Nella confusione che serpeggia nella mente e nei cuori di noi “moderni”, dove la ragione è ridotta a un meccanismo chiuso e soffocante (e si ha persino vergogna del proprio umano così come il Mistero l’ha fatto con tutte le sue domande che “esigono” non una, ma “la” risposta), dove il nichilismo – come a tutti è stato ricordato recentemente da don Julián Carrón a Rimini – ci invade molto più di quello che possiamo aspettarci, sembra davvero strano e fuori dal tempo ridire queste due parole che sono autorità e obbedienza e che descrivono i fattori con cui l’uomo di ogni epoca ha dovuto misurarsi per veder crescere e fiorire realmente la propria personalità. Sono i fattori più decisivi per scoprire se stessi e di che cosa è fatta la realtà, al punto che Cristo, il figlio di Dio, ce li ha mostrati in tutto il loro valore assoluto, esistenziale, drammatico e ragionevole. Senza vera autorità e senza obbedienza piena di ragioni non si va da nessuna parte, anzi si proclama che tutto è niente e perciò sarà tolta all’uomo la vera conoscenza del reale.L’autorità è Dio stesso ed è posta da Lui con lo scopo unico di valorizzare e far fiorire ogni singolo io. Da subito con la presenza della mamma e del padre e poi con quella che lo Spirito suscita nella storia della Chiesa e che ha nel Papa il suo vertice e la sua garanzia. Lei sola con la sua discrezione, col suo amore gratuito e con la sua intelligenza luminosa sa indicare la strada che io sono chiamato a fare, mi conforta, mi è di aiuto. Basta riconoscerla e seguirla, basta obbedire al vero bene posto alla mia vita, specialmente nell’ora della prova.Quanti errori facciamo e quanto tempo perdiamo saltando questo fattore. Mi torna in mente la frase “perché agitarsi tanto quando è così semplice obbedire?”. L’obbedienza e il riferimento all’autorità non sono un di meno ma al contrario ci permettono di scoprire la Presenza che ci fa e di cui tutto consiste. Amare l’autorità e obbedire segnalano il vero amore a noi stessi e al nostro Destino.Questo ci testimonia la lettera che un amico mi ha mandato e che volentieri pubblichiamo.
paldo.trento@gmail.com
Caro padre Aldo, è stata una grazia
inattesa per me poter stare in tua compagnia per alcuni giorni in Italia. Ho così deciso di scriverti per dirti cosa ho imparato su due fattori della vita che non vanno molto di moda e che da molti, compreso me stesso, vengono considerati in modo ridotto e perciò non vero: l’obbedienza e l’autorità.
Ricordo che quando sei stato invitato a un incontro tra amici ci hai raccontato quel fatto che ti è accaduto anni fa, e cioè di una farfalla tropicale bellissima, azzurra con macchie nerastre e cerchi perfetti. Ci hai detto che con alcuni amici dovevi attraversare una selva per arrivare alla casa-mostra di un famoso filantropo svizzero e vi eravate perciò inoltrati in questa foresta. Era facile perdersi ma la farfalla appariva a tratti e in modo evidente segnalando la direzione giusta. Poi spariva. E ancora si faceva vedere quando c’era bisogno e la via da seguire appariva incerta. Sempre così fino al raggiungimento della meta. La splendida farfalla agì in questo modo anche per il viaggio di ritorno: appariva e scompariva. Il tuo commento fu il seguente: «Questa è la vera autorità, una presenza discreta che ti aiuta a camminare, solo che tu la guardi e la riconosci ma non si sostituisce mai a te nel cammino che devi fare».
Penso tuttora a come voglio io imparare a guardare la realtà così! Davvero tutto è segno del Mistero, anche la farfalla tropicale.
Mi hai fatto riscoprire il valore incomparabile dell’autorità che è come il punto più certo che ci è dato per camminare sicuri, perché ha a cuore la mia vita più di quanto ce l’abbia io, perché ha acutezza e vede più in là di me, e mi educa al fatto che sono di un Altro, sollecitando così la mia libertà vera. Pensando a Carrón, anche se posso non vederlo mai, mi è apparso chiarissimo: chi più di lui ama la mia vita? E potrei non averci mai parlato! L’autorità è lì davvero per esaltare la nostra persona così come Dio l’ha pensata.
L’altro fattore è l’obbedienza, soprattutto quando obbedire sembrerebbe una ingiustizia. Vedendoti in azione ho imparato che se si fa memoria di Cristo anche una grave ingiustizia diventa la più sublime giustizia che ci sia. «Gesù è stato in silenzio davanti a Pilato e a Erode», mi hai detto, e in quel momento ho cominciato a capire che il senso vero e stranamente (nel senso di “estraneo” al modo solito di ragionare) positivo dell’obbedienza è che dentro il rapporto con l’autorità diventa scoperta nuova del Mistero ora, ti permette quel riconoscimento della Presenza che senza quella precisa prova e quel dolore non sarebbe accaduto e perciò ti libera perché solo la Sua conoscenza ora ci libera. Ho visto questa cosa guardandoti: è come se invece di deluderti la prova aumentasse la tua conoscenza effettiva e affettiva del Mistero che ci fa dentro le vicende concrete e umane della nostra vita.
Sempre a quell’incontro ci hai poi detto che «il punto è Cristo ma per arrivare a poter vivere questo occorre un lungo cammino, non è automatico. Recentemente ho conosciuto un missionario del Pime che da sessant’anni vive in Amazzonia e mi ha detto che si può amare di più la missione che Cristo! Questo mi ha aiutato a capire che ogni circostanza rivela che la suprema forma di giustizia che c’è è la Sua. “Il mio Giusto vivrà di fede”». Sono andato a rileggermi cosa dice don Giussani. «La fede è un giudizio nuovo sulla realtà, su “ciò che val la pena di vivere”. Tutto deriva dalla risposta che diamo a questa domanda. A una tale risposta la Scrittura si riferisce quando dice: “Il mio Giusto vive di fede”. La fede è un giudizio sul valore della vita e del mondo che è Cristo stesso».
E ancora rispetto alla questione dell’obbedienza mi è tornato alla mente cosa mi diceva mia nonna, nata nel 1899 e morta a 97 anni: «Meglio un’obbedienza che cento anni di penitenza», e: «A obbedire non si sbaglia mai, sbaglierà chi ti ha dato il comando casomai», poi ancora: «L’obbedienza deve essere lieta, pronta e ragionevole». Che saggezza!
Infine non so perché ma mi è tornato alla mente una cosa raccontata da don Giussani di quando era ragazzo ed era inquieto: «Quando io ero in prima liceo, c’è stato un momento di “romanticismo panico”, in cui piangevo sempre, perché mi ero accorto che non sarei mai stato come Raffaello, come Michelangelo, come Beethoven; piangevo, andavo a letto la sera e piangevo, e questo per parecchi giorni. Poi, quello che mi ha “risolto” è stato scoprire che, se facevo bene l’ora di studio e osservavo la regola come espressione di me stesso, se facevo bene la cosa che avevo davanti, fare bene una piccola cosa era un’opera più grande che neanche le sinfonie di Beethoven, perché era un ordine, era una perfezione, era una musica, una poesia. Allora mi sono calmato e non ho pianto più. Così ve lo dico adesso».
Ecco, caro padre Aldo, mi pare proprio che la tua vita sia andata e stia andando così! Grazie di essere quello che vedo e di renderci consapevoli che il Mistero è davvero accessibile a noi sempre e comunque.
Lettera firmata
Nessun commento:
Posta un commento