domenica 13 gennaio 2013

L’unica strada per riconquistare la famiglia (e l’io): non essere soli


Il dibattito attuale sulla famiglia come istituzione valida o meno per questo secolo è diffuso e molto acceso. Durante questo mese e nell’ultimo anno, così speciale, dedicato alla famiglia, abbiamo seguito don Julián Carrón e papa Benedetto XVI nei loro straordinari discorsi su questo tema. Da una parte, il dibattito «ha messo in evidenza che tutta la propaganda di una mentalità contraria alla famiglia attraverso i mezzi di comunicazione non è riuscita a impedire che tante persone continuino a fare un’esperienza positiva di questa». Molti, infatti, continuano a considerarla un bene. «Ma dall’altra parte constatiamo che questo bene sperimentato non è riuscito a frenare socialmente i tentativi di trasformare il matrimonio in altre forme diverse». È necessario aggiungere un dato non meno significativo: «Questo processo è cominciato quando la maggior parte della legislazione sul matrimonio difendeva la concezione tradizionale derivata dal cristianesimo!», cioè: «Tutta questa legislazione non ha impedito il dilagare di una mentalità contraria al matrimonio, non è stata in grado di arrestare il cambiamento».
Come dice il Papa: «Le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può mai essere redento semplicemente dall’esterno». Quindi è necessario dire che stiamo vivendo un nuovo inizio perché «non si può dare per scontato niente di ciò che fino a poco tempo fa era chiaro a tutti. Dobbiamo ricominciare».
Il Papa spiega che un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale, nell’ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c’è una simile possibilità di addizione… «La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio».
Come ricominciamo il cammino? Come riconquistare la famiglia? È possibile solo riconquistando l’io! «Per riguadagnarlo occorre riandare all’origine amorosa, per riscoprire la sua vera natura», propone Carrón. Il Papa lo spiega in maniera bellissima: «La questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui».
E come si può riscoprire la verità sull’uomo? Nel proprio rapporto con la persona amata! In questa relazione si scopre la vocazione umana, nel grande paradosso che consiste nel fatto che nell’amore fra l’uomo e la donna: «due infiniti si incontrano con due limiti; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare».
Gli sposi suscitano l’uno nell’altro una sete, un desiderio di amore e di pienezza che nessuno dei due potrebbe saziare, riempire. «Solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno».
È in questo contesto che diventa necessario, indispensabile riconoscere Gesù Cristo come «il centro dell’affettività e della libertà dell’uomo. Ponendo se stesso al cuore degli stessi sentimenti naturali, si colloca a pieno diritto come loro radice vera».
«Non si tratta di una ingerenza di Gesù a livello dei sentimenti più intimi, ma della più grande promessa che l’uomo abbia potuto mai ricevere: senza amare Cristo, la Bellezza fatta carne, più della persona amata, quest’ultimo rapporto avvizzisce, perché è Lui la verità di questo rapporto, la pienezza alla quale l’un l’altro si rinviano e nella quale il loro rapporto si compie. Solo permettendogli di entrare in esso è possibile che il rapporto più bello che può accadere nella vita non si corrompa e con il tempo muoia».
Questa è la novità cristiana che spiega la vera natura umana, si chiama verginità: «Il nuovo rapporto assolutamente gratuito che Cristo ha introdotto nella storia. La verginità è vivere le cose secondo la loro verità. E come è entrata nel mondo la verginità? È entrata nel mondo come imitazione a Cristo… l’immedesimazione con la modalità attraverso cui Cristo possedeva la realtà, cioè secondo la volontà del Padre».
Per chi incontra Cristo diventa possibile un rapporto con il reale (sessuale, familiare, di qualunque tipo) assolutamente gratuito. Per questo «chi abbraccia la verginità può essere libero di non sposarsi». Accettando la verginità anche nel matrimonio mettiamo in rilievo il suo vero significato, la sua bellezza. La verginità è l’autentica speranza per gli sposati; è la radice della possibilità di vivere il matrimonio senza pretesa e senza inganni. La verginità tiene viva nella Chiesa la coscienza del mistero del matrimonio e lo difende da ogni riduzione e da ogni impoverimento (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio). Infatti, «il momento culminante del rapporto tra gli sposi è quando si sacrificano, non quando esprimono il loro possesso. Perché per il peccato originale, di fatto, l’afferrare fa scivolare. È come se uno desidera una cosa e corre verso questa cosa e quando è lì vicino, corre talmente che vi si spacca il naso contro: scivola, incespica».
Qui appare in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: «Favorire un’esperienza del cristianesimo per la pienezza della vita di ciascuno! Solo nell’ambito di questa relazione più grande ciascuno trova il suo compimento umano, sorprendendo in se stesso una capacità di abbracciare l’altro nella sua diversità, una gratuità senza limiti, di un perdono sempre rinnovato. Senza comunità cristiane capaci di accompagnare e sostenere gli sposi nella loro avventura, sarà difficile, se non impossibile, che essi la portino a compimento felicemente».
Adesso che si avvicina la festa della Pentecoste, si rende ancora più importante la conclusione di Carrón in riferimento alla ricostruzione che salva la famiglia e l’io: «Il superamento della solitudine nell’esperienza dello Spirito di Cristo non accosta l’uomo agli altri, lo spalanca a essi fin dalle profondità del suo essere (…). La comunità diventa essenziale alla vita stessa di ognuno». Che lo Spirito Santo ci aiuti a vivere in questo modo

paldo.trento@gmail.com

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