Domenica delle palme nella Passione del Signore
Duomo di Milano, 24 marzo 2013
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di
Milano
1. «Così
dice il Signore Dio: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di
Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile,
cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”» (Zc 9,9). Molti erano i pellegrini radunati a Gerusalemme in occasione della festa
della Pasqua ebraica. Saputo che vi stava giungendo anche Gesù, gli corsero
incontro accogliendolo come re e messia. Il Vangelo narra l’episodio in modo
asciutto ma vivido.
Anche noi, radunati da varie nazioni, abbiamo appena
rivissuto questo gesto. Ringrazio
con molto calore la comunità filippina che ha voluto essere presente così
numerosa. La partecipazione alla liturgia di persone di diverse civiltà e
culture che ormai abitano la nostra città è un segno assai prezioso della
missione di Milano che Benedetto XVI ci ha assegnato nella recente Visita ad
limina: «La Lombardia è chiamata ad
essere il cuore credente dell’Europa».
Torniamo ora alla folla acclamante di Gerusalemme.
Essa guarda a Gesù come ad un re-guerriero, ad un messia nazionalista che
avrebbe liberato Israele dal dominatore romano. Invece Gesù, con il gesto di
cavalcare un asinello (il cavallo era la cavalcatura regale in tempo di guerra,
l’asino invece in tempo di pace) sconvolge questa loro immagine. Il Suo regno
sarà di altra natura.
Come sarà? Per capirlo il Prefazio ci offre un
prezioso suggerimento. «Tu hai mandato in
questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e
condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita». Non
si comprende a fondo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme se non si
tiene presente la Sua passione ormai imminente.
2. Oggi inizia la Settimana Santa (o autentica), cioè
eminente, la fonte ed il vertice dell’intero anno liturgico. E noi sappiamo che
la liturgia rende attuali, cioè presenti, i fatti della storia della salvezza.
La celebrazione sacramentale li offre qui ed ora alla nostra libertà. L’Epistola
– il celebre inno cristologico, probabilmente in uso nelle comunità dell’Asia,
che Paolo inserisce nella Lettera ai
Colossesi – spiega il significato del trionfo di Cristo di cui l’ingresso
osannato in Gerusalemme è un anticipo. L’inno parla del «primato di Cristo su tutte le cose» (cfr Col 1,17).
In cosa consiste questo primato? Perché Gesù è più
importante di tutto? Perché, in Lui sussistono tutte le cose, create in Lui ed
in vista di Lui. Anzitutto ogni uomo e ogni donna. Ognuno di noi. La nostra
consistenza, la consistenza della realtà è Gesù stesso. La conferma di questo è
la Sua risurrezione dai morti. Egli è il primo perché riconcilia in Sé tutto. Dice
l’Inno: «È piaciuto infatti a Dio che
abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano
riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia
le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20). Gesù il Messia, autore della
pace dei cuori e dei popoli, ci riconcilia perché è la misericordia
personificata. Perciò speriamo che
Egli ci usi presto la Sua misericordia
(cfr 2Mac 2,18): «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai!
Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Questo ci ha richiamato
Papa Francesco (Omelia domenica V di
Quaresima, 17.03.13). Se Lui ci riscatta, peccatori pentiti, se si rallegra
più per un peccatore pentito che per novantanove giusti a cui pentirsi non
serve (cfr Lc 15,17), allora
accostiamoci, con un atto semplice di libertà, al Sacramento della
Riconciliazione per toccare con mano la Pasqua di Gesù speranza nostra!
3. Torniamo ancora una volta, brevemente, all’Inno
dell’Epistola per comprendere bene, come ci ha insegnato il Prefazio, il senso
dell’Osanna del popolo di Gerusalemme. Dice: Gesù «ci ha pacificato con il sangue della sua croce». Abbiamo il
coraggio di prendere sul serio questa affermazione contemplando il Crocifisso,
prendendolo fisicamente in mano? O anche noi come la folla quel giorno, ci accontentiamo
dell’immagine di un Messia mondano, un Messia onnipotente che eviti e ci eviti di
passare per la cruna dell’ago del Golgota? Eppure l’esperienza di ogni uomo e
di ogni donna insegna che, nella vita, gioia e dolore sono intrecciati in modo
indisgiungibile. Come scrive Paul Claudel: chi conosce la vita «… sa che gioia e dolore in parti uguali la
compongono» (L’annuncio a Maria).
La fede illumina questa universale esperienza umana, mostrandoci come nel
Signore Gesù, la croce è un passaggio obbligato, non però verso il nulla, ma verso
la resurrezione. In Lui l’elevazione sulla croce è inseparabile dalla
esaltazione nella gloria della resurrezione. Così è anche per noi poveri
uomini. Ma proprio qui sta la nostra dignità di uomini consapevoli della loro
natura e del loro destino, cioè liberi. I suoi discepoli lo capiranno solo dopo
la discesa dello Spirito Santo, quando alla Chiesa (quindi a noi) fu
chiaramente rivelato il pieno significato della vita e delle parole di Gesù.
Sul momento non compresero: «I suoi
discepoli… quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state
scritte queste cose» (Vangelo, Gv 12,16).
L’episodio dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, proprio
perché assunto nel suo pieno valore che comprende la croce in vista della
risurrezione, ci dice che per tutte le donne e tutti gli uomini c’è speranza. In
modo particolare per quanti sono nella prova fisica o morale. Con le opere di
misericordia corporali e spirituali teniamo nel cuore in questa Settimana Santa
i malati, i moribondi, i carcerati, gli immigrati, gli smarriti – soprattutto se
giovani –, i poveri e gli emarginati di ogni sorta. Cerchiamo di essere con
loro ospitali. Possano sentire attraverso di noi l’eco del Dio misericordioso
che riconcilia e dà speranza.
4. Un’ultima parola sulla Lettura. «L’arco di guerra
sarà spezzato, annuncerà la pace» (Lettura,
Zc 9,10). La profezia di Zaccaria si
realizza pienamente nel Signore Gesù.
La pace, frutto eminente della morte e resurrezione del
nostro amato Salvatore, diventa possibile per ogni persona, per ogni famiglia, per
ogni paese, per ogni popolo, per tutto il mondo se accettiamo di metterci, con
umiltà, sulla strada che Lui ha percorso.
E qui la nostra supplica al Signore della pace non può
non avere nel cuore le tragiche situazioni di guerre e di violenza che
insanguinano il mondo. In particolare vogliamo partecipare al dolore dei cristiani
martirizzati mentre partecipavano alla Santa Messa. Quale sfida alla nostra
partecipazione spesso abitudinaria!
Diventeremo operatori di pace solo immedesimandoci con
Lui, l’autentico operatore di pace. Come? «A
noi che innalziamo ulivi e palme nel giorno del trionfo di Cristo, dona di
portare frutti di opere giuste in perenne comunione con lui» (Orazione a
conclusione della liturgia della Parola).
Inoltriamoci
nella settimana “autentica”, la settimana più importante dell’anno, con la fede
di Maria, Madre dolorosa e Madre gloriosa
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