sabato 19 gennaio 2013

L’impegno politico dei cristiani è il prolungamento della logica della testimonianza


Alcuni stralci della Lectio Magistralis che il Card. Angelo Scola ha tenuto a Vicenza, presso il teatro comunale, sul tema “Chiesa e Politica: spunti per un giudizio.
1. Laicità e impegno politico dei cattolici in Italia
«Autentica laicità non è [...] prescindere dalla dimensione spirituale, ma riconoscere che proprio questa, radicalmente, è garante della nostra libertà e dell’autonomia delle realtà terrene, grazie ai dettami della Sapienza creatrice che la coscienza umana sa accogliere ed attuare» . Questa frase di Benedetto XVI indica in maniera sintetica ma molto precisa le radici di una laicità rettamente intesa. Essa può inoltre aiutarci a leggere in maniera adeguata gli inviti, formulati a più riprese dal pontefice, alla formazione di una nuova generazione di laici impegnati in politica . Questi non sono infatti tesi alla ricristianizzazione della società mediante l’azione politica. Sono animati dalla convinzione che proprio in una società complessa e differenziata come quella attuale i cristiani non possano far mancare né il loro apporto concreto, né la loro ispirazione ideale.
Da questo punto di vista devo dire che in Italia si sta verificando una situazione paradossale. Mentre i molti cambiamenti in corso nelle nostre società, sui quali mi soffermerò brevemente in seguito, segnalano l’urgenza di pensare e praticare una nuova laicità , capace di valorizzare tutti i soggetti personali e comunitari che agiscono nella società plurale, molta pubblicistica rimane ancorata alla convinzione della necessaria neutralizzazione della rilevanza civile del fatto religioso e, in particolare, di quello cristiano. (…)
Se ci volgiamo infatti a considerare il ruolo dei cattolici nella storia italiana, almeno dalla nascita dello stato unitario fino ad oggi, dobbiamo registrare che sono sempre stati tra i protagonisti dell’edificazione della vita buona della società.
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Ma di fronte ai radicali mutamenti in corso sulla scena mondiale, e di riflesso nel nostro Paese, per quali vie può avvenire l’impegno politico, anche in senso stretto, dei cattolici oggi? Quali prospettive vengono aperte all’azione politica nel contesto della nostra società cosiddetta globalizzata?
Se l’89, quando l’ebbrezza per l’imprevista caduta dei muri spinse alcuni a parlare di “fine della storia”, ha segnato la fine delle utopie politiche, esso sembra anche aver accelerato il progressivo abbandono di ogni visione trascendente della vita, e ancor più di ogni sorta di legame ed appartenenza forte, soprattutto se di carattere ecclesiale.
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Da dove allora trarre energia per impegnarsi anche in politica senza trasformare la fede in utopia, l’azione in egemonia, il compito in militanza? Se poi si considera che non di rado l’uomo di oggi abbia perso la convinzione che ha retto per due millenni in Occidente – quella fondata in ultima analisi sul suo essere persona, soggetto integrale di diritti fondamentali e doveri sapientemente coniugati dal sistema delle leggi -, se questo uomo è lusingato dall’idea che la tecno-scienza, con straordinaria efficacia, va diffondendo: l’uomo non è altro che il suo proprio esperimento, su cosa far leva per un impegno civile e per un impegno civile cristianamente connotato?
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Noi cristiani, come tutti, siamo immersi nel flusso della storia e dei suoi processi, che sono per loro natura incontrollabili e indeducibili. La nostra libertà non può quindi sottrarsi al dramma dell’esistenza in solido con i nostri fratelli uomini. La nostra forza può solo consistere nella consapevolezza di essere sorretti, in questo difficile ma affascinante cammino, dalla fede in un Dio provvidente che guida la famiglia umana e la storia, in Gesù Cristo Salvatore che vince il peccato e la morte e nella Chiesa Madre e Maestra, che ci accompagna nel miracolo quotidiano della comunione solidale.
2. I nuovi scenari
Proprio per situare storicamente l’azione cui i cristiani impegnati in politica sono chiamati, evitando in questo modo i rischi derivanti dalla formulazione di ideologiche teorie astratte, vorrei brevemente indicare gli scenari coi quali la politica è chiamata a confrontarsi e dai quali emergono i contenuti propri, cioè i beni spirituali e materiali, del pratico vivere insieme. Tra i tanti, tre sono, a mio avviso, i principali: quello che ho definito il “processo di meticciato di civiltà e culture”, la bioetica e le neuroscienze, il nuovo ordine mondiale.
a) Il meticciato di civiltà e culture
Con l’espressione “meticciato di civiltà e culture” mi riferisco al processo di mescolamento di popoli e culture oramai in atto a livello planetario. Uso questa categoria non per indicare una meta da raggiungere mediante equivoci sincretismi, ma perché mi sembra la più adatta per spiegare la ricchezza e il potenziale di scontro soggiacenti al fatto che persone portatrici di culture, tradizioni e religioni differenti si incontrino (nella parola in-contro è contenuto anche il contro) e si trovino a vivere fianco a fianco. L’espressione meticciato di civiltà richiama crudamente l’insuperabile natura relazionale dell’uomo.(…)
b) La bioetica e le neuroscienze
Le prospettive offerte dall’inedito connubio tra scienza e tecnica segnalano il comparire di un “nuovo soggetto tecnocratico e collettivo” i cui limiti vengono fissati esclusivamente dalla sua stessa possibilità di azione. In un tale contesto l’uomo rischia di essere considerato, come profeticamente annunciato da Romano Guardini, quasi come un oggetto del suo stesso potere. (…)
La politica sarà sempre più investita del compito di rispondere ai brucianti, e spesso inquietanti, interrogativi ormai quasi quotidianamente sollevati dalla bioetica e dalle neuroscienze. Il neologismo biopolitica testimonia appunto l’ingresso in una nuova dimensione della discussione e dell’azione pubblica. A mio avviso è importante evitare che la riflessione che ne nascerà, con le necessarie conseguenze giuridiche, venga limitata alla dichiarazione di liceità o illiceità delle scelte rese possibili dalle scoperte scientifiche presenti e future. (…)
c) Il nuovo ordine mondiale
Non meno problematica, eppure non priva di possibili sbocchi positivi, è l’urgenza di edificare un nuovo ordine mondiale: le drammatiche guerre che devastano tante zone del pianeta, il terrorismo globale, le scandalose sperequazioni economiche che dividono il mondo, il degrado ambientale e, oggi, il male “oscuro” della cosiddetta crisi economica non possono non chiamare in causa l’impegno dei cristiani. È ovvio che, richiedendo ogni situazione degli interventi specifici, sarebbe impossibile, e metodologicamente errato, proporre delle ricette generali.
(…)
3. Nuova laicità e ruolo dei cattolici in politica
Le gravose problematiche sinteticamente richiamate ci riportano inevitabilmente al tema della nuova laicità e al ruolo delle religioni nella sfera pubblica. Infatti il meticciato di civiltà rende evidente che per molti popoli la riduzione privatistica della religione non ha senso. La bioetica e le neuroscienze suscitano interrogativi ultimi (religiosi) che riguardano l’esperienza originaria dell’uomo in sé e nel suo vivere sociale oggi. La pace si confronta col problema dei fondamentalismi quasi sempre connessi ad adulterazioni del “religioso”.
A proposito di una nuova laicità concordo con chi afferma la necessità che in una società plurale tutti promuovano la configurazione di una sfera pubblica plurale e religiosamente qualificata, in cui le religioni svolgano un ruolo di soggetto pubblico, ben separato dall’istituzione statuale e distinto dalla stessa società civile benché all’interno di essa . Quanto ai contenuti, la “nuova laicità” non potrà essere definita nei soli termini del rapporto giuridico Stato-Chiesa. Essa individua piuttosto nella società civile plurale lo spazio in cui tutti i soggetti incessantemente raccontino la concreta esperienza, integrale ed elementare, di vita personale e comunitaria, in vista di un riconoscimento reciproco. È una laicità che parte dai beni spirituali e materiali che siamo chiamati a condividere con tutti prima di affidarsi alle procedure pattuite, necessarie in uno Stato di diritto, per dirimere i conflitti, non certo eliminabili, anzi in una società plurale destinati a crescere.
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Accettando che la società plurale nella quale i cattolici sono oggi chiamati a vivere implica la necessità di un confronto a 360° con tutti i soggetti in campo, teso ad individuare i beni comuni sia spirituali che materiali e le politiche adeguate a promuoverli, i cattolici non devono rassegnarsi all’irrilevanza come cattolici. Al contrario, proprio perché la rappresentanza cattolica non è più garantita da un unico partito, ai fedeli laici è richiesto di saper concorrere al bene comune rendendo così pubblicamente ragione della fecondità sociale della propria fede. E questo ha delle conseguenze decisive per i contenuti ed il metodo dell’impegno politico. In pratica, operando in partiti diversi, i laici cattolici dovranno praticare il decisivo principio di distinguere nell’unito. Non dovranno perdere, nell’elaborazione e nell’attuazione dei programmi, il senso della comune appartenenza ecclesiale e mostrare che in necessariis (ci vuole) unitas. Questo esalterà la libertà nella sfera dell’opinabile. In ogni caso non farà venir meno in omnibus caritas.
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Oggi potremmo dire, in altre parole, che l’impegno politico dei cattolici deve necessariamente passare per la capacità della loro esperienza di fede di generare cultura (secondo la prospettiva indicata da Giovanni Paolo II ). Per questo l’azione dei politici deve partire dai bisogni/desideri propri dell’esperienza costitutiva dell’uomo. Cosa che domanda anche una corretta interpretazione culturale della fede. Bisogna evitare di cadere in due visioni parziali del rapporto tra cristianesimo e società civile. La prima è quella che riduce il Cristianesimo ad una religione civile, come mero collante etico per la nostra democrazia in difficoltà. L’altra è quella che tende a ridurre il Cristianesimo all’annuncio personale (basato su una concezione riduttiva di testimonianza) della pura e nuda croce di Cristo a favore di “ogni uomo”, privandola delle sue inevitabili implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche. In quest’ottica non avrebbe alcun senso un riferimento comune per l’impegno politico dei cattolici.
Invece una fede integralmente vissuta ha una irrinunciabile rilevanza antropologica, sociale e cosmologica, carica di conseguenze politiche assai concrete. Ovviamente, in una società plurale che come abbiamo già detto è per sua natura spesso conflittuale, non è affatto pacifico che questa visione della politica si accordi armonicamente con altre concezioni. Questo implica necessariamente un confronto serrato e sempre aperto tra ermeneutiche diverse. Come tener conto realisticamente di questo stato di cose? Promuovendo anzitutto il valore pratico dello stesso essere in società che, come tale, non richiede nessun accordo preventivo circa la sua fondazione ultima. (…)
Tuttavia è necessario richiamare, per concludere, che per il cristiano questo impegno civile, soprattutto quello politico, altro non è che il prolungamento, fatte le debite distinzioni, della logica della testimonianza intesa come metodo ad un tempo speculativo e pratico (non come pura generosità individuale, ma come concezione e metodo d’azione). Se io testimonio in modo personale, comunitario e pubblico in ogni ambito dell’umana esistenza, compreso quello politico e partitico, le mie convinzioni, non ledo il diritto di nessuno. Al contrario lo promuovo e metto in moto la virtuosa ricerca del “com-promesso nobile”, con il realismo di chi sa che vi sono principi non negoziabili e che non si dà convivenza civile senza sacrificare anche certi diritti che non siano fondamentali.

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