Domenica 16 dicembre, in una Cattedrale gremita di fedeli, l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, proseguendo il suo ciclo di predicazioni per l’Avvento ambrosiano, ha presieduto la celebrazione eucaristica riflettendo sul tema “Il Precursore. ‘Vieni, Signore, a salvarci’”. Ecco la sua omelia:
1. Fare spazio ad un Altro
Di domenica in domenica
insieme abbiamo fatto un percorso che ha progressivamente illuminato il volto
dell’Atteso. Egli ci è sempre più vicino, come abbiamo cantato all’inizio: «Nella luce di Cristo Signore camminiamo con
gioia e speranza: come stella che spunta ad oriente è vicino l’avvento di Dio».
La modalità più efficace per
comunicare tra gli uomini – ce lo siamo detto molte volte – è la testimonianza. La testimonianza dell’altro amplia sempre la
nostra conoscenza. Per questo oggi la liturgia ci invita a vivere l’attesa del
Natale guardando alla persona e al compito di uno straordinario testimone. Cosa
ci fa scoprire Giovanni Battista? Egli è il Precursore, “colui che, correndo,
precede un altro per annunciarne l’arrivo”, quindi è un uomo la cui vocazione e
la cui missione sono totalmente descritte dal fare spazio ad un Altro. Fare
spazio all’altro non è atteggiamento comune tra noi uomini.
2. «Lui deve crescere; io,
invece, diminuire»
Per comprendere meglio come
il Battista sia potuto giungere a questo elevato livello di autocoscienza
ascoltiamo il Santo Vangelo. «Giovanni
– ci dice il Vangelo di oggi – battezzava
a Ennòn… e la gente andava a farsi battezzare» (Vangelo, Gv 3,23). Ma nel
versetto precedente l’evangelista ci aveva appena dato un’altra significativa
notizia. Anche Gesù battezzava. Non sempre di persona, lo facevano anche i suoi
discepoli (cf Gv 3,22). Si comprende allora
un certo sconcerto tra i discepoli di Giovanni – che mettono il battesimo di
Gesù in concorrenza con quello del loro maestro – e la discussione, che ne
scaturisce, con un Giudeo: se entrambi battezzano da chi bisogna andare?
Il
precursore, che è un testimone credibile tanto che «tutti accorrono a lui» (Gv 3,26), non sente Gesù come un
antagonista, anzi è pieno di gioia per l’inizio della Sua missione (cf Gv 3,29). Giovanni motiva esplicitamente
questo suo atteggiamento: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30).
Fare spazio ad un Altro!
Le parole di Giovanni Battista trovano conferma
in una profezia di Malachia: «Ecco,
io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me», Mal
3,1). A questa profezia rinvia lo stesso Giovanni, il quale dichiara: «Voi
stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono
stato mandato avanti a lui”» (Gv
3,28).
Cosa possiamo concludere dall’ascolto del
Vangelo del Precursore? L’Epistola
risponde per noi.
3. Testimonianza
ed evangelizzazione
«Noi non
annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori
a causa di Gesù» (Epistola, 2Cor 4,5). Il testimone – ter-stis – è il terzo tra due, colui che
sta tra Cristo Signore e coloro a cui si rivolge. Egli, come il Testimone
fedele di Ap 3,14, è uno preso a
servizio. Noi, quindi, come il Battista!
Rivolgendosi ai Corinti Paolo va oltre. Ci dice in cosa debba
consistere questo servire. «Dio, che
disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far
risplendere la conoscenza
della gloria di Dio sul volto di Cristo» (Epistola,
2Cor 4,6). Qui è espresso, in modo
sintetico ma completo, il contenuto e il metodo della missione, della nuova evangelizzazione,
cui il recente Sinodo ha richiamato la Chiesa. La novità urgente per la
Chiesa di oggi, non è propriamente l’inedito, è piuttosto un ritorno alla
sorgente perché irrori l’odierno terreno.
Il nostro padre Ambrogio , che abbiamo da poco
celebrato, scriveva nell’Esamerone: «La
Chiesa splende non di luce propria,
ma di quella di Cristo», fulget
Ecclesia non suo sed Christi lumine (Ambrogio, Exameron 4, 32).
Questo e solo questo è l’atteggiamento con cui la Chiesa intende interloquire
con la famiglia umana. Nessuna egemonia, ma la testimonianza della bellezza «che viene dall’alto» (Vangelo, Gv 3,31) offerta alla libertà di ogni nostro fratello uomo.
«In un contesto [di società plurale come
la nostra] è ancora possibile proporre,
senza tentennamenti e reticenze e nel pieno rispetto di tutti e di ciascuno,
che Gesù Cristo è Colui che svela pienamente l’uomo all’uomo (cfr. Gaudium et
spes 22) e che al di fuori di Lui non c’è salvezza (cfr. At 4, 12)? La
Chiesa ,
ferita dal peccato di taluni suoi membri, è credibile ancor oggi agli occhi
nostri e a quelli del sofisticato uomo post-moderno? (Lettera Pastorale 4, p 19-20).
Ciò domanda una precisa condizione: fare della
nostra attesa la risposta all’attesa fiduciosa che il Signore ha nei nostri
confronti. Abbiamo ascoltato il profeta dire: ««Il Signore aspetta con fiducia per farvi
grazia » (Lettura, Is 30,18). Ma, cosa può aspettare da noi
il Signore? Cosa possiamo offrirGli perché Egli ci aspetti con fiducia? Il
nostro sì, libero e gioioso come quello del Battista. La supplica: «Vieni, Signore, a salvarci»,
come abbiamo ripetuto nel Salmo.
4. Vieni,
Signore, a salvarci
«Popolo di
Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di
supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti
darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più
nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro» (Lettura, Is 30,19-20).
L’oracolo di Isaia descrive un capovolgimento
nelle condizioni di vita del popolo. Dalla situazione di miseria si passerà a
quella di abbondanza e pienezza. Il Dio, che a Natale si fa a noi vicino con la
tenerezza di Gesù Bambino, consente anche a noi questo cambiamento, questa
nuova nascita, un nuovo inizio. Riconoscendo con fervida fede la venuta di Dio sempre
pronto a usare misericordia, vigiliamo, pronti a nostra volta, nella speranza che
si fa invocazione («A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà,
ti darà risposta» Is 30,19). La Sua attesa di noi e la
nostra attesa di Lui: questa è la vigile speranza nel santo Natale.
5. Da
dove nasce la conversione
Il Vangelo di oggi ci dice che il Battista non era
ancora in carcere, ma sappiamo bene che egli morirà martire per il capriccio
vendicativo di una donna e per la scellerata pusillanimità di un re marionetta.
Così però egli compie la sua missione e realizza
la sua persona. Il Battista infatti resta pienamente sulla scena lungo la
storia, come un grande co-agonista di Gesù.
Egli è infatti l’amico dello sposo, che gode per
lo sposo. «Lo sposo è colui al quale
appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta
di gioia alla voce dello sposo» (Vangelo,
Gv 3,29). L’amico dello sposo è
coinvolto nell’esperienza del grande dono sponsale, forma
intensa del bell’amore.
L’amore tra lo Sposo e la sposa di cui ci parla
oggi il Vangelo, fa impallidire tutto ciò che prima ci appariva importante e
decisivo (gli idoli): «Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte
d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto
immondo. “Fuori!”, tu dirai loro»
(Lettura, Is 30,22).
Vorrei sottolineare un aspetto importante della
lotta (l’ascesi) contro la tentazione idolatrica cui la vigilanza dell’Avvento
ci chiama. Mi riferisco al criterio decisivo per un uso adeguato dei beni in
ambito personale, familiare e sociale. La tradizione cristiana parla in
proposito della virtù della povertà. In cosa consiste propriamente?
Essa consiste in una modalità di possesso e di
uso dei beni che riconosce il loro essere un mezzo in funzione del Bene con la maiuscola. Solo
così essi contribuiscono alla piena realizzazione dell’ “io” e del “noi” cui
ogni membro della famiglia umana appartiene.
Questa prospettiva ci insegna che il vero
possesso ed il buon uso dei beni è tale se sostengono il
cammino di ciascuno e di tutti. Conosciamo purtroppo il nostro attaccamento
alle cose. Mettiamo allora in preventivo che alla virtù della povertà dobbiamo
essere educati. Nei giorni che ci separano dall’Epifania impegniamoci in
qualche piccolo gesto di condivisione. Aiutiamo le numerose forme di ospitalità
presenti nella nostra diocesi. Apriamo, con libertà, le nostre case per un invito
a tavola rivolto a quanti sono nel bisogno e nella solitudine. Compiamo un
gesto in prima persona che esprima il desiderio di
essere educati alla carità come legge della vita. Questo è lo stile con cui
l’amore del Dio-bambino tratta ognuno di noi.
6. Non
temere
All’esasperazione
comprensibile di quanti sono particolarmente provati in questi tempi, opponiamo
la speranza. Col Canto dopo il Vangelo
vinciamo la paura: «Non temere, Sion, non
lasciarti cadere le braccia! Il
Signore tuo Dio in mezzo a te è un
salvatore potente, per te esulterà
di gioia» (Canto dopo il Vangelo, Sof 3,16-17). Amen.
Nessun commento:
Posta un commento