tradizionali (dalla scuola ai musei) faticano ad affrontare per motivi che qui sarebbe lungo esaminare, che vanno dalla struttura Stato-centrica di tali istituzioni a un deficit metodologico. Anche nel 'mondo cattolico' c’è una difficoltà ad affrontare temi e cose che stanno a cuore (dal racconto del Vangelo all’approfondimento di questioni che riguardano l’aspetto antropologico) in modi che non siano accademici o retorici. Ci sono segnali diversi e belli, dal grande Meeting di Rimini ai festival sul teatro o sulla Bibbia, fino al piccolo ma significativo «Festival dell’essenziale» nato lo scorso ottobre a Roma.
Del resto, i festival di cui sopra e altri, così come il nuovo Festival di Scienza & Vita, si propongono di essere non l’espressione di un 'mondo' che ha certe idee e visioni ma un momento per mettere a fuoco insieme questioni importanti per tutti. Di qui l’apertura culturale, la voglia di incontrare persone e idee diverse che anche a Bologna – non a caso scelta in quanto sede della più antica università del mondo, che dà il patrocinio all’iniziativa – si incontreranno. È un segnale che arriva da parte della cultura cristiana. Perché, come ricordava Giovanni Paolo II, se la fede non diventa cultura, cioè giudizio critico sulle cose, resta come puro sentimentalismo e muore. Ma anche perché alla fine di un’epoca in cui tante ipotesi di lettura complessiva e ideologica della realtà (dal materialismo allo scientismo, dalprogressivismo al razionalismo) hanno mostrato limiti e impotenze, quando non violenze e censure, la vitalità della cultura cristiana può dare un contributo a tutti coloro che cercano un modo vero e profondo di guardare all’esistenza.
Per fare un festival occorrono due cose: un problema interessante, e il desiderio di incontrare. Poi vengono i problemi organizzativi.
Ma in questo momento, proprio per l’epoca di cambiamento che stiamo vivendo, per i segni che i tempi ci offrono (tra i primi, questo Papa) e per l’urgenza che nei cuori è viva di avere occasioni di confronto libero e serio, proporre un festival di questo genere rientra non solo tra i compiti di un’associazione che ha lo scopo di far incontrare la Scienza e la Vita con le sue domande e problemi, ma di tutti coloro che amano il gusto di cercare il vero.
È un esperimento, un piccolo gesto un po’ folle e avventuriero, ma che indica un metodo: non avere paura.
Il programma porterà al festival esperti e gente normale, artisti e politici di primo piano. La scommessa, pur nei limiti di una prima edizione sperimentale, è alta.
Quando si fanno queste cose non si mette a rischio soltanto il nome o la faccia. Ma, per quel che mi riguarda, l’anima. Altrimenti non sono interessanti. Davide Rondoni
Wuerl: «Con chiarezza e semplicità il Papa ci insegna a vivere il Vangelo»
Il cardinale arcivescovo di Washington è stato relatore generale al Sinodo sulla nuova evangelizzazione: fonte di nutrimento per le sfide che la Chiesa affronta ogni giorno «Francesco ci dice: non aver paura e porta l’amore di Cristo in ogni aspetto della vita 'Va’', ci dice perché la gente aspetta di essere invitata nel Regno È ansiosa di qualcosa di grande e tu stai per dirgli che Dio l’ama. Si può immaginare qualcosa di più bello che sentirlo e saperlo per sempre?»
Il Vangelo 'al lavoro', la fede 'in azione'.
L’Esortazione apostolica Evangelii gaudium vista dagli Stati Uniti è una risposta alle richieste arrivate ai vescovi durante l’Anno della fede: di uno strumento di evangelizzazione chiaro, semplice e gioioso per proseguire un lavoro missionario che sta già dando frutti. Per questo il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e relatore generale al Sinodo sulla nuova evangelizzazione dello scorso ottobre, ha subito iniziato a diffonderla nella sua arcidiocesi, nel suo blog, come «fonte di nutrimento per tutti noi mentre riflettiamo sulle sfide che la Chiesa affronta ogni giorno e sui compiti che tutti noi siamo chiamati a ricoprire nel condividere il messaggio del Vangelo».
Cardinale Wuerl, l’Esortazione apostolica sollecita i cattolici ad essere missionari, un tema che lei ha affrontato lo scorso anno durante il Sinodo dei vescovi. Che cosa crede che in questo documento che possa aiutare maggiormente i vescovi a concretizzare la chiamata missionaria della Chiesa?
Quello che vediamo nell’Esortazione non è un programma politico o un’agenda ideologica, ma fede in azione, Vangelo al lavoro. Papa Francesco ci sta insegnando non solo cosa dice il Vangelo, ma come viverlo: mettendo la persona davanti a tutto. E ci mostra come farlo non con preoccupazioni astratte per l’umanità, ma con esempi reali e intensamente umani.
Non parla solo di povertà, ma dei bambini usati per l’accattonaggio, dei padri che lavorano nelle fabbriche clandestine, della gente che vive nell’ombra. Non parla semplicemente della pace come ideale, ma chiama i leader mondiali a scegliere il dialogo e invita tutti ad agire nel segno della pace. Il Papa vede la difesa della vita umana, della famiglia e della libertà religiosa non come compiti distinti, ma come parti della più ampia visione della fede in Gesù Cristo, della speranza in un mondo migliore e dell’amore per i deboli e i vulnerabili. Questi non sono stendardi da sventolare, o slogan da essere scanditi, ma una parte integrale della fede che si propone a tutti, a cominciare da chi vive ai margini della società e agli estremi della vita.
Nell’Esortazione leggiamo che la proposta del Vangelo deve essere semplice, profonda e gioiosa. È da questa affermazione che discendono tutte le conseguenze morali.
Al termine dell’Anno della fede, che progressi vede nel lavoro di evangelizzazione negli Stati Uniti?
Posso parlare dal punto di vista dell’arcidiocesi di Washington, dove gli sforzi per l’evangelizzazione sono cominciati anni fa. Nel settembre 2010, ho pubblicato una lettera pastorale sulla nuova evangelizzazione che lanciava una serie di iniziative. L’idea era di aiutare i fedeli a capire di che cosa li stavamo invitando ad essere parte. Da allora abbiamo fatto molta strada. Ora l’apprezzamento della nuova evangelizzazione è molto forte e reale.
Quando ho l’opportunità di visitare le parrocchie, sento sempre molte storie di iniziative di successo che hanno esteso il raggio di azione della Chiesa. Di recente l’arcidiocesi ha deciso di valutare con questionari quanto siamo efficaci nelle aree del culto, dei servizi educativi, della comunità e della gestione dei beni comuni, come un modo di misurare il rinnovamento della Chiesa. E sono emersi enormi progressi, in particolare un aumento nel numero dei giovani coinvolti nella vita della Chiesa e del tempo e delle risorse che mettono a disposizione. È un esempio di quello che intende il Papa quando dice che coinvolgere maggiormente i laici nella vita della Chiesa porta frutti.
Sono emersi risultati misurabili?
Tre settimane fa ho organizzato all’ultimo momento una messa per giovani professionisti di Washington e sono venuti in 500. La scorsa Pasqua abbiamo accolto 1.200 nuovi cattolici nella nostra arcidiocesi e due anni fa ho aperto un nuovo Seminario a livello universitario. Vedo questi come segni che il lavoro della nuova evangelizzazione sta avendo un impatto. E penso che vedremo ancora maggiori risultati nei mesi a venire, come risposta all’informalità, al calore e ai modi diretti del Papa nel mostrare il messaggio di Gesù.
Quali sfide prevede nel continuare il lavoro di evangelizzazione?
Gli ostacoli sono presenti da tempo. Quando papa Benedetto XVI è venuto negli Stati Uniti cinque anni fa, ha descritto i principali ostacoli che vedeva nella nostra società: il secolarismo, il materialismo e l’individualismo. Sono tutte cause del dilagante relativismo. Durante il Sinodo, tutti i vescovi del mondo hanno ammesso, in misura maggiore o minore, di avere questi stessi problemi. Le difficoltà dunque restano e le conosciamo. Ma stiamo imparando che non à solo la Chiesa a percepirle come impedimenti alla piena realizzazione umana.
Molta gente, giovani soprattutto, ha fame di qualcosa di più profondo e più autentico, di una vita spesa al servizio di obiettivi più alti.
Quest’ultimo anno ci ha ricordato che c’è fame di una proposta forte nella nostra società.
Che cosa 'funziona' di più per avvicinare i giovani al Vangelo?
A catturare i giovani è la sincerità e l’immediatezza del Vangelo. Papa Francesco lo sa bene. Quello che ci sta mostrando non è infatti un nuovo messaggio, ma un nuovo modo offrirlo, semplicemente mescolandoci alla gente, essendo insieme alla gente.
Personalmente lo trovo molto incoraggiante.
Dobbiamo mantenere la concentrazione sul messaggio del Vangelo, e il Papa ci ha ricordato che non è troppo complesso. Non dobbiamo farci distrarre da questioni laterali. Quando la gente ascolta il messaggio d’amore di Dio, non ha bisogno di molto di più.
Lo considera un richiamo per i sacerdoti?
È molto importante per noi sacerdoti non confondere il messaggio, complicarlo tanto che poi nessuno capisce più quello che stiamo dicendo. Francesco ce lo ho ricordato.
Dobbiamo partire dicendo che Dio ama ciascuno di noi e che dobbiamo abbracciarci l’un l’altro in quell’amore. In questo non ci sono confini, non ci sono limiti. Francesco ci dice: non aver paura e porta l’amore di Cristo in ogni aspetto della vita. «Va», ci dice il Papa. «Va» perché la gente sta aspettando di essere invitata nel Regno. Sono ansiosi di sentire qualcosa di grande, e tu stai per dirgli che Dio li ama. Puoi immaginare qualcosa di più bello che sentirlo e crederci e saperlo per sempre? ELENA MOLINARI
Quei «controambienti» senza egemonia .I MONDI VITALI DELLA NOSTRA SOCIETÀ NON RIESCONO A ESSERE RAPPRESENTATI
È questo un periodo in cui prevalgono, nel clima sociale come nelle analisi e nei commenti, le visioni pessimistiche e la sottolineatura degli aspetti di involuzione rispetto a quelli di evoluzione, e delle dinamiche di impedimento di uno sviluppo progressivo, rispetto a quelle di propulsione. A differenza di un passato, anche recente, nel quale eravamo abituati a leggere nella realtà italiana molteplici e solidi tratti di un processo di avanzamento e di miglioramento continui, ed era ben presente la sensazione che lo sviluppo fosse animato da forze davvero vitali.
Il cambiamento di tonalità emotiva, iniziato a partire dagli anni 90 e consolidatosi dopo il passaggio di secolo e di millennio, ha sicuramente molto a che fare con le trasformazioni sociali, antropologiche e geofisiche del pianeta, dell’Europa e dell’Italia. Ma sarebbe un errore sottovalutarne i risvolti socio-politici, ad esempio quello dato dalla crescente difficoltà a capire quali siano i mondi vitali di oggi, le leve dello sviluppo su cui puntare. Tanto che, anche laddove alcuni sforzi nel senso della ripresa di impeto e sviluppo vengono intrapresi, si rimane generalmente delusi per la loro inconcludenza, e per la loro mancata corrispondenza con le realtà più vitali e le loro esigenze.
Eppure, quelli che vengono chiamati da alcuni dei sostenitori di una necessaria rigenerazione sociale attraverso il coinvolgimento dei soggetti vitali, i controambienti
(rispetto all’ambiente dominante nei discorsi e negli atti della politica e dei mass-media), esistono.
Esistono luoghi di socializzazione e di espressione animati da spirito di rigenerazione, innovazione e solidarietà, nelle nuove forme di convivialità, in quelle di educazione non tradizionale, nelle parrocchie e nelle associazioni ambientalistiche, artistiche e sportive, nella cooperazione e nel volontariato, nel mondo delle cure, nella cultura più genuina e nella musica. Studi sulle correlazioni tra condizioni di vita e benessere sociale indicano i seguenti ambiti come particolarmente importanti per la ricostruzione di un tessuto sociale positivo: la formazione, le relazioni interpersonali, l’associazionismo e il volontariato, la fiducia nel prossimo e nel proprio territorio, la sensibilità ecologica, il 'lavoro scelto' e l’impegno lavorativo, il benessere psicologico e mentale, la famiglia e le reti di convivenza. Lavorare nel senso della costruzione di una rigenerazione delle dinamiche del Paese dovrebbe significare, quindi, rafforzare i soggetti ed i fattori che danno vita a questi
controambienti:
costruire comunità dialoganti volte a condividere, a vivere la solidarietà, a sviluppare il mutuoaiuto; promuovere la giustizia sociale, l’equità di tutti di fronte ai processi sociali; promuovere la continuità formativa ed assistenziale, l’integrazione tra diversi ambiti istituzionali; promuovere una cultura della sobrietà e del vero benessere; sviluppare la cultura non nozionistica.
Ed è quello che in particolare i soggetti evolutivi - cittadini del futuro - , se osservati ed ascoltati, chiedono. I giovani sembrano cercare infatti una educazione centrata sul dialogo, una proficua contaminazione tra le generazioni e un contesto educativo meno angusto rispetto alle tradizionali agenzie di socializzazione e istruzione.
Vorrebbero che nella scuola fossero posti al centro dello scambio i problemi veri della vita, più che le nozioni, le competenze più che i dati conoscitivi.
La autorevolezza di molti educatori di basa proprio sulla attenzione alla pregnanza e veridicità dei contenuti, sulla intensità del dialogo, sulla forza dell’impulso comunicativo. E per raggiungere simili obiettivi molti luoghi educativi hanno avviato un percorso di assunzione di responsabilità collettiva fortemente condiviso.
Ma se i controambienti e i mondi vitali esistono, benché nascosti, nella scuola e non solo nella scuola, ciò che è manchevole sono i canali di rappresentanza, rappresentazione e sviluppo di queste realtà. È la mancanza di egemonia culturale, attuale e potenziale, di questi controambienti e mondi vitali che sconcerta e preoccupa. CARLA COLLICELLI
Il Papa: nel dialogo interreligioso non serve “fraternità finta”, ognuno porti sua identità
Il futuro dell’umanità “sta nella convivenza rispettosa delle diversità”. E’ uno dei passaggi chiave del discorso che Papa Francesco ha rivolto stamani ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il Papa ha sottolineato che “non è possibile pensare ad una fratellanza da laboratorio”. Quindi, ha ribadito con forza che va tutelata la libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Jean-Louis Tauran.
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AVVENTO. COSA DOBBIAMO FARE ?Il pensiero di Don Renato
“Dio ha scelto di farsi
attendere tutto il tempo di un Avvento. Io non amo attendere. Non amo attendere
nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo
attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo
attendere un giorno ancora. Non amo attendere, perché non ho tempo” (J. Debruynne).
D’altronde la pubblicità fa
di tutto per evitarmi l’attesa e per
questo mi offre incentivi di ogni tipo
Invece Dio ha scelto di
farsi attendere.
Il Signore ci conosce bene e
ha fatto dell’attesa lo spazio della conversione. Non è soltanto la pazienza di
Dio, ma è la sua opera di educazione verso di me, per purificare le infinite attese e gli infiniti
desideri che non portano a niente, e far crescere invece il desiderio di lui.
L’attesa di Dio desta
l’attenzione, e solo l’attenzione è capace di amare.
“Cosa dobbiamo fare?”. Lo
chiediamo anche noi a Giovanni Battista, ed egli ci risponde di raddrizzare i
sentieri di Dio, di abbassare i monti del nostro orgoglio e della presunzione,
che ci impediscono di vederlo; di riempire i burroni dei nostri vuoti
interiori, della noia, delle cose senza senso, delle stupidità che tolgono il
sapore della vita e quindi tolgono il gusto di Dio.
Io attendo il Signore perché
è il Signore per primo che mi attende, con pazienza, finché mi deciderò a
desiderare di incontrarlo negli uomini e nelle donne che mi ha messo accanto.
Don Renato
Attendere è pregare
Dio,
tu hai scelto di farti attendere
tutto il tempo di un Avvento.
Io non amo attendere.
Non amo attendere nelle file.
Non amo attendere il mio turno.
Non amo attendere il treno.
Non amo attendere prima di giudicare.
Non amo attendere il momento opportuno.
Non amo attendere un giorno ancora.
Non amo attendere perché non ho tempo
e non vivo che nell'istante.
tu hai scelto di farti attendere
tutto il tempo di un Avvento.
Io non amo attendere.
Non amo attendere nelle file.
Non amo attendere il mio turno.
Non amo attendere il treno.
Non amo attendere prima di giudicare.
Non amo attendere il momento opportuno.
Non amo attendere un giorno ancora.
Non amo attendere perché non ho tempo
e non vivo che nell'istante.
D'altronde tu lo sai bene,
tutto è fatto per evitarmi l'attesa:
gli abbonamenti ai mezzi di trasporto
e i self-service,
le vendite a credito
e i distributori automatici,
le foto a sviluppo istantaneo,
i telex e i terminali dei computer,
la televisione e i radiogiornali...
Non ho bisogno di attendere le notizie:
sono loro a precedermi.
tutto è fatto per evitarmi l'attesa:
gli abbonamenti ai mezzi di trasporto
e i self-service,
le vendite a credito
e i distributori automatici,
le foto a sviluppo istantaneo,
i telex e i terminali dei computer,
la televisione e i radiogiornali...
Non ho bisogno di attendere le notizie:
sono loro a precedermi.
Ma tu Dio
tu hai scelto di farti attendere
il tempo di tutto un Avvento.
Perché tu hai fatto dell'attesa
lo spazio della conversione,
il faccia a faccia con ciò che è nascosto,
l'usura che non si usura.
L'attesa, soltanto l'attesa,
l'attesa dell'attesa,
l'intimità con l'attesa che è in noi
perché solo l'attesa
desta l'attenzione
e solo l'attenzione
è capace di amare.
tu hai scelto di farti attendere
il tempo di tutto un Avvento.
Perché tu hai fatto dell'attesa
lo spazio della conversione,
il faccia a faccia con ciò che è nascosto,
l'usura che non si usura.
L'attesa, soltanto l'attesa,
l'attesa dell'attesa,
l'intimità con l'attesa che è in noi
perché solo l'attesa
desta l'attenzione
e solo l'attenzione
è capace di amare.
Tu sei già dato nell'attesa,
e per te, Dio,
attendere,
si coniuga come pregare.
e per te, Dio,
attendere,
si coniuga come pregare.
(Jean Debruynne)
Aforisma del Giovedì
Kaliméra di Ermanno Olmi: "I linguaggi hanno sempre connotato i contenuti di un'epoca, così anche le trasgressioni e i comportamenti. Quasi che l'apparire 'sbracati' sia una connotazione di disinvoltura di cui vantarsi, mentre non è altro che imbecillità che ci qualifica come ci meritiamo...Lo stile non è un orpello, ma il fondamento di ogni società civile. Lo stile è anche un atto politico per mettere in pratica una vera democrazia"...perciò?
Valete!
Don Carlo
Valete!
Don Carlo
Il Papa: la fede non è un fatto privato, adorare Dio fino alla fine, nonostante apostasia e persecuzioni
Ci sono “poteri mondani” che vorrebbero che la religione fosse “una cosa privata”. Ma Dio, che ha vinto il mondo, si adora fino alla fine “con fiducia e fedeltà”. È il pensiero che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa S. Marta. I cristiani che oggi sono perseguitati – ha detto – sono il segno della prova che prelude alla vittoria finale di Gesù.
Nella lotta finale tra Dio e il Male, che la liturgia di fine anno propone in questi giorni, c’è una grande insidia, che Papa Francesco chiama “la tentazione universale”. La tentazione di cedere alle lusinghe di chi vorrebbe averla vinta su Dio, avendo la meglio su chi crede in Lui. Ma proprio chi crede ha un riferimento limpido cui guardare. È la storia di Gesù, con le prove patite nel deserto e poi le “tante” sopportate nella sua vita pubblica, condite da “insulti” e “calunnie”, fino all’affronto estremo, la Croce, dove però il principe del mondo perde la sua battaglia davanti alla Risurrezione del Principe della pace. Papa Francesco indica questi passaggi della vita di Cristo perché – sostiene – nello sconvolgimento finale del mondo, descritto nel Vangelo, la posta in gioco è più alta del dramma rappresentato dalle calamità naturali:
“Quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la abominazione, sarà la desolazione della abominazione. Cosa significa quello? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio. Lui sembra che in quel momento finale di calamità, sembra che si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”.
Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. Dunque, “la desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:
“Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine. E quando arrivi alla pienezza – al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano, quando si compie questo tempo – allora sì, verrà Lui: ‘E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria’. I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti”.
Eppure, conclude Papa Francesco, nel momento in cui i “tempi dei pagani sono stati compiuti” è quello il momento di alzare il capo, perché è “vicina” la “vittoria di Gesù Cristo”:
“Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.
Alessandro De Carolis
http://it.radiovaticana.va
Nella lotta finale tra Dio e il Male, che la liturgia di fine anno propone in questi giorni, c’è una grande insidia, che Papa Francesco chiama “la tentazione universale”. La tentazione di cedere alle lusinghe di chi vorrebbe averla vinta su Dio, avendo la meglio su chi crede in Lui. Ma proprio chi crede ha un riferimento limpido cui guardare. È la storia di Gesù, con le prove patite nel deserto e poi le “tante” sopportate nella sua vita pubblica, condite da “insulti” e “calunnie”, fino all’affronto estremo, la Croce, dove però il principe del mondo perde la sua battaglia davanti alla Risurrezione del Principe della pace. Papa Francesco indica questi passaggi della vita di Cristo perché – sostiene – nello sconvolgimento finale del mondo, descritto nel Vangelo, la posta in gioco è più alta del dramma rappresentato dalle calamità naturali:
“Quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la abominazione, sarà la desolazione della abominazione. Cosa significa quello? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio. Lui sembra che in quel momento finale di calamità, sembra che si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”.
Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. Dunque, “la desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:
“Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine. E quando arrivi alla pienezza – al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano, quando si compie questo tempo – allora sì, verrà Lui: ‘E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria’. I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti”.
Eppure, conclude Papa Francesco, nel momento in cui i “tempi dei pagani sono stati compiuti” è quello il momento di alzare il capo, perché è “vicina” la “vittoria di Gesù Cristo”:
“Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.
Alessandro De Carolis
http://it.radiovaticana.va
mercoledì 27 novembre 2013
Udienza generale. Il Papa: chi apre la porta al povero avrà il cielo aperto alla fine della vita
“Chi pratica la misericordia non teme la morte”. Questa affermazione è risuonata più volte questa mattina in Piazza San Pietro. Papa Francesco l’ha fatta ripetere alle circa 50 mila persone che hanno partecipato all’udienza generale, dopo aver spiegato, a partire dalla preghiera del Credo, la differenza dell’approccio cristiano all’ultimo momento della vita, rispetto alla visione atea, che non credendo in un orizzonte più ampio, nega la morte perché ne ha paura.
“Lo diciamo insieme per non dimenticarlo: chi pratica la misericordia non teme la morte. Un’altra volta: chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo”.
Nel gelo di una Piazza piombata in un precoce inverno, la verità cristiana senza eguali, riaffermata da Papa Francesco e ripetuta in coro dalla folla, ha il potere di scaldare i cuori prima ancora che le membra intirizzite. Chi apre la porta ai fratelli che hanno bisogno vedrà a sua volta aperta la porta del cielo alla fine della vita: il Papa suggella con questo pensiero una catechesi che con chiarezza esplora il tabù per eccellenza. “Fra noi, comunemente c’è un modo sbagliato di guardare alla morte”, osserva, affrontando subito, con delicatezza, un punto che rende la morte “scandalosa”.
VIDEO http://www.youtube.com/watch?v=Ru21Vu-_TPw#t=68
“Lo diciamo insieme per non dimenticarlo: chi pratica la misericordia non teme la morte. Un’altra volta: chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo”.
Nel gelo di una Piazza piombata in un precoce inverno, la verità cristiana senza eguali, riaffermata da Papa Francesco e ripetuta in coro dalla folla, ha il potere di scaldare i cuori prima ancora che le membra intirizzite. Chi apre la porta ai fratelli che hanno bisogno vedrà a sua volta aperta la porta del cielo alla fine della vita: il Papa suggella con questo pensiero una catechesi che con chiarezza esplora il tabù per eccellenza. “Fra noi, comunemente c’è un modo sbagliato di guardare alla morte”, osserva, affrontando subito, con delicatezza, un punto che rende la morte “scandalosa”.
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