mercoledì 19 dicembre 2012

«La Sua attesa di noi e la nostra attesa di Lui: questa è la vigile speranza nel santo Natale»

«La Sua attesa di noi e la nostra attesa di Lui: questa è la vigile speranza nel santo Natale»

Domenica 16 dicembre, in una Cattedrale gremita di fedeli, l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, proseguendo il suo ciclo di predicazioni per l’Avvento ambrosiano, ha presieduto la celebrazione eucaristica riflettendo sul tema “Il Precursore. ‘Vieni, Signore, a salvarci’”. Ecco la sua omelia:


1. Fare spazio ad un Altro
Di domenica in domenica insieme abbiamo fatto un percorso che ha progressivamente illuminato il volto dell’Atteso. Egli ci è sempre più vicino, come abbiamo cantato all’inizio: «Nella luce di Cristo Signore camminiamo con gioia e speranza: come stella che spunta ad oriente è vicino l’avvento di Dio».
La modalità più efficace per comunicare tra gli uomini – ce lo siamo detto molte volte – è la testimonianza. La testimonianza dell’altro amplia sempre la nostra conoscenza. Per questo oggi la liturgia ci invita a vivere l’attesa del Natale guardando alla persona e al compito di uno straordinario testimone. Cosa ci fa scoprire Giovanni Battista? Egli è il Precursore, “colui che, correndo, precede un altro per annunciarne l’arrivo”, quindi è un uomo la cui vocazione e la cui missione sono totalmente descritte dal fare spazio ad un Altro. Fare spazio all’altro non è atteggiamento comune tra noi uomini.

2. «Lui deve crescere; io, invece, diminuire»
Per comprendere meglio come il Battista sia potuto giungere a questo elevato livello di autocoscienza ascoltiamo il Santo Vangelo. «Giovanni – ci dice il Vangelo di oggi – battezzava a Ennòn… e la gente andava a farsi battezzare» (Vangelo, Gv 3,23). Ma nel versetto precedente l’evangelista ci aveva appena dato un’altra significativa notizia. Anche Gesù battezzava. Non sempre di persona, lo facevano anche i suoi discepoli (cf Gv 3,22). Si comprende allora un certo sconcerto tra i discepoli di Giovanni – che mettono il battesimo di Gesù in concorrenza con quello del loro maestro – e la discussione, che ne scaturisce, con un Giudeo: se entrambi battezzano da chi bisogna andare?
Il precursore, che è un testimone credibile tanto che «tutti accorrono a lui» (Gv 3,26), non sente Gesù come un antagonista, anzi è pieno di gioia per l’inizio della Sua missione (cf Gv 3,29). Giovanni motiva esplicitamente questo suo atteggiamento: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30). Fare spazio ad un Altro!
Le parole di Giovanni Battista trovano conferma in una profezia di Malachia: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me», Mal 3,1). A questa profezia rinvia lo stesso Giovanni, il quale dichiara: «Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”» (Gv 3,28).
Cosa possiamo concludere dall’ascolto del Vangelo del Precursore? L’Epistola risponde per noi.

3. Testimonianza ed evangelizzazione
«Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (Epistola, 2Cor 4,5). Il testimone – ter-stis – è il terzo tra due, colui che sta tra Cristo Signore e coloro a cui si rivolge. Egli, come il Testimone fedele di Ap 3,14, è uno preso a servizio. Noi, quindi, come il Battista!
Rivolgendosi ai Corinti Paolo va oltre. Ci dice in cosa debba consistere questo servire. «Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (Epistola, 2Cor 4,6). Qui è espresso, in modo sintetico ma completo, il contenuto e il metodo della missione, della nuova evangelizzazione, cui il recente Sinodo ha richiamato la Chiesa. La novità urgente per la Chiesa di oggi, non è propriamente l’inedito, è piuttosto un ritorno alla sorgente perché irrori l’odierno terreno.
Il nostro padre Ambrogio, che abbiamo da poco celebrato, scriveva nell’Esamerone: «La Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo», fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine (Ambrogio, Exameron 4, 32). Questo e solo questo è l’atteggiamento con cui la Chiesa intende interloquire con la famiglia umana. Nessuna egemonia, ma la testimonianza della bellezza «che viene dall’alto» (Vangelo, Gv 3,31) offerta alla libertà di ogni nostro fratello uomo.
«In un contesto [di società plurale come la nostra] è ancora possibile proporre, senza tentennamenti e reticenze e nel pieno rispetto di tutti e di ciascuno, che Gesù Cristo è Colui che svela pienamente l’uomo all’uomo (cfr. Gaudium et spes 22) e che al di fuori di Lui non c’è salvezza (cfr. At 4, 12)? La Chiesa, ferita dal peccato di taluni suoi membri, è credibile ancor oggi agli occhi nostri e a quelli del sofisticato uomo post-moderno? (Lettera Pastorale 4, p 19-20).
Ciò domanda una precisa condizione: fare della nostra attesa la risposta all’attesa fiduciosa che il Signore ha nei nostri confronti. Abbiamo ascoltato il profeta dire: ««Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia » (Lettura, Is 30,18). Ma, cosa può aspettare da noi il Signore? Cosa possiamo offrirGli perché Egli ci aspetti con fiducia? Il nostro sì, libero e gioioso come quello del Battista. La supplica: «Vieni, Signore, a salvarci», come abbiamo ripetuto nel Salmo.

4. Vieni, Signore, a salvarci
«Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro» (Lettura, Is 30,19-20).
L’oracolo di Isaia descrive un capovolgimento nelle condizioni di vita del popolo. Dalla situazione di miseria si passerà a quella di abbondanza e pienezza. Il Dio, che a Natale si fa a noi vicino con la tenerezza di Gesù Bambino, consente anche a noi questo cambiamento, questa nuova nascita, un nuovo inizio. Riconoscendo con fervida fede la venuta di Dio sempre pronto a usare misericordia, vigiliamo, pronti a nostra volta, nella speranza che si fa invocazione («A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta» Is 30,19). La Sua attesa di noi e la nostra attesa di Lui: questa è la vigile speranza nel santo Natale.

5. Da dove nasce la conversione
Il Vangelo di oggi ci dice che il Battista non era ancora in carcere, ma sappiamo bene che egli morirà martire per il capriccio vendicativo di una donna e per la scellerata pusillanimità di un re marionetta.
Così però egli compie la sua missione e realizza la sua persona. Il Battista infatti resta pienamente sulla scena lungo la storia, come un grande co-agonista di Gesù.
Egli è infatti l’amico dello sposo, che gode per lo sposo. «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo» (Vangelo, Gv 3,29). L’amico dello sposo è coinvolto nell’esperienza del grande dono sponsale, forma intensa del bell’amore.
L’amore tra lo Sposo e la sposa di cui ci parla oggi il Vangelo, fa impallidire tutto ciò che prima ci appariva importante e decisivo (gli idoli): «Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. “Fuori!”, tu dirai loro» (Lettura, Is 30,22).
Vorrei sottolineare un aspetto importante della lotta (l’ascesi) contro la tentazione idolatrica cui la vigilanza dell’Avvento ci chiama. Mi riferisco al criterio decisivo per un uso adeguato dei beni in ambito personale, familiare e sociale. La tradizione cristiana parla in proposito della virtù della povertà. In cosa consiste propriamente?
Essa consiste in una modalità di possesso e di uso dei beni che riconosce il loro essere un mezzo in funzione del Bene con la maiuscola. Solo così essi contribuiscono alla piena realizzazione dell’ “io” e del “noi” cui ogni membro della famiglia umana appartiene.
Questa prospettiva ci insegna che il vero possesso ed il buon uso dei beni è tale se sostengono il cammino di ciascuno e di tutti. Conosciamo purtroppo il nostro attaccamento alle cose. Mettiamo allora in preventivo che alla virtù della povertà dobbiamo essere educati. Nei giorni che ci separano dall’Epifania impegniamoci in qualche piccolo gesto di condivisione. Aiutiamo le numerose forme di ospitalità presenti nella nostra diocesi. Apriamo, con libertà, le nostre case per un invito a tavola rivolto a quanti sono nel bisogno e nella solitudine. Compiamo un gesto in prima persona che esprima il desiderio di essere educati alla carità come legge della vita. Questo è lo stile con cui l’amore del Dio-bambino tratta ognuno di noi.

6. Non temere
Il Natale è vicino. Da domani la liturgia ambrosiana ci propone le speciali ferie prenatalizie. Partecipiamo se possibile alla Santa Messa.
All’esasperazione comprensibile di quanti sono particolarmente provati in questi tempi, opponiamo la speranza. Col Canto dopo il Vangelo vinciamo la paura: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te esulterà di gioia» (Canto dopo il Vangelo, Sof 3,16-17). Amen.

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