giovedì 13 febbraio 2014

Nel dramma di Narciso lo specchio dei tempi

Michelangelo Merisi da Caravaggio: Narciso Galleria Nazionale d’Arte Antica ­Palazzo Barberini, Roma)

Nella Roma barocca era esplosa la passione per i soggetti mitologici. Anche alti Prelati approfondivano i mi­ti greci, cercando in essi tracce degli insegnamenti cristiani. Nell’opera, at­tribuita a Caravaggio, dal titolo Narci­so, non ci è dato di vedere nulla della radura in cui si consumò il dramma dell’omonimo personaggio. L’interes­se di Caravaggio come del suo com­mittente (forse il cardinal del Monte) va verso l’indagine psicologica del sog­getto, piuttosto che alla vicenda in sé. La storia, del resto, è nota: Narciso era così pieno di sé da non poter amare che un altro se stesso. Quando si vide riflesso in uno stagno s’attardò tre gior­ni in contemplazione, finendo per ab­bracciare drammaticamente quell’im­magine che lo porterà alla morte per annegamento.
  Lo specchio, nell’arte, come nella vita, è sempre segno di un bilancio, uno sguardo verso se stessi mediante il quale avviene un giudizio. In questo caso la proiezione nell’acqua mette a confronto virtuale e reale. Caravaggio, che non poteva certo immaginare le possibilità offerte al mondo da inter­net, già metteva in guardia il suo tem­po dalle illusioni del virtuale. Ciò che vediamo riflesso nello stagno è una
 pallida immagine della reale bellezza di Narciso. Si rende così evidente, in modo plastico, come la verità sia sem­pre più bella di qualunque finzione. Il punto più luminoso del dipinto, dopo le maniche a sbuffo (che accompa­gnano lo sguardo a vedere le mani di Narciso già in parte sprofondate nel­l’acqua), è il ginocchio. Questo ragaz­zo, in ginocchio con la bocca semi a­perta quasi nell’atto di baciare, espri­me compiutamente l’adorazione. Un’adorazione di sé dannosa poiché, proprio il ginocchio inondato di luce, ci fa intravvedere il dramma immi­nente.
 
 Narciso è un po’ lo specchio di questa nostra società con i suoi errori, tanto narcisisticamente ripiegata da essere incapace di scoprire, proprio nella di­versità, una possibilità in più per co­noscere se stessi. A entrare in questa conoscenza, del resto, mira il simbolo dello specchio nell’arte.
  Nella rappresentazione di un altro sog­getto mitologico, Venere, la dea non ti guarda, anzi ti volta le spalle. Sei inve­ce guardato dalla sua immagine allo specchio. E poiché Venere è la dea del­l’amore, diventa chiaro l’invito a ri­flettere sulla tua vita: da chi sei guar­dato e come guardi? Che cosa ami e da chi sei amato? Sono le domande di sempre. Eppure è da simili semplici domande che dipende poi, di fatto, il nostro modus vivendi e anche, spesso la nostra etica.
  Maria Gloria Riva


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