- Alessandro D'Avenia durante l'incontro.
Alessandro D’Avenia non firma autografi. Sorride all’oceano in tempesta dei suoi fan riunitosi al liceo Carducci di Milano in occasione dell’incontro con l’autore, in programma nella “Giornata Aperta” organizzata da studenti e professori dell’Istituto: «Non faccio autografi, solo dediche. Dimmi, dove studi? Cosa farai l’anno prossimo?».
A ognuno chiede come stia, s’interessa dei sogni di tutti. Perché Alessandro D’Avenia è fatto così: ai sorrisi finti e alle prediche preferisce opporre la vita vera, quella fatta di luci e ombre, che prima o poi, nel silenzio della nostra intimità, ci coglie tutti alla sprovvista. Ha capito il vero segreto, D’Avenia: non sono in primo luogo i grandi ideali che conquistano il cuore di un uomo, ma l’incontro con una persona felice, la felicità della quale vuoi imparare a condividere. Poi ci sarà spazio per i grandi discorsi. Ma s’incomincia sempre dal rapporto con la gioia. Ed è questo il motivo per cui sabato 9 marzo, per un’ora e mezza, nell’Aula Magna del mio liceo è calato un silenzio come non ne avevo mai sentiti in cinque anni passati là: ecco sul palco un innamorato che parla. È la semplicità la grandezza dell’amore. E, infatti, D’Avenia non ha fatto altro che raccontare storie semplicissime: a partire da quando ha fatto il grande passo dall’asilo alle elementari («per i Romani scuola si diceva ludus, gioco; per i Greci scholè, tempo libero… Per noi, dell’obbligo»). Fino al martirio di quel don Pino Puglisi, suo professore di religione a Palermo, che un giorno non venne più a scuola perché era stato ammazzato dalla mafia. Il talento di questo giovane professore e scrittore è quello di saper toccare con delicatezza invincibile tutti i temi fondamentali dell’esistenza, e soprattutto di farlo con decisione e coraggio. E così, se il tema della “Giornata Aperta” era la crisi, lui di crisi ha voluto parlare. Ma non prettamente di quella economica, sarebbe troppo poco: ha scelto di parlare di che cos’è la crisi nel senso dei momenti dolorosi della vita di ognuno di noi. Come ha detto, ogni cosa grande comincia da una crisi: «Pensate che Iliade e Signore degli Anelli partono da quello».
E non è un male che ci siano le crisi, è semplicemente il naturale svolgersi del dolore presente nella nostra vita: non è altro che il momento, sempre più fondamentale mano a mano che uno cresce, in cui occorre fare delle scelte. E così ci ha raccontato di Oreste, che si domanda: «Tì dràso?», che significa: «Cosa farò rispetto al mio destino?», nel momento in cui è costretto dalla sorte se uccidere sua madre o disubbidire agli dèi. E poi di quel giovane ricco del Vangelo secondo Luca («gli evangelisti sono gli scrittori più importanti, perché non abbiamo avuto neanche bisogno di ricordarci il loro cognome»), che chiede a Cristo: «Tì poièo?», ovvero: «Cosa farò poeticamente della mia vita?», dal momento che nel Vangelo non c’è più l’ansia dello scontro col destino tanto discusso dai greci, perché nella Sacra Scrittura il destino s’è fatto incontro all’uomo. Anche se l’uomo, come nel caso del giovane ricco, può voltargli le spalle per tornare all’insoddisfacente vita di prima.
Questa è l’abilità di D’Avenia: riesce a parlarti per due ore di Dio e della preghiera senza mai pronunciarli, per non far storcere nessun naso. Scommetto che tutti e duecento i presenti se ne saranno andati col desiderio di coltivare quella “vita interiore” di cui lui ha parlato tutto il tempo: chissà se invece avesse proferito la parola “orazione”, cos’avrebbe pensato la gente. Ma il buon professore è maestro di delicatezza: lascia che il lavoro di maturità avvenga nell’intimo dello studente. Lui ha solo il compito di «fare innamorare, non di impartire nozioni».
E dalla crisi, come si esce? «Smettendo di lamentarsi e costruendo qualcosa di bello: il resto verrà di conseguenza». Appunto, perché è attorno alla felicità che le persone si ritrovano tutte d’accordo. Come quei duecento ammutoliti e commossi in aula magna.
«Costruendo qualcosa di bello», proprio quello che una parte del Carducci ha cercato di fare dando vita alla “Giornata Aperta”, della quale può dare testimonianza la gratitudine che mi riempie ancora il cuore. Ascoltare D’Avenia è stato incredibile, ma ogni momento di quella giornata lo è stato: perché dai relatori venuti gratuitamente ai primini affaccendati, alle band che la sera hanno suonato per beneficenza ogni atto ed ogni gesto sono stati il contributo amorevole di persone volenterose ad un’opera di bene.
A ognuno chiede come stia, s’interessa dei sogni di tutti. Perché Alessandro D’Avenia è fatto così: ai sorrisi finti e alle prediche preferisce opporre la vita vera, quella fatta di luci e ombre, che prima o poi, nel silenzio della nostra intimità, ci coglie tutti alla sprovvista. Ha capito il vero segreto, D’Avenia: non sono in primo luogo i grandi ideali che conquistano il cuore di un uomo, ma l’incontro con una persona felice, la felicità della quale vuoi imparare a condividere. Poi ci sarà spazio per i grandi discorsi. Ma s’incomincia sempre dal rapporto con la gioia. Ed è questo il motivo per cui sabato 9 marzo, per un’ora e mezza, nell’Aula Magna del mio liceo è calato un silenzio come non ne avevo mai sentiti in cinque anni passati là: ecco sul palco un innamorato che parla. È la semplicità la grandezza dell’amore. E, infatti, D’Avenia non ha fatto altro che raccontare storie semplicissime: a partire da quando ha fatto il grande passo dall’asilo alle elementari («per i Romani scuola si diceva ludus, gioco; per i Greci scholè, tempo libero… Per noi, dell’obbligo»). Fino al martirio di quel don Pino Puglisi, suo professore di religione a Palermo, che un giorno non venne più a scuola perché era stato ammazzato dalla mafia. Il talento di questo giovane professore e scrittore è quello di saper toccare con delicatezza invincibile tutti i temi fondamentali dell’esistenza, e soprattutto di farlo con decisione e coraggio. E così, se il tema della “Giornata Aperta” era la crisi, lui di crisi ha voluto parlare. Ma non prettamente di quella economica, sarebbe troppo poco: ha scelto di parlare di che cos’è la crisi nel senso dei momenti dolorosi della vita di ognuno di noi. Come ha detto, ogni cosa grande comincia da una crisi: «Pensate che Iliade e Signore degli Anelli partono da quello».
E non è un male che ci siano le crisi, è semplicemente il naturale svolgersi del dolore presente nella nostra vita: non è altro che il momento, sempre più fondamentale mano a mano che uno cresce, in cui occorre fare delle scelte. E così ci ha raccontato di Oreste, che si domanda: «Tì dràso?», che significa: «Cosa farò rispetto al mio destino?», nel momento in cui è costretto dalla sorte se uccidere sua madre o disubbidire agli dèi. E poi di quel giovane ricco del Vangelo secondo Luca («gli evangelisti sono gli scrittori più importanti, perché non abbiamo avuto neanche bisogno di ricordarci il loro cognome»), che chiede a Cristo: «Tì poièo?», ovvero: «Cosa farò poeticamente della mia vita?», dal momento che nel Vangelo non c’è più l’ansia dello scontro col destino tanto discusso dai greci, perché nella Sacra Scrittura il destino s’è fatto incontro all’uomo. Anche se l’uomo, come nel caso del giovane ricco, può voltargli le spalle per tornare all’insoddisfacente vita di prima.
Questa è l’abilità di D’Avenia: riesce a parlarti per due ore di Dio e della preghiera senza mai pronunciarli, per non far storcere nessun naso. Scommetto che tutti e duecento i presenti se ne saranno andati col desiderio di coltivare quella “vita interiore” di cui lui ha parlato tutto il tempo: chissà se invece avesse proferito la parola “orazione”, cos’avrebbe pensato la gente. Ma il buon professore è maestro di delicatezza: lascia che il lavoro di maturità avvenga nell’intimo dello studente. Lui ha solo il compito di «fare innamorare, non di impartire nozioni».
E dalla crisi, come si esce? «Smettendo di lamentarsi e costruendo qualcosa di bello: il resto verrà di conseguenza». Appunto, perché è attorno alla felicità che le persone si ritrovano tutte d’accordo. Come quei duecento ammutoliti e commossi in aula magna.
«Costruendo qualcosa di bello», proprio quello che una parte del Carducci ha cercato di fare dando vita alla “Giornata Aperta”, della quale può dare testimonianza la gratitudine che mi riempie ancora il cuore. Ascoltare D’Avenia è stato incredibile, ma ogni momento di quella giornata lo è stato: perché dai relatori venuti gratuitamente ai primini affaccendati, alle band che la sera hanno suonato per beneficenza ogni atto ed ogni gesto sono stati il contributo amorevole di persone volenterose ad un’opera di bene.
di Carlo Simone - http://www.tracce.it
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