mercoledì 5 dicembre 2012

I FIGLI: LA RISORSA CHE MANCA ALL’ITALIA PIÙ PREZIOSI DEL PETROLIO



« P iù preziosi del petrolio in esaurimento»: co­sì saranno in Italia i bambini, nell’anno 2030. Lo dice Save the Children, la grande e laica organiz­zazione internazionale che sorveglia la situazione dell’infanzia nel mondo. Gli ultimi dati sulla evolu­zione demografica, si legge nel rapporto sull’Italia, inducono a un ulteriore pessimismo. Nella con­giuntura di crisi economica e arresto dei flussi mi­gratori, la lieve crescita della natalità degli utimi an­ni si è arrestata; e nel 2011 sono stati 15 mila i nati in meno, rispetto al 2010. (Anche questo è un numero della crisi: quindicimila figli non nati. Figli magari de­siderati, e negati; figli, forse, cancellati da madri che si sono dette: non ce la posso fare).
  Ma il rapporto va oltre, e incrocia i dati disegnando un triste futuro. Nel 2030 ogni 100 persone che la­vorano, ce ne saranno 63 inattive. Più avanti, andrà peggio. (In una situazione così quale welfare sarà realisticamente sostenibile, viene da chiedersi, qua­le assistenza sanitaria potrà essere garantita alla grande e crescente fascia di popolazione anziana?) I lettori di
 Avvenire queste cose le sanno da tempo. L’allarme demografico è da anni denunciato dalla Chiesa italiana e da questo giornale. Tant’è che per molto tempo è apparso come una preoccupazione 'cattolica' – come a dire, in certo pensiero media­ticamente dominante, una questione di retroguar­dia, non allineata alla modernità. (E fino a non mol­ti anni fa addirittura in Italia parlare di incremen­tare la natalità suonava male, risvegliava impre­sentabili echi di politiche demografiche del ven­tennio fascista. Assurdo, ma l’ideologia è dura a mo­rire). Ora che anche le Ong laiche convengono che il problema è serio, pare che quell’allarme fosse in­vece avanguardia. Amara soddisfazione, leggendo i grafici di quest’ultimo rapporto con le loro linee i­nesorabilmente calanti, malinconico ritratto di un tramonto collettivo.
  Declino di natalità è declino di vita e di energie; ma anche di consumi, di lavoro, di ricchezza, di contri­buti che sostentino le pensioni dei vecchi. Uno «smottamento generazionale», dice il rapporto. E pa­re di vedere una società, la nostra, insediata su un ter­reno finora solido, e che invece, e neanche tanto len­tamente, si sfalda.
 Save the children nel rapporto im­magina, a esorcizzare questo declino, un patto ge­nerazionale, e riforme del welfare, e un’Italia del 2030 piena di nidi e asili, e di scuole che «dovranno fun­zionare come orologi svizzeri». Se non lo dicesse u­na seria e stimata Ong, diremmo: fantascienza.
  Perché, allo stato delle cose, non si vede in Italia u­na vera coscienza politica dell’emergenza demogra­fica. Né pare di scorgere la questione tra i temi por­tanti della campagna elettorale. Quasi che i figli fos­sero in realtà una questione solo e strettamente in­dividuale; e averne e averne nell’ambiente migliore possibile (una famiglia fondata sul matrimonio tra madre e padre, e tendenzialmente stabile) o non a­verne affatto, fosse cosa socialmente irrilevante. Co­me se invece che un Paese fossimo ormai solo tanti individui, casualmente affiancati; e solidarietà e fu­turo, vocaboli desueti. O come se guadagnasse con­senso anche da noi quel neo-pensiero che teorizza la bellezza e la libertà del non avere figli; e quell’in­teressata ma miope ottica di mercato che in Occi­dente da tempo vezzeggia i
 dink, ovvero double in­come no kids, le coppie con due stipendi e nessun fi­glio, eccellenti consumatori. Senonché anche i dink invecchiano, e si comincia ad avvertire che quei con­sumi non potranno essere mantenuti giacché man­cano i figli, per sostenerli. L’amara evidenza che è difficile pensare a una 'crescita' continua e inarre­stabile, se le culle e le scuole si svuotano.
  I bambini preziosi, fra pochi anni, «come il petrolio in esaurimento»? Servisse, questa immagine dura e concreta, a muovere un ampio e condiviso pensiero politico. Potrebbe anche essere un modo per rico­minciare. Per guardare in avanti e non solo all’atti­mo presente; per progettare un futuro più umano. E per sperare insieme, e desiderare di continuare una storia, la nostra. Compito che pure spetterebbe a u­na
 politica tesa al bene comune, e vera. 
MARINA CORRADI  -  Avvenire 

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