Domenica 28 gennaio, durante la Messa in cui si festeggiavano gli anniversari delle nozze di un centinaio di coppie della parrocchia di San Fruttuoso a Monza, il parroco don Eligio ha fatto questa splendida predica.
Il Papa, nel giugno scorso qui a Milano per il VII incontro mondiale delle famiglie, mentre ci invitava a cercare il Dio vicino (discorso alla Scala), sottolineava la bellezza della famiglia e la grandezza del matrimonio fondato sull’amore stabile tra un uomo e una donna: «L’amore di per sé garantisce il “sempre” perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo; è “per sempre”… Il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisione, esperienze interiori… Nel rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: “Sei innamorato”, ma “vuoi”, “sei deciso”. Cioè, l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in cammino di purificazione, di più profondità… così che la forza di volontà dice: “Sì, questa è la mia vita”… E qui è importante che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità, la Chiesa, gli amici» (Festa delle testimonianze – Bresso 2/6/12).
Ecco, carissimi, perché siamo qui, insieme: perché ci siete voi che ricordate il vostro matrimonio e ci siamo anche noi, a fare festa e a riconoscere insieme “il Dio vicino”, ragione e fondamento di ogni amore, che voglia essere vero.
È proprio la coscienza di questo Dio, vivo, in mezzo a noi il motivo della nostra gioia e della nostra riconoscenza. Come è testimoniato nel brano della prima lettura, quando il popolo, commosso ed orante, fa festa, «perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Nee.8,10).
Nelle diversità delle nostre vite e delle storie di ciascuno e di ogni coppia, noi – come dice san Paolo nella seconda lettura – formiamo in Cristo un solo corpo, come «il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1°Cor.12,12).
È proprio la coscienza di questo Dio, vivo, in mezzo a noi il motivo della nostra gioia e della nostra riconoscenza. Come è testimoniato nel brano della prima lettura, quando il popolo, commosso ed orante, fa festa, «perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Nee.8,10).
Nelle diversità delle nostre vite e delle storie di ciascuno e di ogni coppia, noi – come dice san Paolo nella seconda lettura – formiamo in Cristo un solo corpo, come «il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1°Cor.12,12).
Il cuore profondo del popolo da cui veniamo e apparteniamo sente il fascino della fede. Forse ne ha anche nostalgia. Nostalgia della fede che in queste terre ha creato un autentico “umanesimo cristiano”, che si è espresso in un’autentica cultura di popolo, che aveva uno stile, un ethos capace di incidere sull’umano, di generare famiglie cristiane generose di figli e di opere (questo tempio ne è un esempio).
Noi dobbiamo tanto a chi ci ha preceduto, per come ci hanno educato ad amare Dio, la Chiesa, la famiglia; per come ci hanno insegnato i principi etici fondamentali a riguardo della vita, del lavoro, dell’amore, dell’amicizia, della carità, della cura ai malati, dell’uso dei beni, del come reagire alle crisi e vivere le fatiche.
Questo generato da una fede vissuta che impregnava giudizi e scelte, castità e fedeltà nell’amore, pazienza e correzione nell’educare.
Oggi, forse, la fede rimane un orizzonte lontano, relegato nel chiuso del cuore; una fede perciò che non incide e che abdica di fronte alla mentalità di questo mondo.
Crediamo, ma quasi in un Dio lontano, che fatica ad essere percepito come compagnia all’avventura umana.
Crediamo, ma senza appartenere alla vita della comunità: si prega poco, trascuriamo i sacramenti, non avvertiamo l’urgenza di essere formati dentro la Chiesa, e così viviamo una fede individualistica che non è più appassionata dalla verità che è Cristo, vivo e immutabile.
Invece voi, e noi con voi, siamo qui per fare memoria di un Dio che c’è, che è dentro la nostra vita, che ci ha scelti ed amati per essere segno di Lui (Sacramento) e del Suo amore totale e misericordioso.
Noi dobbiamo tanto a chi ci ha preceduto, per come ci hanno educato ad amare Dio, la Chiesa, la famiglia; per come ci hanno insegnato i principi etici fondamentali a riguardo della vita, del lavoro, dell’amore, dell’amicizia, della carità, della cura ai malati, dell’uso dei beni, del come reagire alle crisi e vivere le fatiche.
Questo generato da una fede vissuta che impregnava giudizi e scelte, castità e fedeltà nell’amore, pazienza e correzione nell’educare.
Oggi, forse, la fede rimane un orizzonte lontano, relegato nel chiuso del cuore; una fede perciò che non incide e che abdica di fronte alla mentalità di questo mondo.
Crediamo, ma quasi in un Dio lontano, che fatica ad essere percepito come compagnia all’avventura umana.
Crediamo, ma senza appartenere alla vita della comunità: si prega poco, trascuriamo i sacramenti, non avvertiamo l’urgenza di essere formati dentro la Chiesa, e così viviamo una fede individualistica che non è più appassionata dalla verità che è Cristo, vivo e immutabile.
Invece voi, e noi con voi, siamo qui per fare memoria di un Dio che c’è, che è dentro la nostra vita, che ci ha scelti ed amati per essere segno di Lui (Sacramento) e del Suo amore totale e misericordioso.
Stiamo celebrando non un amore che c’è stato, ma che c’è. Dobbiamo riprendere consapevolezza chiara del mistero della vocazione matrimoniale.
Una consapevolezza che è necessaria tanto alle famiglie quanto alla società, e alla Chiesa stessa, soprattutto in un tempo, come il nostro, quando famiglia e Chiesa sembrano non trovare più posto nella società.
È un mondo diverso che ha un’immagine distorta della vita, dei rapporti fra le persone e dell’amore dell’uomo per la donna.
Una consapevolezza che è necessaria tanto alle famiglie quanto alla società, e alla Chiesa stessa, soprattutto in un tempo, come il nostro, quando famiglia e Chiesa sembrano non trovare più posto nella società.
È un mondo diverso che ha un’immagine distorta della vita, dei rapporti fra le persone e dell’amore dell’uomo per la donna.
La famiglia e la Chiesa portano con sé la cultura di un Mistero che definisce la vita. Ma oggi per il Mistero pare non ci sia più posto. Oggi domina l’istinto al benessere. L’uomo e la donna di oggi sono immersi in una cultura che a tutti i livelli – in primis sui mass media – esalta come regola di vita la corrispondenza istintiva a quello che senti.
Il rapporto affettivo è diventato un luogo per organizzare i propri sentimenti: conosco qualcuno, organizzo ciò che provo, mi corrisponde, mi piace, sto insieme.
Quando non provo più nulla, non ho più motivo di continuare il rapporto. Ma un rapporto non nasce da un calcolo ma da qualcosa che irrompe nella vita e scombina. Un mistero appunto.
Il rapporto affettivo è diventato un luogo per organizzare i propri sentimenti: conosco qualcuno, organizzo ciò che provo, mi corrisponde, mi piace, sto insieme.
Quando non provo più nulla, non ho più motivo di continuare il rapporto. Ma un rapporto non nasce da un calcolo ma da qualcosa che irrompe nella vita e scombina. Un mistero appunto.
La sostanza di un rapporto vero tra un uomo e una donna ha a che fare con il destino dell’uno e dell’altra.
Due persone iniziano un rapporto interrogandosi sul proprio compimento, sul proprio destino.
Ecco perché la natura di questa relazione è religiosa, sin dall’innamoramento, come dimostrano anche questi versi famosi del Romeo e Giulietta di Shakespeare: «Mostrami un’amante che sia pur bellissima, a che servirà la sua bellezza se non come un segno dove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella?».
Un altro/a mi appare come il portatore di un messaggio: io non sono il senso della tua vita ma insieme possiamo percorrere la strada della ricerca verso il senso della vita.
Due persone iniziano un rapporto interrogandosi sul proprio compimento, sul proprio destino.
Ecco perché la natura di questa relazione è religiosa, sin dall’innamoramento, come dimostrano anche questi versi famosi del Romeo e Giulietta di Shakespeare: «Mostrami un’amante che sia pur bellissima, a che servirà la sua bellezza se non come un segno dove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella?».
Un altro/a mi appare come il portatore di un messaggio: io non sono il senso della tua vita ma insieme possiamo percorrere la strada della ricerca verso il senso della vita.
Per riconoscere questo basta la ragione: io non posso bastare a te perché tu, come me, sei fatto/a per l’Infinito. Di questo Infinito io per te e tu per me sei un segno.
Insieme vogliamo la stessa cosa: l’Infinito appunto.
Ecco perché devo usare rispetto nei suoi confronti e non mi è lecito “rottamarlo” se non corrisponde più.
Insieme vogliamo la stessa cosa: l’Infinito appunto.
Ecco perché devo usare rispetto nei suoi confronti e non mi è lecito “rottamarlo” se non corrisponde più.
Ma, allora, cosa Cristo ha portato di nuovo a questo cammino, di per sé già naturale, ragionevole?
Cristo ha illuminato il mistero dell’amore, del matrimonio, legandolo strettamente a Sé: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che avete ascoltata» (Lc.4,21).
L’ha legato a Sé facendolo diventare, nella sua natura profonda, una modalità del rapporto fra Lui e i due.
Un uomo e una donna che si sposano in Chiesa non riconoscono che alla radice del loro rapporto c’è genericamente un mistero, ma hanno riconosciuto il Volto con il quale esso si è reso presente: il volto di Cristo.
La loro promessa di fronte a Lui rigenera ogni giorno la loro unità, inserendola nel rapporto stesso di Cristo con il Padre, lo Spirito e la Chiesa.
Quando Gesù dice che dove due o tre sono riuniti nel suo nome anche Lui è presente, si rivolge anzitutto alla famiglia.
E il matrimonio è indissolubile perché Cristo non abbandona mai il Suo popolo.
Una famiglia che diviene ciò che è, è una famiglia che prende coscienza della sua appartenenza alla Chiesa, un’appartenenza che è un compito e una missione rivolta a tutto il mondo.
Cristo ha illuminato il mistero dell’amore, del matrimonio, legandolo strettamente a Sé: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che avete ascoltata» (Lc.4,21).
L’ha legato a Sé facendolo diventare, nella sua natura profonda, una modalità del rapporto fra Lui e i due.
Un uomo e una donna che si sposano in Chiesa non riconoscono che alla radice del loro rapporto c’è genericamente un mistero, ma hanno riconosciuto il Volto con il quale esso si è reso presente: il volto di Cristo.
La loro promessa di fronte a Lui rigenera ogni giorno la loro unità, inserendola nel rapporto stesso di Cristo con il Padre, lo Spirito e la Chiesa.
Quando Gesù dice che dove due o tre sono riuniti nel suo nome anche Lui è presente, si rivolge anzitutto alla famiglia.
E il matrimonio è indissolubile perché Cristo non abbandona mai il Suo popolo.
Una famiglia che diviene ciò che è, è una famiglia che prende coscienza della sua appartenenza alla Chiesa, un’appartenenza che è un compito e una missione rivolta a tutto il mondo.
Quando, attraverso il compito fondamentale della paternità e della maternità, gli sposi continuano l’opera creatrice di Dio, incrementano il mondo. E poi attraverso il compito necessario dell’educazione dei figli, essi realizzano compiutamente il loro essere genitori. Non basta infatti trasmettere la vita fisica, ma bisogna condurre i propri figli alla scoperta del senso della vita.
Nessuno in questo vi può sostituire, né la Chiesa, né lo Stato.
La famiglia oggi è aggredita per quella vita nuova e diversa di cui essa è testimonianza. Aborto, divorzio, manipolazione genetica, confusione sull’identità di cosa sia matrimonio e famiglia, sono tutti segni evidenti di questa aggressione.
Per non soccombere, ancoriamoci a Cristo, riscoprendoLo, in quest’anno della fede, come la nostra forza. Educhiamo i nostri figli a fare parte, con noi, della Chiesa perché essa diventi punto di riferimento per l’esperienza della vita. Ci aspetta un grande compito, amici.
Questa giornata dei vostri anniversari di matrimonio, segno di stabilità in Cristo, dà motivata speranza e mi fa sentire per voi ammirazione e gratitudine. Non siete soli. Gesù è con voi per sostenere la vostra testimonianza profetica e coraggiosa. Diciamo al mondo, povero di amore vero, che amare per sempre si può, perché Lui è con noi.
La Madonna, «Di speranza fontana vivace», rivolga a noi i suoi occhi misericordiosi e ci mostri Gesù, il frutto benedetto del Suo seno.
Nessuno in questo vi può sostituire, né la Chiesa, né lo Stato.
La famiglia oggi è aggredita per quella vita nuova e diversa di cui essa è testimonianza. Aborto, divorzio, manipolazione genetica, confusione sull’identità di cosa sia matrimonio e famiglia, sono tutti segni evidenti di questa aggressione.
Per non soccombere, ancoriamoci a Cristo, riscoprendoLo, in quest’anno della fede, come la nostra forza. Educhiamo i nostri figli a fare parte, con noi, della Chiesa perché essa diventi punto di riferimento per l’esperienza della vita. Ci aspetta un grande compito, amici.
Questa giornata dei vostri anniversari di matrimonio, segno di stabilità in Cristo, dà motivata speranza e mi fa sentire per voi ammirazione e gratitudine. Non siete soli. Gesù è con voi per sostenere la vostra testimonianza profetica e coraggiosa. Diciamo al mondo, povero di amore vero, che amare per sempre si può, perché Lui è con noi.
La Madonna, «Di speranza fontana vivace», rivolga a noi i suoi occhi misericordiosi e ci mostri Gesù, il frutto benedetto del Suo seno.
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