sabato 22 dicembre 2012

Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón 19 dicembre 2012


La copertina di ''All'origine della pretesa cristiana''

Testo di riferimento: All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, Milano 2011, pp. 71-84; Lettera
alla Fraternità, 1 novembre 2012.
Canti:
• The Things That I See


• Il mistero


Gloria

Ci eravamo dati come lavoro quello di rintracciare, nell’esperienza che
 viviamo, alcuni dei tratti di ciò che dice il capitolo sesto de All’origine
della pretesa cristiana, perché altrimenti noi nonfacciamo un’esperienza
come quella dei discepoli con Gesù; il risultato non è lo stesso se uno fa
un ragionamento o commenti sul testo oppure se fa la stessa esperienza
degli apostoli. Una persona concui parlavo questa settimana mi ha detto:
«Io incomincerei a domandare, a partire dalla prima  pagina del capitolo:
di chi ci siamo scoperti in questo mese domandare: “Chi è costui?”».
Tante volte abbiamo letto questa domanda, ma ci siamo mai sorpresi,
davanti a qualcuno, a dire spontaneamente: «Chi è costui?»? «Vorrei rac
contarti una cosa molto semplice che mi è successa e che mi ha conferma
to quello che hai detto all’ultima Scuola di comunità rilanciando il lavoro
su di essa: “Non cerchiamo di fare commenti sul testo, ma di rilevare
situazioni in cui è successo qualcosa di quello che dice il testo, perché se
è un’esperienza noi dobbiamo poterla fare adesso,altrimenti non possiamo
fare il cammino […] attraverso cui il Mistero ha rivelato veramente la Sua
pretesa unica”. Una sera mio figlio mi ha raccontato di come è stato
davanti al fatto che la morosa lo ha lasciato. Mentre parlava io avvertivo
qualcosa dentro di me per cui – per la maturità, la veritàe la corrispondenza
con cui parlava con il suo cuore davanti a quella circostanza – era palese
che era successo qualcosa. Alla fine, quasi con le lacrime agli occhi guardo
mio marito e dico: “Ma chi è questo?”. E all’improvviso mi sono venute in
mente le prime cinque righe della Scuola di comunità, quando Giussani
dice:“L’eccezionalità del comportamento di Gesù era tale che anche
l’evidenzadel suo contesto familiare, della sua storia personale non valeva
più a definirlo. E così emergeva quella domanda: ‘Chi è mai Costui?’”. Io ho
fatto esperienza di questo perché sentendo mio figlio mi dicevo: io lo
conosco, so chi è e come è fatto, conosco i suoi limiti e i suoi difetti; ma
a un certopunto ho dovuto cedere a una Presenza che in quel momento
mi si rendeva presente attraverso di lui. Questo è mio figlio, ma non è
più mio figlio. È vero che senza tanti ragionamenti mi è stato evidente
riconoscere il Mistero presente, perché in quel momento era la cosa
che più corrispondeva,era l’unica risposta che potevo dare a ciò che mi
stava succedendo [come dice la Scuola di comunità: «La sua risposta
inimmaginabile si addiceva all’evidenza che da Lui emanava»].
Attraverso questo fatto sto anche imparando ad amare la Scuola di
comunità, perché ora capisco che è per me, e non sono parole senza
senso, ma la chiave che mi permette di aprire le porte per entrare con
un’ipotesi positiva dentro la vita». È soltanto se uno fa questa esperienza,
attraverso fatti di questo tipo, gesti impliciti e concreti, reali, che può
capire: si crea il contesto di comprensione per capire. Quando noi
ignoriamo i fatti che allargano sempre di più la ragione, a un certo
momento noi non capiamo più, e non perché non abbiamo l’intelligenza
per capire o perché siamo diventati di colpo stupidi; no, semplicemente
perché non possiamo capire: il metodo descritto dalla Scuola di
comunità è così decisivo che senza di esso non è possibile capire in
un modo ragionevole quello che don Giussani ci dice.
Rimangono frasi di cui uno non ha alcun riscontro nell’esperienza che fa.
E per questo avevamo ripetuto che occorreva essere attenti ai fatti,
perché è attraverso di essi che uno capisce; infatti, come dice Giussani,
«una definizione deve formulare una conquista già avvenuta».
Quando qualcuno ci dà una definizione (che è quel che facciamo di solito)
cerca di farci capire attraverso una spiegazione. Ora, ciascuno deve fare il
paragone tra come si pone lui nella vita e come si pone Gesù con la Sua
pedagogia. Noi tante volte partiamo dalla definizione; ma don
2
Giussani dice che se la definizione non è una conquista già avvenuta nella
mia esperienza, non la capisco, la riduco e la faccio diventare, come ac-
cade in tante occasioni, «l’imposizione di uno schema». Perciò, in questa
pedagogia è cruciale essere attenti a tutti i segni attraverso cui Lui sirivela.
E per questo la volta scorsa avevamo terminato rileggendo il testo di
Guardini: la «rivelazione della divinità [non avviene] attraverso
manifestazioni irruenti e con azioni grandiose, ma un continuo, silenzioso
trascendere i limiti delle umane possibilità». E vi invitavo a trovare
nell’esperienza segni di questo continuo, silenzioso trascendere i limiti
delle umane possibilità,perché altrimenti, se di questo non troviamo
traccia, allora quella di don Giussani resta soltanto una “lezione” di
don Giussani, e il cristianesimo è già relegato nel passato, ma passato
passato! Invece,che sia vero quello che afferma Guardini ce lo dicono a
volte gli ultimi arrivati, come questa universitaria che, appena incontrati
i nostri amici, lo riconosce: «Circa un mese fa la mia vita ha avuto una
svolta finalmente. Finalmente dopo giorni e mesi di totale apatia ho
incontrato qualcosa di così bello e grande che non potevo più rimanere
al punto in cui ero prima. Ma prima dov’ero?
Vivevo i giorni sperando che passassero in fretta, senza avere la minima
cognizione di quello che stesse capitando attorno a me, ma soprattutto
dentro di me. Ho vissuto settembre con ansie e angosce, terrorizzata d
all’arrivo in università, non sapendo che mi avrebbe atteso la scoperta più
grande, la riscoperta di me, la vera me, che si era assopita e che avevo
dimenticato. Grazie a una compagna del liceo, a settembre sono arrivata in
università e Qualcuno, ne sono certa, ha voluto farmi un dono, il regalo
inaspettato di cui sono grata e che mi ha cambiato la vita: il fatto di aver
assistito alla presentazione del mio Corso di Laurea fatta da alcuni
universitari il 20 settembre, mi ricordo perfino la data con certezza, e di
aver conosciuto subito dopo, nell’atrio, quelle persone mi ha lasciato una
sensazione che ancora mi commuove [dentro un limite le era giunto
qualcosa che ancora la commuove]. Quelle persone mi avevano già colpito
senza sapere nulla di loro, del movimento, di don Giussani, di Carrón, si
capiva però che c’era qualcosa di diverso, che quella familiarità fra loro
non era scontata [una familiarità; sembrerebbe normale, ma una che arriva
coglie la diversità: non era scontata]. Sono tornata a casa contenta
dell’esperienza fatta e un po’ più convinta della scelta universitaria.
Durante la prima settimana di corsi le mie compagne mi hanno detto:
“Noi andiamo alla Scuola di comunità. Vieni con noi?”. Io istintivamente
sono andata con loro, spinta dalla curiosità. […] Ho ricordi vivi della
Scuola di comunità, ma soprattutto di come mi sono sentita quando è finita:
le uniche parole che potevo pronunciare erano “ma che bello! Una cosa
così non l’ho mai vista e vissuta!”. La sera mi sono domandata: perché tra
tutte le persone che ci sono in università ho incontrato proprio loro del
movimento? È solo un caso oppure Qualcuno vuole qualcosa da me? […]
A tutti quelli che criticano, agli amici con cui mi sono dovuta confrontare e
che all’inizio non capivano (molti tuttora sono scettici) posso dire solo:
grazie; grazie, perché se loro non mi avessero opposto le loro ragioni io
non avrei trovato le mie, non sarei andata a fondo. La contesa dialettica
mi ha costretta a ragionare, a confrontarmi, spiegando a me e a loro
quello che ho trovato. […] Questo, a mio avviso, è il segno più tangibile
della presenza di Cristo. Non sono tanto le discussioni che si possono
fare in merito, ma la bellezza che traspare da tutte le persone che ho
incontrato in questo mese». Per questa ragazza quel continuo trascendere
i limiti delle umane possibilità era qualcosa di così concreto che non
poteva non riconoscerlo. Allo stesso modo mi sonoarrivate tantissime
testimonianze, nelle quali ciascuno mette a fuoco un punto. Come quando
la Scuola di comunità, descrivendo i tratti di questo percorso, si sofferma
a rilevare che Gesù aggrava la richiesta. «Mi ha molto colpito che tu
abbia sottolineato come Gesù aggravi la richiesta. Ma ciò che mi ha
colpito è che questo non abbia una piega negativa (come il termine
“aggravare”sembrerebbe sottintendere), ma tutta positiva. Gesù aggrava
la richiesta. Perché è ragionevole seguire? Gesù aggrava la richiesta.
Per la mia felicità [non è che aggravi la richiesta, come tante volte
interpretiamo, per un moralismo; no, aggrava la richiesta per la mia
felicità!]. Questo mi era evidente da come tu lo dicevi, la tua certezza
mi colpiva, ma questo non mi poteva bastare e mi sono chiesto come
potessi io confermare che fosse vero [ecco tutto il lavoro da fare] che
Gesù ha aggravato la richiesta per il mio bene [se uno non verifica questo
nell’esperienza, come dice Giussani, non potremo resistere nella fede
perché tutto dice il contrario, e noi perdiamo la vita pur
3
seguendo]. Ho guardato alla mia vita e mi sono sorpreso a riconoscere
che quando il Signore mi ha tolto qualcosa di caro era perché mi legassi
di più a Lui. Quante volte dentro la mia vita ci sono stati strappi molto
forti, perfino negli affetti più significativi, e dire “sì” al modo con cui Dio
mi si è presentato ha significato sempre un “di più”; quel che ho perso
ha sempre aperto a un centuplo imprevisto, come con tanti amici persi,
con tanti volti che sono andati, e questo rende più acuta la domanda di
che cosa mi faccia rimanere. Gesù aggrava la richiesta per farmi gustare
la vita[altrimenti non sarebbe ragionevole, perché questo è il paradosso
del cristianesimo: che più uno si coinvolge nel rapporto con Lui (che
sembra togliere qualcosa) più gusta la vita: “Chi Mi segue avrà
il centuplo”]. Oggi non riesco a rispondere in un altro modo se non
sorpreso e grato che tutto ciò che ho perso è infinitamente meno rispetto
a ciò che ho guadagnato, del gusto che mi è diventato familiare come
mai avrei pensato. Che Gesù aggravi la richiesta significa semplicemente
che vuole che io mi attacchi a Lui, e questa è l’unica cosa che vale [cioè
che Lui tiene alla nostra felicità]».Per questo don Giussani continua il
percorso fino a sfidare il nocciolo del centro dell’io nel «a causaSua».
C’è una documentazione quasi  elementare di questo, come scrive uno
di voi: «Alcuni giorni fa in ufficio un collega parlando di sé ha detto:
“Io sono qui in questa città e mi sono trasferita da un’altra a causa di
mio marito”. In quel preciso momento l’ho collegato con quanto dice
la Scuola di comunità in merito al progressivo rivelarsi di Cristo,
quando si pone al centro dell’affettività e della libertà dei suoi discepoli:
a causa Sua. È normale che l’uomo nel suo agire e nelle sue scelte
affermi un motivo o una causa che lo determinano». La questione è
qual è, la persona a causa della quale uno è disponibile a fare questo
passaggio. Ma questo è soltanto l’inizio, come scrive un’altra
persona: «Ti scrivo un fatto semplicissimo che però per me è stato
nuovamente decisivo. La scorsa Scuola di comunità, quando ci hai
sfidato a documentare quale fosse la pretesa di Gesù, mi sono
davvero sentita toccata sul vivo e più di altre volte, spesso, nella
giornata ripensavo a quanto ci avevi detto. L’altra sera mio marito,
arrivato dal lavoro tardi, è uscito dopo poco per andare alle
prove del coretto. Io sono rimasta di nuovo a casa con le bambine,
di cui una con l’influenza e la piccola (nemmeno due mesi) che dalle
dieci in avanti ha iniziato a piangere ininterrottamente come
solo i neonati sanno fare. All’inizio ho retto, verso le undici e trenta ho
iniziato con il dirmi che il coro era una cosa bella e che andava bene
così, alle dodici e trenta ero arrabbiata e basta: “Ecco, mio marito non
mi considera, non mi guarda, non si accorge.” Quando è arrivato ero
addirittura troppo stanca per discutere, per cui ho fatto pesantemente
notare l’ora e sono andata a dormire. Il giorno dopo, però, per me la
partita non era finita e non mi bastava pensare di aver ragione.
Continuavo a pensare che avrei voluto dire di più a mio marito, insomma,
ad arrovellarmi e a incastrarmi in mille questioni, non ero soddisfatta.
E a un tratto mi sono chiesta: ma se fosse arrivato prima, il mio disagio
si sarebbe risolto, la mia impotenza sarebbe stata risolta? E mi sono
accorta che neanche mi sarebbe bastato che mio marito fosse arrivato
prima; il mio disagio era più grande, il mio grido più grande, la mia
impotenza più grande, la mia domanda più grande anche di questo, e
così mi sono chiesta: ma di chi è lo sguardo che desideravo ieri sera?
Mi basta quello di mio marito? Quando sono veramente felice?
Quando respiro? “Gesù si imponeva alla propria persona nel cuore
dei sentimenti naturali e si colloca a pieno diritto come la loro radice
vera: ‘Chiama il padre o la madre più di me non è degno di me’ [uno
che percorre tutto il cammino umano e vede che non basta questo,
comincia a capire che quando Gesù si pone nel cuore degli stessi
sentimenti naturali non è per mettere il naso dove nessuno L’ha
chiamato, per interferire, proprio lì, nella nostra tana, ma perché è lì,
nella profondità dell’io di ciascuno di noi, dove viene fuori qual è il vero
bisogno]. No, neppure i miei affetti più cari mi bastano [non è che si
collochi lì dove nessuno deve mettere il naso; no, è che nient’altro basta
a te stesso o a te stessa!]. Guardarli senza  riconoscere prima di tutto
il legame con Chi mi fa ora genera solo una pretesa in me e mi sembra
di tradirli. Gesù tante volte l’ho toccato con mano: “Solo l’essere Tua
è la mia possibilità di essere felice, è il Tuo sguardo che desidero. Tu
mi volevi anche ieri sera e adesso mi vuoi così come sono, e mio marito
e i figli sono il segno di questo abbraccio, ma non perché sono sempre
adeguati, ma perché Tu li fai ora come strada per me” [Solo quando
uno accetta di percorrere tutto quel percorso può arrivare a riconoscere
la presenza di Cristo non come interferenza, ma come grazia]. In quel
4
momento, in quell’istante, sono cambiata [“sono cambiata”: ecco da che
cosa si verifica che la fede è un’esperienza presente, confermata da essa,
senza la quale non possiamo resistere in un mondo in cui tutto dice il
contrario], ero lieta, tutto mi è stato ridonato, e mi sono vergognata nello
scoprire con che pretesa avevo guardato a quei rapporti così cari. Ricado
un giorno sì e uno anche, e mi sembra davvero di essere come Pietro, che
un attimo prima è tutto di Gesù e uno dopo – dici tu – pensa che Dio si sia
distratto ed entra con la sua misura. Ma ora questo mio limite non mi
inganna più, perché sto scoprendo piano piano che Lui è irriducibile e
continua a chiedere di me e a correggermi nella realtà. E comunque ho
visto che il mio desiderio è infinito e che solo Gesù può compierlo.
Gesù è Colui di cui ho bisogno adesso, ora. Da qui, che amore e
passione per ogni volto, strada e aspetto della strada che devo
percorrere!». Percorrere il capitolo della Scuola di comunità
dal di dentro dell’esperienza è l’unica cosa che ci può fare capire qual
 è la promessa che esso ha dentro. È tutto diverso fare commenti sul
testo rispetto a rivivere – come vediamo – l’esperienza che un altro fa.
Dico il mio percorso. Prima e dopo essere venuta a conoscenza dei
fatti che coinvolgono alcuni membri del movimento, mi è capitato di
vivere giornate segnate dal dolore e dalla costernazione,cogliendo
ancora una volta l’occasione di constatare come l’appartenenza a
questo popolo è costitutiva, tocca le fibre profonde del mio essere.
Tuttavia come non si potrebbe gustare la bellezza della luce senza
la percezione drammatica del buio, allo stesso modo sto maturando
la consapevolezza che non potrei sperimentare così pienamente e
profondamente quella “febbre di vita” che ci comunica continuamente
e instancabilmente il don Gius senza attraversare dentro dime il deserto
che è di questo mondo e che non mi è estraneo . Quando sono
chiamata ad affrontare questa sofferenza mi accade Gesù che mi
chiede di farGli compagnia davanti alla croce. È il Mistero che irrompe
secondo una modalità che sfida la mia ragione, che mi consente di non
vivere in modo farisaico o borghese la mia fede. Perciò accogliere me
stessa coincide con l’accogliere il Mistero e, dunque, accogliere la
realtà nella sua verità. Ma tutto questo io non lo avrei scoperto senza
seguire la via che il don Gius ci indica. In questo senso, vedendo la
Scuola di comunità di oggi, capisco sempre meglio il significato di
un avvenimento importantissimo accadutomi durante gli anni
dell’università quando l’ho incontrato personalmente. Non è
nonostante il niente che sono, ma proprio in virtù e dentro di esso che
la mia responsabilità, senza personalismi o “ruolismi”, s’è giocata
fino in fondo in opere nate all’interno di questa storia comune, non
da ultima la mia
famiglia, avendo l’occasione di accorgermi che la mia vita nella fede
del Dio vivente è realmente un capolavoro. Grazie. A proposito
dei fatti leggo un’altra testimonianza di uno (che è stato scosso e ha
fatto un percorso): «Partendo dai fatti accaduti in questi giorni,
desidero raccontarti con un esempio come il lavoro di Scuola di
comunità mi sta aiutando a stare di fronte a quel che accade, e
desidero anche porti una domanda. Alla Scuola di comunità del 31
ottobre mi aveva molto colpito come tu avevi commentato il brano del
Vangelo in cui si racconta dell’apostolo che sguainando la spada taglia
l’orecchio a una delle guardie che andavano ad arrestare Gesù; avevi
concluso dicendo: “Questo è il modo normale con cui noi ci rapportiamo
alla realtà”. La cosa mi aveva colpito anche se non capivo dove mi
incrociasse questa questione, perché non riuscivo a reperire nella mia
esperienza fatti e circostanze riconducibili a questo esempio. Mai mi
sarei immaginato quanto fosse invece pertinente a me. E questo me
l’hanno svelato i fatti di questi giorni. Era così tanta la rabbia che ho
cominciato a inviare mail agli amici per gridare il mio sdegno.
Tra le risposte che mi sono arrivate due in particolare mi hanno
ulteriormente infastidito: dicevano che è in queste circostanze che si
vede chi è il Signore per me. Provavo un grande disagio, tipico di
quando si è arroccati a difendere una posizione che in cuor nostro
sappiamo bene non essere vera [“in cuor nostro”: quando il cuore
funziona – e funziona! – non è che possiamo  far finta, non è che
possiamo giocare]. Il tarlo di questo fastidio che  mi lasciava un
grande disagio mi ha fatto tornare alla mente l’episodio dell’orecchio
mozzato e improvvisamente ho capito quanto fosse  vero quello che
avevi detto: stavo brandendo la mia spada anziché  guardare alla
vera natura di quello che stava accadendo. E qual era
5
la vera natura di quanto stava accadendo? Che il Mistero alza la
pretesa nei miei confronti sfidandomi fino al profondo di me stesso,
chiedendomi: “Ma tu a cosa tieni veramente? A cosa sei legato? Tieni
di più a Me, al fatto che tutti Mi possano incontrare o a una forma
costruita da mani di uomo?”. Questa sfida fa tremare i polsi perché il
passo successivo è che possono impedirci di fare qualunque cosa, ma
allora la mia vita, la mia persona, le nostre persone possono diventare
per il mondo intero spettacolo della vittoria di Cristo attraverso
un’umanità cambiata. E qui si allaccia la domanda che desidero farti.
In questi mesi la mia vita è dominata da due evidenze: da una parte, il
prendere atto continuamente del mio essere una somma di limiti ed
essere bisognoso di tutto, dell’essere incapace di coerenza (per dirla
all’incirca con san Paolo: faccio il male che non voglio e non il bene
che vedo e che desidero); dall’altra parte, subisco il fascino e
l’attrattiva che suscita l’umanità di persone che appartengono
totalmente a Lui. Capisco che lo spazio che c’è tra queste due evidenze
è il terreno, il campo da gioco della mia libertà, ma spesso mi ritrovo
la sera a vergognarmi per come ho passato la mia giornata nella
dimenticanza di Lui. Perché accade così? Perché queste due evidenze
che dovrebbero portare nella stessa direzione dell’aderire al bene che
vedo non sono sufficienti? Qual è il punto della correzione che mi viene
chiesto?». Il punto della correzione che ti viene chiesto è, semplicemente,
lasciarsi di nuovo attrarre dal fascino che ci è capitato, perché questo ci
consente di riconoscere anche i nostri limiti proprio perché – come
abbiamo detto nella lettera dopo il Sinodo – «a nulla fuorché a Gesù il
cristiano è attaccato». Proprio per questo fascino possiamo guardare i
nostri limiti e possiamo guardare i limiti di quel che facciamo, perché
qualsiasi tentativo nostro, pur fatto con tutta la buona volontà, sarà sempre
limitato, come ogni tentativo umano, e non perché facciamo le cose in
modo sbagliato. Quindi, che cosa c’è di strano in questo? Come se ci
sorprendessimo che la fragilità sia fragile e che il tentativoumano sia,
appunto, un tentativo umano. Don Giussani usava questa espressione,
che mi piace tanto perché definisce benissimo la cosa: il nostro è un
tentativo “ironico”, sempre imperfetto, sempre pieno di limiti. Allora il
problema non è che non accadano certi fatti, perché vediamo tante
persone che davanti a tutto quello che accade maturano, riconoscono
ancora di più la grazia che ci è stata data, e quindi crescono in questo
fascino, non sono sconfitte dalle loro sconfitte, perché è qui dove
si vede la diversità che Cristo genera. E questo ci consente di
correggere ciò che occorre correggere eventualmente. Noi dobbiamo
essere costantemente disponibili alla modalità con cui ci guida il
Mistero che ci affascina, perché possiamo essere spogliati di certe cose,
ma nessuno ci può impedire di testimoniare la bellezza di Colui che ci
ha incontrato, come il popolo di Israele è stato portato in esilio e quella
è diventata l’occasione della testimonianza tra i pagani. Che problema
c’è? Come vedete, il Signore alza la pretesa, per noi e per la nostra
conversione, per la nostra appartenenza sempre più pura, sempre più
limpida a Lui; non perché possiamo dare meno testimonianza, ma
affinché possiamo darla in modo più splendente, secondo un disegno
che non è il nostro. «Nelle ultime Scuole di comunità locali a cui ho
partecipato ho vissuto un certo disagio per come si è parlato di recenti
dolorosi fatti che ci hanno coinvolti. Mi è parso dagli interventi che il
problema fosse quello di difendere il movimento, ribadendo che nulla
è intaccato di esso – e ciò mi è chiarissimo – o sdrammatizzando.
Ho sentito frasi del tipo: “Non sono scandalizzato da quanto è successo,
 noi siamo uguali a tutti gli altri, e come gli altri sbagliamo” o: “Quanto
accaduto mi rimette più velocemente sul cammino”. Ho sentito rispondere
che questi interventi sono il segno che si sta camminando bene. Io non so
come sto camminando, ma ho la percezione dello scandalo e della
responsabilità anche nei confronti degli altri che ci guardano. Non ci
diciamo sempre che il cristianesimo deve essere visibile sulle nostre
facce e nel nostro agire? Io, pur comprendendo alcuni interventi,
lontana dal ridurre il mio disagio a un giudizio sulle persone, ho la
sensazione che il nostro essere preoccupati di non coinvolgere la
nostra esperienza con quanto accade sia un modo di non guardare
in faccia ciò fino in fondo, per eludere una domanda che per me è
urgente e che rivolgo ora a te: perché, pur educati nella strada del
cristianesimo da don Giussani in modo così illuminato e con tale
testimonianza, sbagliamo? Qual è il punto in cui e per cui smettiamo
di seguire e ci adeguiamo ai criteri del mondo? E ancora: se siamo
uguali agli altri in tutto e per tutto – come mi è stato detto – a che vale
l’esperienza del movimento?». Sono questioni che, come vedete,
6
oltrepassano i limiti in cui possono trovarsi alcuni, e colpiscono il
centro dell’esperienza di ciascuno, perché se non troviamo risposta
a queste domande non vediamo la ragionevolezza ultima della fede.
A che cosa vale l’esperienza del movimento? O, in altre parole, a
che cosa vale essere cristiani? Per questo noi non possiamo
sottovalutare la sfida, se non la guardiamo fino in fondo e non la
giudichiamo, allora rimaniamo con addosso il virus del sospetto
(«In fondo, vale veramente a pena?»). Perciò è decisivo questo
punto. Il Signore avrebbe potuto risparmiarci questa sfida, ma,
come ci siamo detti tante volte, questo è per la nostra maturazione;
e matura chi accetta la sfida che viene dal reale, dai fatti, aldilà del
fatto di chi abbia ragione o torto. Tutti abbiamo sentito la sfida,
anche soltanto per le notizie diffuse. La nostra appartenenza ci
consente di guardare i fatti? Che razza di appartenenza è la nostra?
Se appartenessimo a un luogo in cui per appartenere dovessimo
negare i fatti, non sarebbe umano. Perché? A che cosa siamo stati
educati? Riandiamo alla terza premessa de Il senso religioso: amare
la verità più di noi stessi. Se noi non siamo educati a guardare la verità
più di noi stessi e ad amare la verità più di noi stessi, significa che noi
non seguiamo la proposta che ci viene fatta! E così non siamo in grado
di stare davanti alla realtà. Soltanto se noi amiamo la verità più di noi
stessi, possiamo veramente non soccombere alle opinioni, alle
interpretazioni, e possiamo aderire alla realtà così com’è e riconoscere
il bene che c’è nelle persone e ciò che ci può essere di sbagliato. Se noi
non giudichiamo questo, rimaniamo nella palude. Lo vediamo
costantemente in altri aspetti del vivere. Facciamo un esempio eclatante
per aiutarci a capire. Vediamo cosa succede nella società quando
davanti alla questione dell’aborto si dice: «Cerchiamo di fare leggi che
giustifichino l’aborto, affinché ciascuno possa essere legittimato a
farlo». Avete conosciuto donne che abbiano abortito? Questo assetto
legislativo ha risolto il loro problema del rapporto con se stesse? Il
giudice più grande che abbiamo è il nostro cuore (anche se ci illudiamo
che sia soggettivo). E come in questo esempio, così succede in tutto.
Per questo, se non ci educhiamo a questo riconoscimento sarà difficile
darci pace. È esattamente ciò che il Papa ci ha testimoniato in tante
occasioni. Perciò aiutarci in questo cammino è fondamentale, come ci
testimoniano ancora due contributi con cui concludo. Il primo: «“Grandi
cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Il Signore si serve di tutto, prende
tutto e restituisce centuplicato. Io e mio marito[che è morto] non siamo
mai rimasti soli, e la Provvidenza mai ci ha fatto mancare il suo amore e
la sua compagnia attraverso il volto degli amici che ci hanno sostenuto,
a volte portati letteralmente in braccio. Potrei fare qui una marea di esempi.
Così non abbiamo mai avuto paura di fronte alla vita e alla morte. Mi son
sentita dire: “Tuo marito è sempre stato realista”. In un biglietto della
spesa ha scritto: “Stare all’esperienza. Una strada tracciata, basta seguire
le orme”. L’ho trovato nel riordinare le cose dopo la sua morte. Ci sono
stati momenti duri, ma presi per mano siamo stati accompagnati a
guardare quello che stava succedendo. Ho pensato: ma quando ci dici
di stare alla realtà che cosa intendi comunicarci? Poi ho capito. Vuol
dire stare all’esperienza, cioè stare a ciò che imparo guardando ciò che
sta accadendo, perché dentro a quello che mi stava e ci stava
accadendo, lì dentro, c’è la presenza del Mistero che fa tutte le cose».
E la seconda: «Che terribili e belli sono i tempi per noi! Tutto il bene
che c’è stato rimane e nessuno lo può cancellare. Continuavo a
ripetermi che il bene ricevuto era un dato oggettivo, che  l’esperienza
non si cancellava, ma il risultato era che io non mi davo pace. Ero
addolorata e incredula [“Non mi davo pace”: il male fa male; sono
cose che riguardano tutti; tutti quanti, perché di fronte a certe cose, la
cosa più terribile è che se noi non facciamo il cammino per cui
diventiamo più certi, un’ombra rimane in noi e poi saremo incapaci
di accompagnare gli altri a superare le difficoltà], e in ultima analisi
non presente alla realtà, con i miei bambini e in casa. Mi sentivo come
i discepoli di Emmaus: triste perché abbandonata. Poi ho riletto il sesto
capitolo di All’origine della pretesa cristiana, e mentre leggevo era
come se Gesù mi stesse chiedendo, come ai suoi discepoli, se ero
disposta a metterLo al centro della mia affettività e libertà anche in
questa circostanza, se ero disposta a riconoscerLo, amarLo e seguirLo,
perché il bene ricevuto fino a quel momento era il Bene con la lettera
maiuscola, cioè Lui. E mi sono detta: ma io, onestamente, posso fare
ancora esperienza di questo bene? Sinceramente che cosa può
impedire che riaccada? C’è qualcosa o qualcuno che non mi permette
di vederLo e dire di ‘sì’? Allora ho ripreso in mano la lettera che ci
7
hai scritto dopo il Sinodo, e ho letto più volte il pezzo di Giussani sulla
sequela [perché questa è la strada attraverso cui possiamo venir fuori
ancora più certi]: “La sequela è il desiderio di rivivere l’esperienza
della persona che ti ha provocato e ti provoca con la sua presenza
nella vita della comunità, […] è il desiderio di partecipare alla vita di
quella persona nella quale ti è portato qualcosa d’Altro, ed è a questo
Altro ciò cui sei devoto, ciò cui aspiri, cui vuoi aderire, dentro questo
cammino”. Ma io a cosa sono devota? A cosa aspiro? A cosa voglio
aderire? Voglio fare questo cammino? Mi sono guardata intorno e cosa
ho visto? Tanti volti: mio marito, i miei figli, amici cambiati, tu, la Scuola
di comunità, il Papa con tutto quello che ci dice, e mi sono detta: certo
che posso dire di sì, eccome se posso [questa domanda è per ciascuno
di noi; eccome se posso, ma questa è una decisione che ciascuno deve
prendere, una verifica che ciascuno deve fare, perché senza fare la
verifica che vince in continuazione, quel che prevale sarà l’ombra]! E
improvvisamente mi sono sentita in pace e tranquilla, rappacificata
con tutti. La mente mi si è sgombrata da tutti i pensieri malevoli che
la riempivano [i pensieri malevoli ci riempiono la testa, e quindi queste
vicende ci riguardano tutti] e ho intuito un po’ più concretamente la
questione della contemporaneità di Cristo che ci dicevi agli Esercizi,
e perché non funzionasse ripetermi in continuazione che il bene
ricevuto rimaneva come giudizio su quello che era accaduto [ma è
chiaro, non basta ripetere, occorre fare esperienza: se la sequela non
è fare esperienza, quando arriviamo a certi momenti della vita, non ci
basta]. Se il bene non è presente ora, non serve, è astratto e, in
questa situazione, più che mai inutile. Non serviva a darmi pace,
a farmi sentire grata, desiderosa di rimettermi al lavoro su tutto –
pensa, persino a fare la mamma! –. Intravedo l’opportunità per me in
questa condizione di andare al fondo della mia vocazione, cioè di
poter dire “Tu” a Gesù, e ho fatto esperienza che niente me lo può
impedire». Questa è la sfida che abbiamo davanti, perché se il
Signore non ci ha risparmiato niente è per la nostra maturazione.
Ma questo non può essere uno slogan che ci ripetiamo per
accontentarci; no, dobbiamo vedere nella nostra esperienza che questo
ci fa maturare, ci fa crescere, ci fa venir fuori dalla confusione, senza
che rimangano ombre. La sfida è molto più grande di quanto possiamo
 immaginare: veramente il Mistero aggrava la richiesta!
Significa che il Signore vuole cose grandi da noi, che ci sta facendo
nuovi se noi accettiamo senza paure la sfida del reale, per poter
emergere con una consistenza e con una purità infinitamente più
grandi, come ha detto il Papa oggi nell’udienza sulla Madonna,
all’interno delle catechesi per l’Anno della Fede: «Il saluto
dell’angelo a Maria è quindi un invito  alla gioia, ad una gioia
profonda, annuncia la fine della tristezza che  c’è nel mondo di
fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte,  alla cattiveria,
al buio del male che sembra oscurare la luce della  bontà divina.
È un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona  Novella.
[…] Incontriamo [sullastrada] momenti di luce, ma incontriamo
anche passaggi in cui Dio sembra a assente, il suo silenzio pesa nel
nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello
che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il
dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostrafiducia – come
Abramo e come Maria – tanto più Egli ci rende capaci, con la sua
presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella
certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa
uscire da se stessi e dai propri progetti [cioè convertirci]. Come ha
potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede
così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia
nell’azione di Dio? […] Maria collocava ogni singolo elemento,
ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo
conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio.
Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò
che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia
interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne [cioè li giudica], e
acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire».
È per questo che Cristo è diventato carne: per poterci accompagnare
in questo cammino. Perciò accettare il disegno attraverso cui Lui ci
conduce sarà per noi la possibilità di toccare con mano la Sua
vittoria; e sarà, forse, qualcosa di diverso da ciò che noi
abbiamo in testa, ma sarà comunque una vittoria.
8
Il testo dell’Assemblea nazionale della CdO è stato pubblicato
come “Pagina Uno” sul Tracce di questo mese. Invito tutti a
leggerlo perché mi sembra possa aiutarci ad aver presente i
criteri con cui stare davanti alle sfide della situazione attuale, e a
giudicare le iniziative in cui tanti sono mobilitati.
La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 30 gennaio
alle ore 21.30. Riprenderemo il contenuto degli Esercizi del Clu,
che sarà pubblicato con un libretto allegato al Tracce di gennaio.
Abbiamo deciso di renderlo disponibile a tutti perché quello che
è avvenuto agli Esercizi del Clu ci sembra un contributo a vivere
l’Anno della Fede e per mostrare che cosa è la fede. Il contenuto
degli Esercizi è stato, infatti, intrecciato di tante domande e di
testimonianze che hanno fatto emergere che Cristo è così
contemporaneo da riaccadere riaccade attraverso una umanità
presente. Il titolo stesso degli Esercizi: «Qualcuno ci ha mai
promesso qualcosa? E allora, perché attendiamo?», è una
domanda che interpella tutti. Offrire come contributo quanto è
emerso agli Esercizi penso sia un bene per tutti. Perciò vi
chiediamo di proporlo e diffonderlo anche ai vostri
amici e nei vostri ambienti, perché la realtà urge.
Veni Sancte Spiritus

Buon Natale a tutti, anche a tutti coloro che sono in collegamento video.




http://www.youtube.com/watch?v=UDBw3VqKzF8



Nessun commento: