Non è cosa di tutti i giorni vedere due papi conversare, pregare e pranzare fraternamente assieme. Anzi, è decisamente un evento unico, anche se solo uno dei due è il pontefice in carica (l’altro lo è stato ed ora è emerito).
Ma soprattutto non è consueto vedere un’unità così profonda ed è quasi impossibile trovare due uomini che – chiamati a un altissimo ministero – hanno vissuto e vivono questa responsabilità concependosi davvero come “servi” e mettendo se stessi totalmente in secondo piano rispetto a Colui che amano, a cui la Chiesa appartiene (“la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo”: è una delle ultime frasi che ci ha lasciato papa Benedetto spiegando la sua rinuncia).
Tuttavia è prevedibile che l’avvenimento di Castel Gandolfo fra Benedetto XVI e papa Francesco rinfocolerà le chiacchiere dei media e lo strologamento su presunti dossier segreti – non è il caso di dire “papelli” – che sarebbero stati consegnati dall’uno all’altro (anche se c’è una smentita ufficiale).
Sui media ben pochi coglieranno la dimensione spirituale di due uomini di Dio che vivono questa particolarissima vicenda. E preferiranno tuffarsi piuttosto sul contorno: le questioni curiali, il rapporto della commissione di tre cardinali sui retroscena di Vatileaks, la coabitazione in Vaticano, le nomine….
I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla Chiesa, ma vanno matti per la Curia e per le chiacchiere di e sulla Curia.
Lo ha dimostrato in queste settimane l’oceanica quantità di articoli e pagine e trasmissioni dedicate alle dimissioni di Benedetto XVI, all’elezione del suo successore e a tutti i presunti retroscena e a ogni immaginabile insinuazione o pettegolezzo o banalità spacciata per scoop.
Tutto questo fiume d’inchiostro non significa attenzione alla Chiesa. Infatti i media sono pressoché indifferenti a ciò che i papi insegnano e vivono, ai contenuti spirituali veri, e soprattutto a quello straordinario mondo sommerso, fuori dai riflettori, che sono le comunità cristiane, dove quell’insegnamento è accolto, dove si sperimenta la fede e l’amicizia di Gesù Cristo spesso in una quotidiana dimensione di santità.
Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunati dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere.
Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio.
Tutta la loro vita dimostra un profondo e assoluto disinteresse per le curie, per il potere, per i ruoli. E il loro desiderio di “servire” la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.
Nelle luminose catechesi e omelie di Benedetto XVI c’è – espresso meravigliosamente – il “segreto” di questi due uomini di Dio.
Ricordo due flash degli ultimi mesi: “non porre l’io al posto di Dio” (è esattamente quello che ripete papa Bergoglio quando denuncia la “mondanità” dentro la Chiesa e l’autoreferenzialtà).
E poi il discorso di Benedetto XVI per la festa dell’Immacolata, nel dicembre scorso. Rileggere oggi quelle sue parole è sorprendente, perché sembrano la più perfetta interpretazione di tutti i gesti che in questi giorni ha compiuto papa Francesco commuovendo il mondo.
Papa Benedetto – pensando a Maria, la più umile e la più alta delle creature – pose al centro dell’attenzione proprio i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova o ai margini della società o si sentono inascoltati e irrilevanti nella storia perché non stanno sotto i riflettori dei media.
Il Santo Padre sottolineò che “ quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.
Poi aggiunse:
“ la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia… Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.
Papa Benedetto aggiunse un’altra perla, che coincide con l’Angelus di papa Francesco su Dio che perdona tutto e perdona sempre:
“Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi… per quanto il nostro cuore sia sviato”, aggiunse Ratzinger, “Dio è sempre più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.
Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus papa Benedetto tornò a parlare del “vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”. E disse: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.
Sembra quasi che papa Francesco voglia mostrare ogni giorno quanto è vero quello che papa Benedetto ha annunciato all’umanità.
Del resto papa Francesco, parlando ai diplomatici, pochi giorni fa, ha richiamato esplicitamente la condanna della “dittatura del relativismo” fatta dal predecessore (ed è significativo che molte cronache dei giornali non lo abbiano sottolineato).
Appare dunque evidente l’unità profonda di questi due uomini. Peraltro anche le esortazioni di papa Francesco trovano un esempio meraviglioso nella vita di Benedetto.
La stessa sua rinuncia al pontificato mostra un distacco veramente francescano dalla cose terrene, è l’esempio di umiltà che si può indicare e seguire se si ascolta l’invito di papa Francesco a fuggire la “mondanità spirituale”.
Infatti entrambi questi uomini di Dio hanno individuato nella figura del santo di Assisi la via per la Chiesa di un futuro luminoso. Ratzinger in un libro di molti anni fa scrisse:
“Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo poiché egli lo amava di più”.
Ed ecco infatti il pontificato di papa Francesco.
Due uomini con storie e temperamenti diversi quanto un pianoforte è diverso da un violino, ma suonano proprio la stessa bellissima opera e l’una voce insieme all’altra creano un’armonia perfetta, che incanta.
Come l’icona della “Madonna dell’umiltà” che il papa ha donato a Ratzinger e che abbraccia insieme questi due figli, prediletti testimoni di Cristo e suoi Vicari nel nostro tempo.
Antonio Socci
Da “Libero”, 24 marzo 2013
Ma soprattutto non è consueto vedere un’unità così profonda ed è quasi impossibile trovare due uomini che – chiamati a un altissimo ministero – hanno vissuto e vivono questa responsabilità concependosi davvero come “servi” e mettendo se stessi totalmente in secondo piano rispetto a Colui che amano, a cui la Chiesa appartiene (“la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo”: è una delle ultime frasi che ci ha lasciato papa Benedetto spiegando la sua rinuncia).
Tuttavia è prevedibile che l’avvenimento di Castel Gandolfo fra Benedetto XVI e papa Francesco rinfocolerà le chiacchiere dei media e lo strologamento su presunti dossier segreti – non è il caso di dire “papelli” – che sarebbero stati consegnati dall’uno all’altro (anche se c’è una smentita ufficiale).
Sui media ben pochi coglieranno la dimensione spirituale di due uomini di Dio che vivono questa particolarissima vicenda. E preferiranno tuffarsi piuttosto sul contorno: le questioni curiali, il rapporto della commissione di tre cardinali sui retroscena di Vatileaks, la coabitazione in Vaticano, le nomine….
I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla Chiesa, ma vanno matti per la Curia e per le chiacchiere di e sulla Curia.
Lo ha dimostrato in queste settimane l’oceanica quantità di articoli e pagine e trasmissioni dedicate alle dimissioni di Benedetto XVI, all’elezione del suo successore e a tutti i presunti retroscena e a ogni immaginabile insinuazione o pettegolezzo o banalità spacciata per scoop.
Tutto questo fiume d’inchiostro non significa attenzione alla Chiesa. Infatti i media sono pressoché indifferenti a ciò che i papi insegnano e vivono, ai contenuti spirituali veri, e soprattutto a quello straordinario mondo sommerso, fuori dai riflettori, che sono le comunità cristiane, dove quell’insegnamento è accolto, dove si sperimenta la fede e l’amicizia di Gesù Cristo spesso in una quotidiana dimensione di santità.
Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunati dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere.
Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio.
Tutta la loro vita dimostra un profondo e assoluto disinteresse per le curie, per il potere, per i ruoli. E il loro desiderio di “servire” la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.
Nelle luminose catechesi e omelie di Benedetto XVI c’è – espresso meravigliosamente – il “segreto” di questi due uomini di Dio.
Ricordo due flash degli ultimi mesi: “non porre l’io al posto di Dio” (è esattamente quello che ripete papa Bergoglio quando denuncia la “mondanità” dentro la Chiesa e l’autoreferenzialtà).
E poi il discorso di Benedetto XVI per la festa dell’Immacolata, nel dicembre scorso. Rileggere oggi quelle sue parole è sorprendente, perché sembrano la più perfetta interpretazione di tutti i gesti che in questi giorni ha compiuto papa Francesco commuovendo il mondo.
Papa Benedetto – pensando a Maria, la più umile e la più alta delle creature – pose al centro dell’attenzione proprio i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova o ai margini della società o si sentono inascoltati e irrilevanti nella storia perché non stanno sotto i riflettori dei media.
Il Santo Padre sottolineò che “ quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.
Poi aggiunse:
“ la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia… Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.
Papa Benedetto aggiunse un’altra perla, che coincide con l’Angelus di papa Francesco su Dio che perdona tutto e perdona sempre:
“Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi… per quanto il nostro cuore sia sviato”, aggiunse Ratzinger, “Dio è sempre più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.
Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus papa Benedetto tornò a parlare del “vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”. E disse: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.
Sembra quasi che papa Francesco voglia mostrare ogni giorno quanto è vero quello che papa Benedetto ha annunciato all’umanità.
Del resto papa Francesco, parlando ai diplomatici, pochi giorni fa, ha richiamato esplicitamente la condanna della “dittatura del relativismo” fatta dal predecessore (ed è significativo che molte cronache dei giornali non lo abbiano sottolineato).
Appare dunque evidente l’unità profonda di questi due uomini. Peraltro anche le esortazioni di papa Francesco trovano un esempio meraviglioso nella vita di Benedetto.
La stessa sua rinuncia al pontificato mostra un distacco veramente francescano dalla cose terrene, è l’esempio di umiltà che si può indicare e seguire se si ascolta l’invito di papa Francesco a fuggire la “mondanità spirituale”.
Infatti entrambi questi uomini di Dio hanno individuato nella figura del santo di Assisi la via per la Chiesa di un futuro luminoso. Ratzinger in un libro di molti anni fa scrisse:
“Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo poiché egli lo amava di più”.
Ed ecco infatti il pontificato di papa Francesco.
Due uomini con storie e temperamenti diversi quanto un pianoforte è diverso da un violino, ma suonano proprio la stessa bellissima opera e l’una voce insieme all’altra creano un’armonia perfetta, che incanta.
Come l’icona della “Madonna dell’umiltà” che il papa ha donato a Ratzinger e che abbraccia insieme questi due figli, prediletti testimoni di Cristo e suoi Vicari nel nostro tempo.
Antonio Socci
Da “Libero”, 24 marzo 2013
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