giovedì 10 gennaio 2013

I gigli del campo e gli uccelli del cielo



 «D
io ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (Catechismo, 319).
  La parabola dei gigli del campo e degli uccelli del cielo (Matteo 6,26­30; Luca 12,24-28) permette d’identificare una delle principali fonti ispiratrici delle parabole di Gesù: il creato; l’altra è la vita quotidiana degli uomini. Di fronte alle preoccupazioni per il domani, Gesù conduce i discepoli in aperta campagna, verso la contemplazione del creato. Negli uccelli del cielo e nei gigli dei campi contempla la provvidenza di Dio che li nutre e li riveste. Precisiamo che la sua non
 è una visione idilliaca della vita, né tanto meno bucolica, ma realistica e, con alcune parabole, drammatica. Sa bene che insieme al grano c’è la zizzania, che con il buon pastore ci sono i mercenari delle pecore e i vignaioli che cercano d’impossessarsi della vigna, mettendo a morte il figlio del padrone. Tuttavia nutre una fiducia sconfinata nel Padre che se si prende cura del creato, quanto più si cura degli uomini di poca fede. Ogni giorno chiediamo con il Padre Nostro che ci doni il pane quotidiano, ma siamo noi a procurarcelo non soltanto per il presente, ma anche per i futuro prossimo e remoto. L’impatto irriducibile della parabola non consiste nel darsi all’ozio perché tanto Dio si prende cura di noi, bensì nello spazio che offriamo alla sua provvidenza: un termine che abbiamo ormai bandito dal vocabolario della fede. Su I gigli dei campi e gli uccelli del cielo, è tornato S. Kierkegaard che ha saputo cogliere il nocciolo del problema ponendo l’accento sulle condizioni che poniamo continuamente alla nostra fede, destinata a restare sempre piccola e a non crescere mai: «Il giglio e l’uccello, i gioiosi maestri di gioia, sono la gioia stessa perché sono incondizionatamente gioiosi. Colui infatti la cui gioia dipende da determinate condizioni non è la gioia stessa, la sua gioia è nelle condizioni, è condizionata da esse».  di Antonio Pitta
 

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