sabato 16 marzo 2013

Perché papa Francesco ama Marc Chagall


Da ardito filosofo e colto intellettuale, Papa Francesco ha una predilezione per la Crocifissione bianca di Chagall. Questo conferma l’intuizione, avuta sin dal suo primo apparire, di un Papa sì semplice e informale, ma dalla natura ferma e dalla comprensione piena di ciò che ci attende. E quello che ci attende lo si può comprendere solo alla luce di un’adeguata lettura di un passato non lontano, come quello descritto da Marc Chagall nell’opera in questione.
La Crocifissione bianca riassume la tragedia del popolo ebraico, delle persecuzioni, dei pogrom, delle espropriazioni indebite subite lungo tutto il XX secolo. In alto, a sinistra, le bandiere rosse dell’ideologia comunista firmano drammaticamente l’azione distruttrice verso una comunità che ovunque si trovi conserva il legame prezioso dei teffillim. La sinagoga incendiata rievoca le distruzioni naziste dei luoghi di culto e delle opere di molti artisti ebrei, tra cui quelle dello stesso Chagall. In alto, il dolore dei rabbini e delle donne si mescola al fumo che, salendo da Auschwitz, porta con sé infinite esistenze.
Al centro, Cristo catalizza la girandola di eventi: un Cristo luminoso in cui ogni dolore s’infrange, tanto è grande la pace e la serenità che emana. Cristo come capitulum, come rotolo attorno al quale si avviluppa la torà, assomma in sé la forza intrinseca di un popolo che canta a Dio: «se anche mi uccidesse, spererei in Lui». Cristo, infatti, porta il talled Gadol, lo scialle della preghiera e davanti a Lui arde instancabile una menorah.
Da alcune dichiarazioni rilasciate da Papa Francesco mentre ancora era Cardinale, dalle parole brevi e chiare pronunciate all’inizio di questo suo Pontificato mi pare davvero ch’egli abbia davanti ai suoi occhi il capitulum del Cristo crocefisso, attorno al quale si avviluppa non soltanto tutta la torah, ma la storia della salvezza nella sua totalità.
In quest’opera si legge in filigrana il dolore di ogni perseguitato. Chagall, infatti, ebreo convinto, ha saputo leggere nelle piaghe del Crocefisso il grido di ogni innocente, specie dell’innocenza del suo popolo. Non aveva bisogno Chagall di togliere la croce dai muri per proclamare la sua identità, non aveva bisogno di cancellare la fede cristiana per affermare la sua. Egli ha saputo riconoscere nell’autentica esperienza religiosa cristiana la via per dare un nome al dolore.
Forse per questo l’opera in questione piace tanto al Papa, Chagall ci riconduce al valore della testimonianza: chi non confessa Cristo, ha appena annunciato il neo eletto Pontefice, lo voglia o no annuncia l’Anticristo, cioè Satana. Abbiamo bisogno di parole così, chiare, com’è chiara l’arte ispirata. L’arte, come la fede vera, quella sorretta dalla ragione, l’arte vera, come la ragione sorretta dalla fede nella verità, educa al Mistero, educa all’incontro con quell’Altro e con quell’Oltre che rende liberi di fronte al diverso che ci vive accanto.
Chagall dipinge in quest’opera ciò che ha visto coni suoi occhi: la sofferenza della Shoà, il tramonto dell’ideologia che ancora inonda di rosso il cielo di Europa. Ha visto e non può tacere. Nella sua voce c’è la nostra voce. Non è la voce altisonante e stridula che si leva spesso dai polemici ad oltranza, da quelli che per definizione sono «contro». È la voce sommessa della preghiera salmica, voce impercettibile, ma robusta e ardente come il fuoco della menorah. È la voce del violino che riposa ancora, nonostante i pogrom, accanto alle case incendiate del quadro di Chagall. È la voce della bellezza della verità la quale, proprio quando è conculcata, allora grida più forte. Questa è la voce del Papa e di mille volti sconosciuti (come era sconosciuto ai più il volto di Bergoglio) che del dialogo o meglio, dell’incontro e della ricerca sincera della verità, fanno la loro missione 
.Maria Gloria Riva http://www.lanuovabq.it

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