la lettera di Antonio Simone a proposito della Nota di CL sulla situazione politica, pubblicata sull’ultimo numero di Tempi (n. 2, 16 gennaio 2013, p. 11), mi ha suggerito l’urgenza di alcune precisazioni che ti sottopongo.
Innanzitutto, qual è il motivo per cui abbiamo scritto quella Nota? Lo dichiariamo nelle prime righe: i mezzi d’informazione continuano irrimediabilmente a etichettare vari personaggi come “politici di CL” e, visto che alcuni di loro stanno manifestando opzioni politiche diverse, questo fatto dimostrerebbe una divisione interna al Movimento. Per questo già il titolo della lettera di Simone − «Lettera ai ciellini candidati…» − pone i presupposti per il rinnovarsi dell’ambiguità che la Nota intendeva contestare.
L’interrogativo a cui risponde la Nota è: è vero che oggi CL è spaccata perché alcune persone che provengono dal movimento si stanno schierando su fronti politici diversi? La nostra risposta – molto chiara e non equivocabile – è: no. E la ragione è perché «l’unità del movimento non è una omologazione politica, tanto meno si può identificare con uno schieramento partitico, ma è legata all’esperienza originale di CL (e in questo viene prima di qualunque opinione o calcolo pur legittimo)».
Una divisione, come ogni ferita, non può che generare dolore, ma di quale divisione stiamo parlando? Di quale non unità? Quella di non militare tutti nello stesso schieramento o di non suggerire di votare tutti lo stesso partito?
Quello che emerge chiaramente nella nota di CL − e anche nelle frasi di don Giussani riportate nella lettera di Simone − è che l’unità per noi è un dato di partenza, che va riconosciuto ed espresso con chiarezza. Ed è sull’attaccamento a questo dato di partenza che si misura la tensione all’unità di ciascuno, prima di qualsiasi altra considerazione sulle conseguenze, anche politiche. Tanto che da questo nasce l’impeto per un giudizio comune e condiviso, e anche il rammarico se le circostanze storiche non lo consentono. Sarebbe negare tutta la nostra storia (personale e comunitaria), se dal fatto che non facciamo la stessa cosa, in politica come in ogni altro aspetto della vita, si desumesse che il Movimento non c’è più o è diviso.
La forza della fede è nella capacità di intervenire su tutti gli aspetti dell’esperienza umana; e perciò, poiché è proprio la fede il fattore determinante della nostra unità, anche quando possiamo pensarla diversamente su questioni contingenti, siamo tutti tesi a imparare l’uno dall’altro, senza accusare o pretendere niente. Scopo di CL è proprio l’educazione della persona, la costruzione di un soggetto umano in grado di testimoniare la ragionevolezza della fede, cioè di giudicare.
Questo introduce anche l’altro punto della lettera che potrebbe essere fonte di equivoci, cioè la conclusione richiamata nel suo titolo: «… in attesa di giudizio comune». Ma è proprio questo il punto qualificante della Nota: il “giudizio comune” sono esattamente i punti 1 e 2 della Nota di CL, quando si dice che «il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto essa implica uno spazio e delle possibilità espressive» e che, secondo, «per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo di affronto dei problemi sia pratici che teorici da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società». Che la comunità cristiana in quanto tale sia il primo soggetto politico per un cristiano è il punto che viene sistematicamente eluso in qualsiasi contesto, delegando a individui o gruppi la propria rappresentatività nelle istituzioni.
Se non si comprende questo, si equivoca anche il richiamo giussaniano a quella «irrevocabile distanza critica» di CL dai tentativi di chi sceglie di impegnarsi in questo o quell’aspetto del reale.
Simone afferma che la ragione di questa distanza sarebbe la protezione della Chiesa (o del Movimento) da possibili ricadute su di essa degli errori dei singoli. E questo è giusto, ma c’è una seconda preoccupazione che impone questa distanza critica: ed è la stima e la difesa della libertà del singolo, un’affermazione positiva della sua possibilità di crescere rischiando e anche sbagliando.
Pertanto, per quanto riguarda CL, il giudizio comune c’è già: è l’esperienza presente (!) della comunità cristiana, come offerta continua di criteri con cui paragonarsi e come possibilità di condividere la vita per crescere, nell’immanenza ad essa, come soggetti in grado di testimoniare ovunque − anche in politica − la diversità umana che nasce dalla fede.
Grazie dell’ospitalità.
Andrea Simoncini, Consiglio di Presidenza di CL
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