giovedì 31 gennaio 2013

IL «CREDO» DA RITROVARE NEL TEMPO DEL SÉ .MAGNIFICA LIBERTÀ


N
ei Paesi occidentali, la religione del Sé si avvia a diventare la nuova religione di Stato. Il Sé non è più, come l’inerzia del linguaggio ancora lascia in­tendere, il tema di una cura personale, intima, per co­sì dire privata. Ora, il Sé è il termine di una suprema devozione, il primo comandamento dell’etica pub­blica, il senso stesso dell’impegno collettivo (tutti per uno insomma, o comunque per pochissimi). L’am­bizione suprema del Sé è l’emancipazione da tutti i legami durevoli, la sua massima felicità è ri-creare o­gni giorno se stesso. Nella celebre versione di Stirner, il Sé appare quasi eroico nel suo progetto di auto­sufficienza; e persino liberale e modesto, nella sua coerente rinuncia a essere fondamento e sostegno per alcuno. Essere l’Unico, per se stesso, appunto. Niente altro. Questo tipo – c’è bisogno di dirlo? – non sa più nulla di che cosa significa essere persona, a­vere relazione, generare la vita e creare cultura al­l’altezza dell’umano migliore, che è comune. Questo tipo ce lo svaluta, l’umano comune, anche quando, apparentemente, non fa altro che prendersi cura di sé (appunto). Eppure lo abbiamo generato e gli ab­biamo voluto bene; lo abbiamo nutrito e cresciuto, persino sacrificando del nostro; lo introducemmo nel linguaggio e negli affetti; ci organizzammo per consentirgli di attingere al bene comune, che non si era ancora guadagnato, e ci allertiamo ancora ades­so, che è grande, per contenere l’autolesionismo al quale potrebbe essere indotto nei suoi momenti di disperazione.
  Insomma, questa religione del Sé non crea eroi, né uomini e donne adulti, degni di questo nome. Essa crea il parassita imperfetto: acciughina in barile che si illude di non essere schiavo di niente e di nessu­no, mentre se lo comprano e se lo rivendono quelli più svelti di lui (i parassiti perfetti, appunto). La reli­gione del Sé è un capolavoro dell’alienazione. Infat­ti, l’ha trasformata in autorealizzazione, rendendo sacro l’Io. Incantamento perfetto, che va conqui­stando le istituzioni, non solo il costume e gli stili di vita. Per uscire da questo incantamento bisogna che qualcuno incominci a uscirsene con la famosa fra­se:
 'Il Sé è nudo!'. Il Papa Benedetto XVI, nell’Anno della fede, ha inco­minciato a commentare il 'Credo'. Quello che reci­tiamo nella Messa (assai diverso da quello che dico­no in giro che sia il credo cristiano). Quello in cui Dio è confessato e adorato come l’antitesi perfetta – e persino impensabile – del comandamento narcisi­stico. Quello che racconta della generazione eterna, in cui Dio è fin dal principio. Quello che racconta della creazione come della grazia in virtù della qua­le siamo, pensiamo, viviamo. Quello che ci consegna il Figlio per il nostro riscatto da ogni perdizione del­la storia, e dona lo Spirito per la risurrezione da ogni nichilismo di morte. Quello che fa degli uomini una comunità di origine e di destino, affidata ai loro le­gami migliori e ai loro affetti più degni, dei quali la comunità cristiana è segno e strumento. Il Papa ha ricordato che il germe di questa fede, che infine ri­splende nell’irrevocabile legame umano del Figlio, è l’azzardo di Abramo, che accetta di uscire da sé.
  In tante nostre società, commenta Benedetto XVI, Dio è diventato «il grande assente», e al suo posto vi sono molti idoli, con tutte le loro ossessioni: a co­minciare dal possesso e dall’egocentrismo. I due, in­sieme, sono semplicemente devastanti. Il credo cri­stiano «in Dio» è la parola del disincantamento del­la quale abbiamo di nuovo bisogno, per riprenderci dalla paralisi della pseudo-religione 'di Io': una ve­ra e propria macchina della depressione, che ci ren­de schiavi e ostaggi della disonesta ricchezza. La re­ligione del Sé ci toglie l’orgoglio di appartenere al genere umano, svuota di felicità la nostra meravi­gliosa attitudine a generare umani dall’animo gran­de, ci toglie la passione per le sfide più esaltanti del­la vita comune. Il Dio del 'Credo' vuole essere a­mato come Padre e non subìto come il faraone. In altri termini, vuole «essere creduto». Sarà necessa­rio un lungo periodo di riabilitazione, per ritorna­re alla magnifica libertà di credere in Dio. Ma pos­siamo
 farcela. 

Nessun commento: