Walter Beccaria è morto il 21 novembre, all'improvviso, dopo una vita spesa a ridare speranza ai giovani che passavano per la sua famiglia-comunità. «Un vero padre, che ha testimoniato come dire sì al disegno di Cristo su ciascuno»...
- Walter Beccaria.
«Walter, quando si parlava della morte, mi diceva che il suo funerale avrebbe dovuto essere una festa, perché sarebbe stato il momento del suo incontro con Gesù. Per questo, dopo la sepoltura, vi invitiamo a fare festa a Villa Brea, dove lavorava». Marcella, la moglie di Walter Beccaria, parla così, al telefono, un’ora prima che i tantissimi amici suoi e di suo marito, dei loro cinque figli e dei ragazzi che sono, o sono stati, parte della loro “famiglia comunità” si raccolgano per la recita del Rosario a Torino.
Il ritrovo è nella parrocchia che fu di don Bernardino Reinero, più noto come don Berna, uno degli amici più cari e intimi della coppia. Che coincidenza strana, ma significativa, quella di Walter e l’amico sacerdote, entrambi morti a cinquantasei anni. Votati entrambi, ma in modi diversi, a ridare speranza ai giovani. Ed ancora entrambi, tornati tra le braccia del Mistero a causa di una malattia cardiaca. Walter è morto il 21 novembre, all’improvviso. Per lui, come per don Berna, il dolore di centinaia di persone, ma anche la stessa certezza dell’abbraccio del Signore.
Nel grande complesso dei Fratelli della Sacra Famiglia, sulle colline fuori l’abitato di Chieri, a Pecetto, c’è stata una festa vera, gioiosa, come a certi matrimoni. Qualche ora prima, nel cimitero di Marentino, dove abita la famiglia Beccaria, le spoglie di Walter erano state calate nella terra, al canto degli amici, con moglie, figli e i ragazzi, alcuni già adulti, accolti nella casa dei Beccaria, inginocchiati davanti alla fossa, sulle assi. Commozione e una gioia strana: due volti di una stessa esperienza, la fede.
Dopo il cimitero, un centinaio di persone si è ritrovato attorno a tavoli imbanditi e ad un buffet pieno di cibo e di bevande portate dagli amici. E poi gli universitari e gli adulti, tutti a cantare: i canti di Claudio Chieffo, le canzoni dei cantautori, quelle straniere più amate nel movimento. Davanti ai musicisti e ai solisti, Marcella, con i figli Stefano, Pietro, Barbara, Veronica, Paolo, Isabella, Cosimo, Ylenia, Simone, Davide e Mirko (senza alcuna distinzione tra naturali ed accolti, tanto si sentono figli e fratelli), con tutti gli altri a cantare, evidentemente feriti, ma sorprendentemente gioiosi, di una gioia che non poteva nascere dal loro dolore. Lo si è toccato con mano. Nelle parole scambiate e negli sguardi di molti un giudizio comune: «Incredibile». Com’è stata incredibile la vita di Walter e Marcella che si è aperta all’accoglienza familiare: ben quattordici figli amati ed educati oltre ai cinque naturali. E questo nonostante un lavoro impegnativo per entrambi: lui in una cooperativa di servizi, lei insegnante.
La folla al funerale, il Duomo di Chieri strapieno, diverse centinaia di persone, è stato il segno di che cosa ha rappresentato Walter per tantissime persone. «È stato prima di tutto padre», ha detto Marcella dal pulpito del Duomo, prima della benedizione della salma: «Padre dei nostri tanti figli. Padre delle molte persone che ha incontrato e alle quali si è offerto. Padre perché ha testimoniato come riconoscere e dire sì al disegno che Cristo ha preparato per ciascuno di noi. Così certo di questo da abbracciare i tempi e i modi della libertà di ciascuno. Walter ha vissuto», ha aggiunto la moglie, «animato dal desiderio struggente di rispondere alla sua vocazione, dando tutte le energie fino in fondo, ma allo stesso tempo cosciente che la Provvidenza esiste e che è Dio che compie l’opera. Mi diceva sempre: “Perché ti preoccupi? Affida tutto”. Walter, così umano da non essere in grado di restare indifferente a nulla. Ferito, si faceva compagno nella quotidianità in quella maniera sorprendente e sincera che tutti ricordiamo. In questi ultimi mesi ha vissuto una pienezza di coscienza che a noi, sua famiglia, fa dire adesso: era pronto a vedere Dio in volto!».
Un addio così umanamente diverso. È stato don Michele Berchi a spiegarne la ragione, nell’omelia: «Oggi, carissimo Walter, la tua amicizia ci ha portati fin sulla soglia dell’eternità. È vero», ha sottolineato: «Abbiamo paura di fronte alla morte, di fronte alla tua morte. In certi momenti, per qualche istante, ci vengono i brividi, si fa avanti l’angoscia, ma è perché noi veniamo dal nulla e il soffio del nulla a, volte ci sfiora. Ma che Cristo abbia vinto, noi, tutti noi qui, lo abbiamo sperimentato, anzi, di più: noi in questa vittoria ci viviamo da tempo. Nelle braccia vittoriose di Cristo noi viviamo da tempo, già in questo tempo. Cristo resuscitato, vivo nella nostra compagnia, fisicamente nostro contemporaneo in questa compagnia, lo abbiamo visto. Per questo possiamo credere che, sia che moriamo sia che viviamo, siamo del Signore. Conosciamo la pienezza, la bellezza, la libertà che si sperimenta quando Lo si incontra e così possiamo intuire cosa sia il Paradiso. Abbraccia il don Gius, Walter, per noi».
Che si possa stare così di fronte alla morte l’ha dimostrato il figlio più grande di Walter, Stefano, che ha ventiquattro anni, in una testimonianza all’assemblea del Clu: «Sapete bene cosa è successo a mio papà. Però, in tutto il dolore mi ha colpito vedere una certezza, una posizione di fondo assolutamente e ultimamente lieta di fronte al dramma che è capitato a me e alla mia famiglia. Mi sono accorto in questi giorni di che cosa vuol dire la fede in Gesù Cristo come mai prima. Ho capito tutta l’insistenza con cui don Julián Carrón ci richiama al lavoro sulle circostanze e sull’autocoscienza. Mi sono accorto in me, in mia mamma e nei miei fratelli, di una consistenza, piena di dolore e di dramma, eppure sempre di fronte al fatto reale di Cristo, in questi giorni assolutamente presente, evidente e visibile a tutti. Penso al Rosario e alla preghiera di oggi che erano tutto l’opposto della disperazione, oltre ai rapporti che sono stati recuperati. Di fronte a questa Presenza ho la certezza totale che mio papà ora è nell’abbraccio di Gesù. Questo fatto fa guardare me e tutti al Mistero che chiama, in modo misterioso. Io non so perché sia successo questo, ma sono certo che nella realtà c’è del buono per me e che stare di fronte a questo dramma stia dando dei frutti. Mi sono accorto di come una consistenza così sia venuta fuori esclusivamente da una sequela al fatto che ho incontrato, alla storia che ho incontrato. Il desiderio di andare agli Esercizi ora è ancora più forte per seguire Carrón e capire come il Mistero mi sta chiamando adesso».
Sull’immaginetta con la foto di Walter, Marcella e i figli hanno fatto scrivere la celebre frase di Paul Claudel: «Forse che il fine della vita è vivere? Non vivere, ma morire, e non digrossar la croce, ma salirvi e dare in letizia quel che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna». Nei giorni che passano si affollano le testimonianze che Walter ha vissuto con un cuore gonfio così.
Il ritrovo è nella parrocchia che fu di don Bernardino Reinero, più noto come don Berna, uno degli amici più cari e intimi della coppia. Che coincidenza strana, ma significativa, quella di Walter e l’amico sacerdote, entrambi morti a cinquantasei anni. Votati entrambi, ma in modi diversi, a ridare speranza ai giovani. Ed ancora entrambi, tornati tra le braccia del Mistero a causa di una malattia cardiaca. Walter è morto il 21 novembre, all’improvviso. Per lui, come per don Berna, il dolore di centinaia di persone, ma anche la stessa certezza dell’abbraccio del Signore.
Nel grande complesso dei Fratelli della Sacra Famiglia, sulle colline fuori l’abitato di Chieri, a Pecetto, c’è stata una festa vera, gioiosa, come a certi matrimoni. Qualche ora prima, nel cimitero di Marentino, dove abita la famiglia Beccaria, le spoglie di Walter erano state calate nella terra, al canto degli amici, con moglie, figli e i ragazzi, alcuni già adulti, accolti nella casa dei Beccaria, inginocchiati davanti alla fossa, sulle assi. Commozione e una gioia strana: due volti di una stessa esperienza, la fede.
Dopo il cimitero, un centinaio di persone si è ritrovato attorno a tavoli imbanditi e ad un buffet pieno di cibo e di bevande portate dagli amici. E poi gli universitari e gli adulti, tutti a cantare: i canti di Claudio Chieffo, le canzoni dei cantautori, quelle straniere più amate nel movimento. Davanti ai musicisti e ai solisti, Marcella, con i figli Stefano, Pietro, Barbara, Veronica, Paolo, Isabella, Cosimo, Ylenia, Simone, Davide e Mirko (senza alcuna distinzione tra naturali ed accolti, tanto si sentono figli e fratelli), con tutti gli altri a cantare, evidentemente feriti, ma sorprendentemente gioiosi, di una gioia che non poteva nascere dal loro dolore. Lo si è toccato con mano. Nelle parole scambiate e negli sguardi di molti un giudizio comune: «Incredibile». Com’è stata incredibile la vita di Walter e Marcella che si è aperta all’accoglienza familiare: ben quattordici figli amati ed educati oltre ai cinque naturali. E questo nonostante un lavoro impegnativo per entrambi: lui in una cooperativa di servizi, lei insegnante.
La folla al funerale, il Duomo di Chieri strapieno, diverse centinaia di persone, è stato il segno di che cosa ha rappresentato Walter per tantissime persone. «È stato prima di tutto padre», ha detto Marcella dal pulpito del Duomo, prima della benedizione della salma: «Padre dei nostri tanti figli. Padre delle molte persone che ha incontrato e alle quali si è offerto. Padre perché ha testimoniato come riconoscere e dire sì al disegno che Cristo ha preparato per ciascuno di noi. Così certo di questo da abbracciare i tempi e i modi della libertà di ciascuno. Walter ha vissuto», ha aggiunto la moglie, «animato dal desiderio struggente di rispondere alla sua vocazione, dando tutte le energie fino in fondo, ma allo stesso tempo cosciente che la Provvidenza esiste e che è Dio che compie l’opera. Mi diceva sempre: “Perché ti preoccupi? Affida tutto”. Walter, così umano da non essere in grado di restare indifferente a nulla. Ferito, si faceva compagno nella quotidianità in quella maniera sorprendente e sincera che tutti ricordiamo. In questi ultimi mesi ha vissuto una pienezza di coscienza che a noi, sua famiglia, fa dire adesso: era pronto a vedere Dio in volto!».
Un addio così umanamente diverso. È stato don Michele Berchi a spiegarne la ragione, nell’omelia: «Oggi, carissimo Walter, la tua amicizia ci ha portati fin sulla soglia dell’eternità. È vero», ha sottolineato: «Abbiamo paura di fronte alla morte, di fronte alla tua morte. In certi momenti, per qualche istante, ci vengono i brividi, si fa avanti l’angoscia, ma è perché noi veniamo dal nulla e il soffio del nulla a, volte ci sfiora. Ma che Cristo abbia vinto, noi, tutti noi qui, lo abbiamo sperimentato, anzi, di più: noi in questa vittoria ci viviamo da tempo. Nelle braccia vittoriose di Cristo noi viviamo da tempo, già in questo tempo. Cristo resuscitato, vivo nella nostra compagnia, fisicamente nostro contemporaneo in questa compagnia, lo abbiamo visto. Per questo possiamo credere che, sia che moriamo sia che viviamo, siamo del Signore. Conosciamo la pienezza, la bellezza, la libertà che si sperimenta quando Lo si incontra e così possiamo intuire cosa sia il Paradiso. Abbraccia il don Gius, Walter, per noi».
Che si possa stare così di fronte alla morte l’ha dimostrato il figlio più grande di Walter, Stefano, che ha ventiquattro anni, in una testimonianza all’assemblea del Clu: «Sapete bene cosa è successo a mio papà. Però, in tutto il dolore mi ha colpito vedere una certezza, una posizione di fondo assolutamente e ultimamente lieta di fronte al dramma che è capitato a me e alla mia famiglia. Mi sono accorto in questi giorni di che cosa vuol dire la fede in Gesù Cristo come mai prima. Ho capito tutta l’insistenza con cui don Julián Carrón ci richiama al lavoro sulle circostanze e sull’autocoscienza. Mi sono accorto in me, in mia mamma e nei miei fratelli, di una consistenza, piena di dolore e di dramma, eppure sempre di fronte al fatto reale di Cristo, in questi giorni assolutamente presente, evidente e visibile a tutti. Penso al Rosario e alla preghiera di oggi che erano tutto l’opposto della disperazione, oltre ai rapporti che sono stati recuperati. Di fronte a questa Presenza ho la certezza totale che mio papà ora è nell’abbraccio di Gesù. Questo fatto fa guardare me e tutti al Mistero che chiama, in modo misterioso. Io non so perché sia successo questo, ma sono certo che nella realtà c’è del buono per me e che stare di fronte a questo dramma stia dando dei frutti. Mi sono accorto di come una consistenza così sia venuta fuori esclusivamente da una sequela al fatto che ho incontrato, alla storia che ho incontrato. Il desiderio di andare agli Esercizi ora è ancora più forte per seguire Carrón e capire come il Mistero mi sta chiamando adesso».
Sull’immaginetta con la foto di Walter, Marcella e i figli hanno fatto scrivere la celebre frase di Paul Claudel: «Forse che il fine della vita è vivere? Non vivere, ma morire, e non digrossar la croce, ma salirvi e dare in letizia quel che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna». Nei giorni che passano si affollano le testimonianze che Walter ha vissuto con un cuore gonfio così.
di Adriano Moraglio
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