sabato 1 novembre 2014

Omelia di don Carlo Venturin Commemorazione di tutti i fedeli defunti – 2/11/2014


                                                                        IL NOSTRO AL DI LA’

La Chiesa, fin dalle origini, ha celebrato la memoria dei defunti, offrendo per loro preghiere di suffragio, soprattutto nell’Eucaristia. La data del 2 novembre è fissata attorno all’anno mille, nel monastero di Cluny, consuetudine che poi si diffuse in occidente. La contiguità con il 1° novembre sottolinea la relazione che esiste tra la solennità dei Santi e la commemorazione dei defunti, fondata sull’unità dei morti in Cristo e nella comunione dei Santi, che così sono riuniti in un’unica festa distribuita in due giorni.

Può sembrare un giorno triste, perché la memoria dei trapassati porta nomi e persone care, che hanno segnato la nostra vita. E’ anche giorno di fiducia nel Signore risorto, nel quale vivono in pienezza quanti ci hanno preceduto nel segno della fede. Oggi è il giorno della preghiera per loro, la quale tiene uniti oltre i confini della morte.

La Parola di Dio oggi prevede tre formulari per poter entrare nel mistero della morte fisica, ma nell’ambito di Cristo risorto.  Ogni Lettura offre un aspetto del mistero, sta a ciascuno indagare, assimilare il messaggio nei vari aspetti, partecipando all’Eucaristia.

La morte viene percepita e vissuta su versanti diversi: come SCACCO personale inevitabile; come EVENTO che smaschera i fatti della vita (tutto viene a galla con il tempo ); come ATTO in cui la persona misura fino in fondo la sua dignità; come ANGOSCIA notturna che riempie il vissuto di tanti malati; come VOCE quotidiana che azzera le diversità (la morte raffigurata con la falce in mano e rende tutto piano ); come PAROLA eterna che interpella la ragione (perché la nascita, perché vivere, perché soffrire, perché le ingiustizie, perché le guerre, perché le lotte fratricide, perché l’accumulo di ricchezze a scapito di altri, perché la morte? ). Occorre vederla come atto di fede decisivo nella liberazione che Dio nasconde per tre giorni nei tratti strazianti di Cristo sul Golgota. Di fronte alle persone defunte ci si potrebbe chiedere: come hanno visto la morte? Come l’hanno messa in relazione con la vita?

Le risposte sono diverse, secondo gli stili di vita, i gesti, gli atti, la solidarietà o meno con gli altri. Oggi, come sempre, si afferma che è impossibile parlare della morte, perché le parole che parlano di morte vengono dalla vita, perché la morte non ha parole: ogni discorso sulla morte diventa un illecito sulla vita. Per appropriarsi della vita si deve congiurare contro la morte. La nostra società vive questa contraddizione.

Chi professa la fede cristiana, sull’esempio e sulla Parola di Cristo, afferma che la morte è il limite umano, ma Dio è il limite della morte. La morte così, anche se continua ad accadere, è già alle spalle. Dio ha l’ultima parola, definitiva. San Paolo lo afferma con sicurezza: “Dov’è , morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione … Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Giovanni parla di vita eterna, cioè vita pienamente realizzata per sempre: “Ha la vita eterna chi ascolta la mia Parola e crede a Colui che mi ha mandato” (5, 21-29). Chi professa la vita cristiana crede alla Parola di Gesù: “… udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per la risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (5, 29).
Tutte le nostre consolazioni, sicurezza, speranza in seno alla morte sono nell’esistenza di Dio, che ha abitato in Cristo il terreno impraticabile della morte. Come il Signore Gesù, la persona saprebbe attraversare il luogo della maledizione (Adamo ed Eva), il luogo della morte, da vincente, da “signore” sulla morte.

In modo paradossale si può affermare che la persona credente non ha alcun al di là, né ha bisogno di averlo, perché Dio è il suo al di là. Queste osservazioni racchiudono il pensiero di Paolo, quando afferma che non conta né vivere, né morire, ma vivere e morire nel Signore: se tu muori nel Signore, vivi; se non vivi nel Signore, è come fossi già morto. La meditazione sulla morte, sui nostri morti, diventa un invito a riflettere sul come stiamo vivendo: nel nome del Signore, o secondo altre logiche?

La giornata di oggi è un canto di speranza: la luce è più forte di qualsiasi tenebra, non saranno il buio e il freddo della morte ad impadronirsi della nostra fragile esistenza. Oggi è anche un canto di gratitudine: per tutto il bene che si è ricevuto da quelli che non sono più tra noi, per l’amore donato, per la stima e gli incoraggiamenti, che hanno consentito di superare ogni prova, per il sostegno e la fiducia donati. Quello di oggi è un canto di fiducia: qualunque cosa accada, si è sicuri di essere in buone mani e di poter contare, in ogni momento, sulla misericordia del Padre. Quello di oggi è un canto percorso da una forza e uno slancio nuovi: verrà presto il giorno in cui tutti saranno radunati dalla bontà misericordiosa del Padre e insieme (“la moltitudine immensa” di ieri) partecipi della gloria di Cristo e dei Santi.


Don Carlo


Nessun commento: