domenica 9 febbraio 2014

«Le foibe e l’esilio: per settant’anni una storia negata» . Giornata del ricordo


Giorno del Ricordo  "La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale...."

 Tra il ’45 e il ’47 350mila italiani lasciarono Istria, Dalmazia e Fiume per sfuggire al genocidio ordinato da Tito. Ma decine di migliaia vennero catturati e assassinati nelle foibe carsiche. Domani numerose iniziative per non dimenticare quell’olocausto

Testimone
 
 «Mio padre ucciso dagli uomini di Tito, la nonna deportata ad Auschwitz, uno zio assassinato alle Fosse di Katyn, due cugini finiti nei gulag. La mia famiglia riassume le tirannie che hanno insanguinato il secolo»


Sono tanti i Giorni del Ricordo che si cele­brano in casa nostra», dice Giorgia Rossa­ro Luzzatto Guerrini, 91 anni, goriziana, ex insegnante di Lettere, la memoria che non vacilla: «Nella nostra famiglia si intreccia­no i destini degli ebrei e dei giuliano-dal­mati, si sono dati appuntamento tutti i re­gimi che hanno insanguinato il 900». 
S
uo padre Giorgio portato via dai comuni­sti jugoslavi di Tito nel 1945 e sparito nel nulla, forse gettato in foiba, forse nel cam­po di sterminio di Borovnica. Una zia e una non­na deportate dai nazisti ad Auschwitz: di loro più nessuna traccia, cenere al vento. Uno zio uc­ciso nelle Fosse di Katyn, dove nel 1940 i sovie­tici massacrarono con un colpo alla nuca 10mi­la ufficiali polacchi (per decenni la strage fu in­giustamente attribuita ai tedeschi). E nella ge­nerazione successiva due cugini adolescenti condannati ai lavori forzati in un gulag sul Don... «Sono tanti i Giorni del Ricordo che si celebra­no in casa nostra», riassume Giorgia Rossaro Luzzatto Guerrini, 91 anni, goriziana, ex inse­gnante di Lettere, la memoria che non vacilla: «Nella nostra famiglia si intrecciano i destini de­gli ebrei e dei giuliano-dalmati, si sono dati ap­puntamento tutti i regimi che hanno insangui­nato il ’900 e portiamo il lutto del nazismo, del comunismo sovietico, delle stragi titine». Ha pianto il 23 ottobre scorso ricordando la depor­tazione degli ebrei dalla sinagoga di Gorizia nel 1943, lo ha fatto il 27 gennaio per la Giornata della Memoria della Shoah, continuerà a farlo domani, nel Giorno del Ricordo per le Foibe e l’e­sodo dei 350mila italiani sfuggiti al genocidio di Tito, «ma se l’olocausto ci è stato riconosciuto da sempre, la tragedia delle Foibe ci è stata ne­gata - precisa - , siamo stati derisi, chiamati fa­scisti, non creduti. Non ho mai visto nessuno venire a Gorizia dai palazzi romani per il nostro 3 maggio!».
  Nel maggio del 1945 furono giorni bui per le no-
 stre regioni del nord­est adriatico. La guerra era finita, l’Italia tutta festeggiava la fine del nazifascismo abbrac­ciando le truppe an­gloamericane. A Gori­zia, Trieste, Pola, Fiu­me, Zara invece la «li­berazione » era portata dalle truppe di Tito, senza abbracci ma al grido di «Trst je nas», Trieste è nostra. Non una liberazione ma una nuova invasione.
  «Prima, l’8 settembre del 1943, ci avevano oc­cupato i nazisti - ricorda Giorgia Rossaro - e u­na nostra impiegata slovena denunciò i miei suoceri in quanto ebrei, ma loro riuscirono a scappare in Veneto, invece la nonna ingenua­mente decise di restare e finì ad Auschwitz a 82 anni». La stessa ingenuità innocente che due an­ni dopo ucciderà suo padre, medico e uomo li­berale, però per mano comunista: «Era l’alba del 3 maggio 1945 - ricorda - , alla porta bussò un soldato titino sui 20 anni. Disse che mio padre doveva presentarsi al comando jugoslavo per 'informazioni'. Gli ho fatto il tè e ho svegliato papà. Quel militare mi chiese se ero spaventata ma non capivo la domanda: ormai c’era la pa­ce... Mio padre invece capiva anche troppo: so­lo poi ci siamo accorti che prima di seguirlo a­veva lasciato tutto il denaro contante sotto la bi­lancia in cucina». Quella stessa notte nelle case di Gorizia furono prelevati 600 capifamiglia, me­dici, maestri, commercianti, «la cosiddetta in­tellighenzia, in perfetto stile sovietico». L’ultima volta che Giorgia e la sua sorellina videro il pa­ta
 dre fu il 5 maggio del ’45, dalla finestra del car­cere di Gorizia, con un triste sorriso e la mano che salutava. «In seguito abbiamo saputo che lo hanno portato a Lubjana la notte stessa, e lì il grande silenzio, eterno».
  Dal quale solo ora qualcosa è trapelato: carte terribili uscite dagli archivi di Tito (e presto di­menticate), con migliaia di nomi, di processi far­sa, di condanne senza colpa. «Nel 2005 la stori­ca slovena Nataša Nemec ha ritrovato e diffuso la lista dei 1.048 deportati da Gorizia e il desti­no atroce subìto da carabinieri e militari di tut-
 Italia, spariti nel nulla in tempo di pace. È sta­ta coraggiosa... tre ore dopo era licenziata». Tra gli altri, anche il nome di suo padre, 'Giorgio Rossaro, interrogato'. Quale fu la condanna non si sa ed è questo che ancora oggi la tormenta, «perché un conto è la morte, altro è la scom­parsa senza sapere dov’è il suo povero corpo e senza una croce su cui pregare. Noi italiani ci scaldiamo tanto per i desaparecidos argentini e non siamo capaci di fare nulla per i nostri». Lubjana dista «un’ora di autostrada, perché nes­suno dei nostri politici ha mai chiesto la verità?». Oggi come allora c’è ancora chi accusa i 350mi­la italiani fuggiti dalle Foibe di Tito di essere 'fa­scisti', «ma perché? Era l’Italia ad essere fasci­sta, mica noi, anzi, qui rispetto a Roma o Mila­no il regime non si sentiva proprio, con la mi­noranza slovena vivevamo in pace e le pagliac­ciate tipo i saggi ginnici non si vedevano». Suo padre, poi, dall’8 settembre aveva curato tanti partigiani. «I nomi dei criminali jugoslavi sono noti, perché non si sono processati anche Anton Zupan o Giuseppe Kuk come Priebke? La Ger­mania ci ha risarciti per i nostri deportati e mio suocero quei soldi li ha mandati in Israele per gli orfani dei lager, Slovenia e Croazia ci ridiano al­meno le salme. Scappare dai nazisti non faceva di noi dei comunisti, e allora perché scappare da Tito farebbe di noi dei fascisti?».
  Quando nelle scuole la chiamano a testimonia­re la Shoah, ne approfitta per raccontare anche l’altra parte della verità. Lo deve a sua madre «che per 13 anni restò seduta davanti alla porta da cui papà era uscito, lo ha sempre aspettato» e lo deve a noi, defraudati per 70 anni della no­stra
 Storia. 
LUCIA BELLASPIGA 

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