lunedì 10 novembre 2014

DI DUE ETERNITÀ


È di questo scorrere che parla la vita. Da qui parte il paragone, da qui si dirama e s’infoltisce ogni dilemma: l’amore e la morte. Gli opposti che fin dallo sbocciare delle coscienze continuano a trovarsi connessi. Perché? Perché è il perenne paragone fra due eternità, fra due termini antichi, potenti, vivi. Soprattutto vivi, vivi entrambi se si strugge per entrambi la poesia di ogni tempo, se il Petrarca nei suoi Trionfi fa soccombere la potenza carnale all’amore pudico, e questo, anche questo, alla morte. Poi il gioco si ripete, risponde la fama chiude tutto l’eternità. Ma, parliamone, qual è, o almeno quale deve essere, oggi, la grana di un sano discorso su amore e morte? Senza dubbio un primo importante passo sarebbe chiuderla dialetticamente, arrivare a una tesi sullo scontro di significati e significanti che queste due parole comportano ogni qual volta vengono affiancate: amore e morte. Un ossimoro difficilmente risolvibile anche dai più alti voli pindarici che la nostra meravigliosa specie si è inventata nella sua storia. Poi, però, c’è Dante, c’è sempre Dante, che sta a Thomas Edison come Omero sta a quell’anonimo scimmione che è riuscito a fare il fuoco con due pietre. Se Omero è stato questo nostro enorme Prometeo, allo stesso modo Alighieri ha portato un diverso fuoco, linguisticamente certo, ma per quale significato? Per quale scopo questa verticalità? Per dirci, con parole moderne quanto si innesti nel mobile questo nostro monduccio di carne, e come il mobile potrebbe squadernarsi, se solo ci indiassimo (meraviglioso neologismo dantesco) ci facessimo in Dio. Allora dimenticheremmo i Trionfi, questo gioco di spada, questa galleria di eternità crescenti. Allora ci sarebbe l’Amore maiuscolo e la nostra piccola morte che zozzeria che sarebbe.

Gn

Nessun commento: