martedì 8 gennaio 2013

IL CUORE DELL 'UMANITA' - Inquietudine da salvare


Benedetto XVI ha molto cari i Magi. L’Epifania è per lui negli anni l’occasione di tornare a parla­re con passione di quei re d’Orien­te in marcia, da terre lontane, ob­bedienti al segno di una stella: se­gno riconoscibile a una sapienza di astronomi, ma, certo, appena in­tuito, e non ancora dimostrato né certo. Cui pure i tre si tennero fe­deli, come splendidamente rac­conta quella poesia di Eliot che di­ce del duro inverno in cui i tre in­trapresero il cammino; del fango, dei cammelli sfiniti e indocili, e an­che della umana nostalgia delle di­more lasciate. E ancora, narra Eliot, i cammellieri che imprecavano, e pretendevano donne, e liquori; e i fuochi che nella notte fredda si spe­gnevano, e i paesi ostili: «Infine pre­ferimmo viaggiare di notte,/ dor­mendo di quando in quando,/ con le voci che ci canta­vano nelle orecchie/ dicendo che questo era tutta follia».
  Anche quest’anno Benedetto XVI sem­bra tornare con per­sonale immedesi­mazione a quel pe­regrinare da terre lontane, suscitato da una speranza, da un segno, che pure non era probabile né provato. E tuttavia i Magi, uomi­ni dal cuore inquieto, hanno dovu­to mettersi in cammino: non paghi della ricchezza, né della posizione sociale, e nemmeno della propria sapienza. Costretti da una sete più grande. «Non volevano soltanto sa­pere tante cose. Volevano sapere l’essenziale», ha detto Benedetto, rivolto ai quattro nuovi vescovi – ma, in fondo, non anche a tutti noi? Se l’elogio di questa inquietudine di timbro agostiniano è il primo fi­lo forte dell’omelia, e un tema caro a un Papa che in quella domanda i­nesausta pare riconoscere la trama della sua vita, c’è però un secondo filo, altrettanto teso, ed è quello del coraggio. Ci voleva coraggio, per an­dare verso l’ignoto solo sulla base di un misterioso segno di stelle. E cer­to si può immaginare che attorno alle sontuose corti in cui fervevano i preparativi per la partenza i ragio­nevoli, i benpensanti fra loro na­scostamente ridessero: di quell’an­sia di andare, a cercar cosa? Un bambino, figurarsi; un Re, e di qua­le regno? «Ma la ricerca della verità era per i Magi più importante della derisione del mondo, apparente­mente intelligente», ha detto il Pa­pa. Avvertendo che la sfida perma­ne, e l’umiltà della fede confligge ancora con la cultura dominante «di chi si attiene a ciò che apparen­temente è sicuro».
  Ed è la quotidianità nostra questa, è il divario fra chi pretende che il reale sia solo ciò che si può misu­rare e sperimentare, e chi invece lo avverte tanto più grande, tanto so­pravanzante la nostra umana co­noscenza. È il salto fra chi in un em­brione vede solo quattro cellule di cui disporre come di cose, e chi in­vece già vi riconosce il destino di un
 uomo. Di modo che quei tre re che oggi mettiamo via con il presepe sono figure fondanti di un’umanità autenticamente cristiana. Non li abbiamo forse noi stessi in qualche modo ridotti, infantilmente immaginandoli in tranquillo cammino verso un già riconosciuto e osannato salvatore? Tutto invece era così incerto e oscuro in quel viaggio, e tanto più facile sarebbe stato restare tranquilli a casa. E poi quella voce, che nella notte insinuava: follia, soltanto, è stata follia il partire. Non li conosciamo anche noi questi dubbi, noi poveri cristiani in questo giovane anno 2013? L’inquietudine e il coraggio che il Papa domanda ai suoi vescovi, riguarda anche noi. È lo splendente animo del vir desideriorum del Libro del profeta Daniele, che Benedetto XVI cita nel Gesù di Nazaret: la tensione interiore di chi «non si accontenta della realtà esistente e non soffoca l’ inquietudine del cuore, quell’inquietudine che rimanda l’uomo a qualcosa di più grande». È il coraggio di mantenersi tenacemente dentro una ragione tanto grande, da ammettere che qualcosa la supera. Di proseguire come quei tre, per strade ignote e nel buio; gettandosi all’alba alle spalle le voci della notte, che sussurravano: questa è solo follia. 
 Marina Corradi
 

Nessun commento: