- Il chiostro del convento di via Bellotti a Milano.
Madre Geltrude Arioli, priora di un monastero benedettino a Milano, racconta dalla clausura l'attesa per il nuovo Papa. «Per noi che abbiamo come carisma l'adorazione eucaristica, è un tempo intensissimo di preghiera continua»
«È per me?» aveva chiesto Benedetto XVI alle monache che da dietro le transenne allungavano l’icona con l’immagine dell’Anastais: Gesù che prende per mano Adamo ed Eva. Era il 2 giugno 2012, il Papa aveva recitato l’Ora media con i religiosi nel Duomo a Milano. Madre Geltrude Arioli, priora delle monache benedettine di clausura dell’Adorazione Perpetua, ha ancora negli occhi e nel cuore quell’incontro durato pochi minuti, quando il Papa, percorrendo la navata, si era fermato. Nel monastero di via Bellotti ricorda: «Aveva gli occhi di un bambino stupefatto. Ma lo sguardo era quello di un padre».
L’11 febbraio la decisione di Benedetto XVI di ritirarsi, il 28 l’ultimo saluto. In questo tempo di attesa anche un po’ di trepidazione, Madre Geltrude quale è stato il suo pensiero?
Innanzitutto che il gesto del Papa è stato un atto di grande fede. Benedetto XVI è certo che la Chiesa non è in mano al Papa. La Chiesa è in mano a Cristo, a Dio e allo Spirito Santo. In secondo luogo, sa di non essere indispensabile. Un atto di fede, che ha aperto uno spazio nel suo cuore e in quello della Chiesa per accogliere la Grazia dello Spirito Santo, che agisce in modo misterioso, e volte anche rivoluzionario. Pensiamo all’elezione di Giovanni XXIII. Dicevano: un Papa anziano, quindi di transizione; e invece, superando i calcoli umani, ha indetto il Concilio Vaticano II, aprendo una stagione nuova per la Chiesa. Bisogna essere umili per seguire Cristo. E Benedetto XVI lo è.
Ma allora che significato hanno questi giorni di sede vacante?
È un tempo straordinario. È un momento di grande vita, non di assenza. I tempi “vuoti” quando sono creati da gesti di umiltà sono lo spazio per l’incarnazione di Dio. Un vuoto pieno. Dio per incarnarsi nella storia ha bisogno che gli si faccia spazio nella povertà del cuore, nell’umiltà. Per noi suore di clausura questo è un momento di speranza forte.
In che senso?
Non come la si intende normalmente, come un generico augurio, bensì speranza teologale, cioè la certezza assoluta che lo Spirito guida la Chiesa e sta preparando un futuro di salvezza. Il tempo è di Dio. Noi viviamo una dimensione del tempo speciale attraverso la liturgia, che ridà significato alle ore, ai giorni, inserendole nel mistero di Cristo. Per noi vivere questo tempo significa recuperare tutto il passato con una memoria piena di gratitudine, come ha detto Benedetto XVI nell’ultima udienza. Vuol dire vivere il presente di Dio sotto il cui sguardo la nostra vita si svolge e vivere il futuro con la coscienza che Dio non abbandona mai la sua Chiesa. Nonostante le mancanze, i peccati, le nefandezze. Pensi, Cristo ha scelto Pietro, che per ben tre volte lo aveva rinnegato, come pietra su cui costruire la sua Chiesa.
È quindi un tempo di preghiera?
Certo. Per noi che abbiamo come carisma, insieme alla liturgia benedettina, l’adorazione eucaristica, è un tempo intensissimo di preghiera continua. Anche durante il lavoro o la vita comunitaria, il nostro pensiero è costantemente rivolto alla situazione della Chiesa. Inoltre, sono convinta che lo smarrimento culturale, etico in cui viviamo - pensiamo alla situazione italiana - possa ricevere indirettamente una luce di speranza dalla fede della Chiesa.
Ma ai fedeli cosa è chiesto in questo tempo di vuoto pieno, come lei lo ha definito?
Il fedele deve entrare in questa prospettiva di speranza dell’azione dello Spirito Santo, ma anche di conoscenza della paternità di Dio che si esprime attraverso la Chiesa e il Papa. Forse è la prima volta che i fedeli scoprono che il Papa è papà, scoprono questa paternità così intensa, così umile e così vicina. Benedetto XVI ha ripetuto che uno trova la vita nel momento in cui la dona, la sacrifica. Il suo gesto è stato questo. Inoltre, penso che varrebbe la pena in questi giorni rileggere i capitoli 13 e 17 di san Giovanni. Sarebbe di grande aiuto.
Perché?
Gesù dice: «Ora me ne vado, ma ritornerò». È il tempo dell’attesa. È giusto che Gesù se ne vada perché venga il Paraclito. È un momento in cui il nostro sguardo si sottrae a una paternità visibile per preparare il nostro cuore a ricevere in modo più pieno lo Spirito Santo. È un’occasione preziosa per educare i fedeli alla preghiera. La mentalità comune vede nella Chiesa un’organizzazione, nel migliore dei casi una realtà che deve dare, un po’ come accade per la famiglia; invece dobbiamo ricordarci che amare non significa solo ricevere, ma anche dare. La grazia del Signore educa ogni fedele a pregare per la Chiesa perché lui, come il Papa, i vescovi, i sacerdoti è parte di questo «corpo vivente».
Paola Bergamini
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