sabato 19 gennaio 2013

UNA PAURA DA VINCERE. Come nascono i nostri (pochi) figli

mamma e bimbo
  Il numero esageratamente elevato di parti cesarei in Italia confermato ieri dal ministro della Salute Renato Balduzzi, assieme all’incredibile percentua­le di interventi ingiustificati dal punto di vista clini­co, è l’ennesimo campanello d’allarme su quella che sempre più appare come una 'crisi della maternità' nel nostro Paese le cui conseguenze emergono in ambiti sempre più vasti. Secondo l’analisi condotta dal Ministero, poco meno della metà degli interven­ti avviene con motivazioni poco convincenti, non è dato sapere quanto dovute all’insufficiente prepa­razione del personale sanitario e quanto invece al ti­more di poter andare incontro a eventuali conten­ziosi per aver rifiutato una richiesta esplicita di ce­sareo da parte delle future mamme, molto spesso il­luse sul fatto che un parto medicalizzato sia meno pericoloso di uno per via naturale.
  In questo senso anche una certa comunicazione su ricorso all’epidurale – l’anestesia locale presentata come «parto indolore» – non contribuisce a fare chia­rezza: anche per l’epidurale esistono infatti criteri di appropriatezza, e promettere a tutte le donne indi­scriminatamente un «diritto al parto senza dolore» è quantomeno discutibile.
  Chi scrive ha partorito tre figli per vie naturali e par­la con cognizione di causa: non si tratta di rifiutare aprioristicamente un nuovo mezzo della medicina come l’epidurale, che può aiutare un momento tan­to delicato come il parto, né tanto meno di una ma­sochistica ostinazione nel voler provare dolore. Ma l’inarrestabile medicalizzazione di un evento natu­rale come il parto, quando non richiesta dalle con­dizioni di salute della mamma e del neonato, oltre a tutte le controindicazioni cliniche e mediche del ca­so è anche segno di una crescente paura nell’af­frontare un evento così noto all’umanità tutta, ma al­lo stesso tempo anche così imponderabile, e, nono­stante gli enormi progressi scientifici, non certo in­teramente
 controllabile. Di che paura si tratta? La paura di non farcela: ad af­frontare il dolore, per esempio; o di soccombere di fronte all’imprevisto (e in questo senso il cesareo è percepito sicuro perché più 'prevedibile', in quan­to gestito da esperti e non dalla madre); o la paura di fronte a un evento sempre meno comune, nell’esi­stenza di una donna, che, a quanto dicono le stati­stiche, probabilmente partorirà in media solo una volta in vita sua. Un figlio arrivato sempre più tardi, dopo aver aspettato la casa, il lavoro, l’uomo giusto. Un figlio desideratissimo, quindi, anche perché già si sa che difficilmente ne verrà un altro: non è forse anche questo il motivo del ricorso in gravidanza a un numero spropositato di esami clinici, diagnostici, genetici spesso senza giustificazioni adeguate?
  È giunto il momento di riflettere di più sull’inap­propriatezza di tanti interventi medici intorno all’e­vento- nascita: questo fenomeno così sintomatico dello stato di salute della cultura diffusa non deriva anche da una crescente paura di diventare genitori, dal timore di affrontare i problemi, i rischi e gli im­previsti che, inevitabilmente, ogni figlio porta con sé? Problemi, rischi e imprevisti cui spesso viene ri­dotta l’esistenza di un figlio. Sicuramente vanno a­dottati provvedimenti di tipo medico di fronte a da­ti come quelli italiani sui cesarei (una media nazio­nale del 29% con picchi regionali che sfiorano il 50), ma siamo sicuri che si tratta solamente di questioni professionali e che non ci sia nient’altro in gioco? Nel nostro Paese insieme alla natalità vanno dimi­nuendo anche i matrimoni, civili e religiosi, e au­menta il numero di bambini nati da coppie non sposate. C’è una mancanza di politiche familiari che pesa da anni, ma c’è anche dell’altro: a questo proposito, ad esempio, il bel libro di uno studioso notoriamente 'laico' come Roberto Volpi
 Il sesso spuntato smonta tanti miti e luoghi comuni e sug­gerisce come la crisi del matrimonio, della pro­creazione – definita «riproduzione sessuale», oramai lontana e separata dal vissuto della sessualità – e l’inverno demografico dell’Occidente siano stretta­mente intrecciati. Di certo il Ministero della Salute vorrà adottare mi­sure per circoscrivere la piaga ormai endemica del­l’eccessivo ricorso al cesareo, ma la crisi della ma­ternità ha origini più complesse e profonde. E le sue ramificazioni dentro esperienze decisive del vissuto umano impongono l’onestà intellettuale di interro­garsi e arrivare fino in fondo.  ASSUNTINA MORRESI - Avvenire

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