"È bello riflettere oggi, in questa basilica, su quest'invito all'unità". Si è riferito al "forte appello all'unità ecclesiale", contenuto nella lettera di Paolo agli Efesini, il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano nell'omelia pronunciata durante la messa pro eligendo Romano Pontifice presieduta martedì mattina, 12 marzo, nella basilica di san Pietro. Questo il testo dell'omelia.Cari cardinali concelebranti, distinte autorità, fratelli e sorelle nel Signore!
"Canterò in eterno le misericordie del Signore" è il canto che ancora una volta è risuonato presso la tomba dell'apostolo Pietro in quest'ora importante della storia della Chiesa. Sono le parole del Salmo 88 che sono fiorite sulle nostre labbra per adorare, ringraziare, supplicare il Padre che sta nei cieli. Misericordias Domini in aeternum cantabo: è il bel testo latino, che ci ha introdotto nella contemplazione di Colui che sempre veglia con amore, con misericordia verso la sua santa Chiesa, sostenendola nel suo cammino attraverso i secoli e vivificandola con il suo Santo Spirito.
Anche noi oggi con tale atteggiamento interiore vogliamo offrirci con Cristo al Padre che sta nei cieli per ringraziarlo per l'amorosa assistenza che sempre riserva alla sua santa Chiesa ed in particolare vogliamo ringraziarlo per il luminoso Pontificato che ci ha concesso con la vita e le opere del venerato Pontefice Benedetto XVI, al quale in questo momento rinnoviamo tutta la nostra gratitudine.
Allo stesso tempo noi vogliamo implorare dal Signore che attraverso la sollecitudine pastorale dei padri cardinali voglia presto concedere un altro buon Pastore alla sua santa Chiesa. Certo, ci sostiene in quest'ora la fede nella promessa di Cristo sul carattere indefettibile della sua Chiesa. Gesù, infatti, disse a Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (cfr. Mt 16, 18).
Miei fratelli, passiamo ora alle letture della Parola di Dio che or ora abbiamo ascoltato. Sono letture che ci aiuteranno a comprendere meglio la missione che Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi Successori.
La prima lettura ci ha riproposto un celebre oracolo della seconda parte del libro di Isaia, quella parte che è chiamata "il Libro della consolazione" (Is 40-66). È una profezia rivolta al popolo d'Israele destinato all'esilio in Babilonia. E a quel popolo sofferente che cosa annunzia Dio? Dio annunzia l'invio di un Messia pieno di misericordia, un Messia che potrà dire: "Lo spirito del Signore Dio è su di me... mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61, 1-3).
Il compimento di tale profezia si è poi realizzato appieno in Gesù, venuto al mondo per rendere presente l'amore del Padre verso gli uomini. È un amore che si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, con l'ingiustizia, con la povertà e con tutte le fragilità dell'uomo, fisiche e morali. È nota al riguardo la celebre enciclica del Papa Giovanni Paolo II Dives in misericordia, Dio ricco in misericordia. E il Papa al riguardo annotava: "Il modo in cui si manifesta l'amore viene appunto denominato nel linguaggio biblico "misericordia"" (ibidem, n. 3).
Questa missione di misericordia è stata affidata da Cristo in modo particolare ai Pastori della Chiesa. È una missione che impegna ogni sacerdote e vescovo, ma è una missione che impegna ancor più il vescovo di Roma, il pastore della Chiesa universale. A Pietro, infatti, Gesù disse: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?... Pasci i miei agnelli" (Gv 21, 15). È noto il commento di sant'Agostino a queste celebri parole di Gesù: "Sia pertanto compito dell'amore pascere il gregge del Signore"; sit amoris officium pascere dominicum gregem (In Iohannis Evangelium, 123, 5; PL 35, 1967).
Ed in realtà, fratelli e sorelle nel Signore, è proprio quest'amore che spinge i pastori della Chiesa a svolgere la loro missione di servizio agli uomini di ogni tempo, dal servizio caritativo più immediato fino al servizio più alto, quello di offrire agli uomini la luce della fede, la forza della grazia di Cristo.
Così lo ha indicato Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima di questo anno (cfr. n. 3). Leggiamo, infatti, in tale messaggio queste profonde parole: "Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine "carità" alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. È importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l'evangelizzazione, ossia il "servizio della Parola". Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio: è l'annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo" (cfr. n. 16).
La seconda lettura, poi, è tratta dalla Lettera agli Efesini, scritta dall'apostolo Paolo proprio in questa città di Roma durante la sua prima prigionia, negli anni 62-63 secondo gli storici.
È una lettera sublime nella quale Paolo presenta il mistero di Cristo e della Chiesa. Mentre la prima parte è piuttosto dottrinale (cap. 1-3), la seconda, dove si inserisce il testo che abbiamo ascoltato, è di tono più pastorale (cap. 4-6). Ed in questa parte Paolo Insegna le conseguenze pratiche della dottrina presentata prima e comincia con un forte appello all'unità ecclesiale: "Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ef 4, 1-3).
Ed è bello riflettere oggi, in questa basilica, su questo invito all'unità dei cristiani. E san Paolo spiega poi che nell'unità della Chiesa esiste certo una diversità di doni, secondo la multiforme grazia di Cristo, ma questa diversità è in funzione dell'edificazione dell'unico corpo mistico di Cristo: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo" (cfr. 4, 11-12). È proprio per l'unità di questo suo Corpo mistico che Cristo ha inviato il suo Santo Spirito e poi ha stabilito i suoi apostoli, fra cui primeggia Pietro come fondamento visibile di questa unità della santa Chiesa.
Nel nostro testo, poi, san Paolo ci insegna che anche ognuno di noi deve collaborare ad edificare questa unità della Chiesa, dicendo che per realizzarla è necessaria "la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro" (Ef 4, 16). Tutti noi, quindi, siamo chiamati a cooperare coi pastori, questi in particolare con il successore di Pietro, per ottenere questa unità nella santa Chiesa.
Ed infine, miei fratelli, il Vangelo ci riporta all'ultima cena, quando il Signore disse ai suoi Apostoli: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15, 12). Il testo si ricollega così anche alla prima lettura del profeta Isaia sull'agire del Messia, per ricordarci che l'atteggiamento fondamentale dei pastori della Chiesa è l'amore. È quell'amore che ci spinge ad offrire la propria vita per i fratelli. Ci dice, infatti, Gesù: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 12).
L'atteggiamento fondamentale di ogni buon Pastore è quindi offrire la propria vita per gli altri (cfr. Gv 10, 15). Questo vale soprattutto per il successore di Pietro, perché quanto più alto e più universale è l'ufficio pastorale, tanto più grande deve essere l'amore del pastore. Per questo nel cuore di ogni successore di Pietro sono sempre risuonate le parole che il divino Maestro rivolse un giorno all'umile pescatore di Galilea: Diligis me plus his? Pasce agnos meos... pasce oves meas; "Mi ami più di costoro? Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecorelle!" (cfr. Gv 21, 15-17).
Ed è nel solco di questo servizio d'amore verso la Chiesa, e poi verso l'umanità intera, che gli ultimi Pontefici sono stati artefici di tante iniziative benefiche verso i singoli, verso i popoli e verso la comunità internazionale, promuovendo la pace, la giustizia e l'ordine mondiale. Preghiamo perché il futuro Papa possa continuare quest'incessante opera a livello mondiale.
Del resto, questo servizio di carità fa parte proprio della natura intima della Chiesa. L'ha ricordato il Papa Benedetto XVI dicendoci: "Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" (Lettera apostolica in forma di motuproprio Intima Ecclesiae natura, 11 novembre 2012, proemio; cfr. Lettera enciclica Deus caritas est, n. 25)
Ed è questa missione di carità che è propria di tutta Chiesa, ma come già detto è in modo particolare propria del pastore della Chiesa di Roma, propria di tutta questa Chiesa di Roma che, secondo la bella espressione di sant'Ignazio d'Antiochia, è la Chiesa che "presiede alla carità", praesidet caritati, proprio in una lettera che Ignazio, nel primo secolo, martire per Cristo dirigeva ai romani (cfr. Ad Romanos, praef.; Lumen gentium, n. 13).
Miei fratelli, preghiamo quindi perché il Signore ci conceda un Pontefice che svolga con cuore generoso tale nobile missione. Glielo chiediamo per intercessione di Maria santissima, Regina degli apostoli. Glielo chiediamo per l'intercessione di tutti i martiri e di tutti i santi che nel corso dei secoli hanno reso gloriosa questa storica Chiesa di Roma. E così sia!
martedì 12 marzo 2013
Chiamati a servire l’unità
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